Le elezioni presidenziali del 18 marzo saranno le seconde dall’introduzione del nuovo sistema dei mandati, avvenuta nel 2008 all’inizio della presidenza Medvedev. Il mandato presidenziale, passato da quattro a sei anni, resta vincolato al termine massimo di due consecutivi ed è dunque prevedibile che, qualora Putin venisse rieletto, quest’ultima sia la sua ultima avventura presidenziale.
Come indicato dall’articolo 81 della Costituzione, i candidati alla presidenza devono essere cittadini russi (non necessariamente dalla nascita), aver raggiunto i 35 anni di età ed aver permanentemente risieduto in Russia negli ultimi 10 anni.
Mentre i partiti già rappresentati alla Duma mantengono il diritto di nominare un proprio candidato, quelli esterni devono raccogliere un minimo di 105.000 firme per lo scopo. Un trattamento più complesso è riservato ai candidati indipendenti, i quali, oltre alle firme (315.000)devono garantire una loro equa distribuzione territoriale (massimo 7500 per ogni soggetto federale)[1].
La raccolta firme e gli altri adempimenti legali dovranno concludersi, in questa tornata, entro il 31 gennaio, a meno di cinquanta giorni dal primo turno delle presidenziali. Soltanto a inizio febbraio, dunque, si avranno delle certezze sull’elenco ufficiale dei candidati.
Il sistema elettorale prevede l’elezione diretta del presidente nel caso in cui esso superi la soglia del 50% delle preferenze al primo turno; in caso contrario, il ballottaggio tra i due candidati che hanno raggiunto il miglior risultato. Una circostanza, quest’ultima, che si è verificata soltanto una volta (1996) dalla nascita della Federazione Russa in avanti.
Il Presidente eletto detiene poteri esecutivi e legislativi, è il comandante in capo delle forze armate e coordina, oltre all’amministrazione presidenziale e alle attività dei principali ministeri, una serie di agenzie e di apparati legati soprattutto ai servizi di intelligence.
Contrariamente a ciò che si pensa in Occidente, ad ogni modo, il Presidente non ha poteri assoluti e deve sottostare ad un insieme di istituzioni formali e poteri informali che contribuiscono a tenere a galla sia lui che il “sistema”. Tra di essi, più che la Duma e il Consiglio Federale (le due camere del parlamento russo), bisognerebbe citare le agenzie, i servizi segreti e soprattutto certe lobbies finanziarie che, benché abbiano certamente perso influenza rispetto all’era El’cin, mantengono un relativo potere decisionale (e di ricatto?) nei confronti del Cremlino.
Non dei veri e propri contrappesi, almeno nell’accezione europea e liberale del termine, ma un sottobosco del potere che imbriglia e modella il sistema. Finché questo sottobosco rimarrà al servizio di Putin, la stabilità politica della Federazione verrà assicurata.
[1] https://sputniknews.com/society/20120502173168974/
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