La Russia vista dal mondo/1.
Archiviata l’esperienza di Hollande, il nuovo inquilino dell’Eliseo resetta le relazioni con Mosca. Adesso più franche e dirette, ma basate anche sui rapporti di forza e sul pragmatismo dei due leader. Le migliori sponde per un’intesa sono in Medio Oriente, non in Europa. Intervista a Francesco Maselli, giornalista de “Il Foglio” e autore di una fortunata newsletter sulle Presidenziali francesi del 2017.
Figuera – Quando si parla di ingerenze russe in Europa, forse il primo Paese che viene in mente è la Francia. Ed in particolare si pensa al Front National di Marine Le Pen, accusato da più parti di essere la testa di ponte del putinismo a Parigi. Adesso però, a quasi un anno di distanza dalla conclusione delle Presidenziali francesi, il tema sembra essere svanito.
Maselli – Oggi non se ne parla molto. In generale, si parla poco di Marine Le Pen, anche perché il Front National è in grandissima difficoltà ed è nei fatti uscito dal dibattito pubblico. Da quando è stato eletto Macron, si è tornati a discutere dei rapporti franco-russi ad un livello quasi esclusivamente presidenziale.
A proposito di “ingerenze russe”, bisogna dire che a Russia Today e Sputnik non vengono più riconosciuti gli accrediti stampa dall’Eliseo, per espressa decisione di Macron, annunciata simbolicamente durante la prima visita di Putin al suo nuovo omologo francese. Tuttavia proprio RT, nell’agosto scorso, ha aperto uno studio televisivo a Parigi, riaprendo di fatto la questione dell’influenza russa Oltralpe.
F – Oltre al FN, quali altri leader, partiti o raggruppamenti anti-sistema (penso a Mélenchon) o integrati al sistema (Fillon su tutti) si avvicinano maggiormente alla Russia? Con quali effetti concreti? Esistono dei finanziamenti da Mosca?
M – Non ci sono finanziamenti di mia conoscenza, nemmeno verso il FN (al di là di un prestito da parte di una banca russa): nessuno ha ricevuto fondi direttamente dal Cremlino. Sarebbe tra l’altro una cosa illegale.
I rapporti tra la politica francese e quella russa invece sono parecchi. Alcuni deputati della destra gollista hanno formato un gruppo di amicizia con la Russia. Uno di loro, Thierry Mariani, è andato più volte in Russia (Crimea compresa, atto compiuto contro il parere del ministero degli esteri), ed è spesso intervistato da RT e dagli altri media russi. L’ex candidato ala presidenza Fillon aveva anche un rapporto personale e diretto con Putin.
L’estrema sinistra, invece, ha ereditato alcuni dei vecchi legami con l’Urss. Se da una parte è vero che Mélenchon non intrattiene particolari rapporti con Mosca, dall’altra bisogna dire che alcuni personaggi vicini a lui ne hanno avuti. Di sicuro, ad ogni modo, non ricordo dichiarazioni particolarmente rigide contro la politica estera russa, da quelle sponde.
In campagna elettorale il più duro di tutti con la Russia è stato proprio Macron.
F – Eppure, non sembra che le relazioni tra Mosca e Parigi si siano particolarmente deteriorate. Come ha impostato Macron il suo rapporto con Putin nei primi mesi di mandato?
M – Come un rapporto di forza. Macron ha capito che le relazioni internazionali, in gran parte, sono dettate dai rapporti di forza e implicano dei meccanismi di dare e avere. Il Presidente ha impostato questo modus operandi con Putin. Da una parte non ha lesinato certe affermazioni anche dure sui diritti degli omosessuali o delle opposizioni in Russia, dall’altra ha riconosciuto il fatto che senza Mosca non si va da nessuna parte.
Sulle questioni legate ai media, alla libertà di stampa e ai diritti umani non ci può essere dunque un’intesa. Sul Medio Oriente invece sì.
Già in passato i francesi avevano cercato in tutti i modi di avere l’appoggio di Putin, come in Libia nel 2011 o in Libano nel 2005. Quando non hanno nemmeno provato a parlare coi russi, come in Siria, sono stati marginalizzati dal conflitto. Tuttavia la Francia sa giocare anche autonomamente. Nel recente affaire Hariri (il presidente dimissionario del Libano, ndr), ad esempio, non ha avuto contatti con Mosca.
F – Sembra che il Medio Oriente, oggi, rivesta una certa importanza per la Francia. Esattamente come per la Russia, peraltro. È lì che dobbiamo individuare le sponde per un nuovo dialogo tra Parigi e Mosca? O piuttosto dobbiamo cercarle nel futuro europeo, passando magari per Kiev?
M – L’Eliseo oggi ha tre fronti prioritari. Il Sahel e il Nordafrica (Libia naturalmente compresa), la Siria (dove sta cercando di recuperare influenza) e l’Iran. Naturalmente, anche la Russia è nelle lenti di Parigi. Ma, in un’ottica rivolta al futuro, un’attenzione maggiore viene riservata alla Cina.
L’obiettivo strategico russo, voi lo sapete meglio di me, è quello di evitare un blocco europeo molto forte. È preferibile, per il Cremlino, alimentare le divisioni con un progetto di destabilizzazione. Dunque non è in Europa che si troverà un’intesa franco-russa. E nemmeno a Kiev: l’Ucraina non è una priorità per la Francia, anzi mi chiedo per quale Stato al mondo, al di fuori della Russia, l’Ucraina nel 2018 sia una priorità.
Tornando alla Siria, si può dire che sia stata il più grande fiasco della politica estera francese. Ancora più della Libia, dove almeno, parlando in termini di obiettivi raggiunti, Gheddafi è stato ucciso. Nel 2013 Parigi prova a intervenire contro Damasco ma viene lasciata sola da Obama, che con la scusa dell’approvazione del Congresso si tira indietro. I francesi, peraltro responsabili della creazione dell’arsenale chimico di Assad, sono costretti a rimettere nel cassetto il loro piano di azione.
Oggi Macron sconta l’eredità strategica disastrosa di Hollande. È molto indietro rispetto agli altri, considerando anche che il carro dei vincitori a Damasco è già pieno. Si pensi solo alla Turchia e al cambio di rotta che ha dovuto fare in corsa, ma anche agli Stati Uniti. Partendo da queste premesse, Macron avrà un grande lavoro da fare per sedersi al tavolo delle trattative sulla Siria. Anche se non vedremo mai una sua foto insieme ad Assad, la direzione verso cui si sta andando è chiara.
F – Dunque la Francia ha rinunciato ad esercitare un ruolo idealista nelle relazioni internazionali?
M – La chiave di lettura per comprendere Macron è il suo pragmatismo. Il Presidente non ha leve ideologiche ed ha rotto con la politica neo-con, molto morale nella sua impostazione. A differenza di Hollande, che aveva un pessimo rapporto personale con Putin, Macron può trovare un’intesa sul metodo, sull’approccio.
F – E a proposito invece degli Stati Uniti, è possibile una triangolazione con Francia e Russia?
M – La Francia si situa storicamente a metà strada tra gli Stati Uniti e la Russia. In nessun momento del Novecento i francesi hanno chiuso del tutto a Mosca, come invece è avvenuto per i britannici. Quando Macron ha ricevuto Putin in pompa magna, ha voluto dare un segnale: il neopresidente considera la Russia un partner degno di rispetto.
A Macron piace molto l’idea di poter fare da ponte, al fine di accrescere l’importanza e il prestigio della Francia. Ma in questa fase sarà difficile, almeno finché i rapporti tra Putin e Trump non saranno chiari. Se è vero che, al di là delle dichiarazioni ufficiali, vi sono degli accordi sottobanco tra i due Presidenti, il ruolo e lo spazio di mediazione di Parigi si riducono moltissimo.