“Osserva i tuoi nemici, perché scopriranno per primi i tuoi punti deboli“. Il vecchio adagio di Antistene – non a caso fondatore della scuola cinica – servirebbe da utile promemoria per buona parte delle dirigenze politiche del Vecchio Continente. Queste ultime, difatti, si sono trovate impreparate a fare i conti con un rinnovato interventismo russo nei processi democratici altrui, e, in particolare, con il tentativo del Cremlino di fare breccia nelle opinioni pubbliche continentali. Ad onor del vero, sarebbe più razionale e sensato riferirsi alla Federazione Russa quale “competitore”, piuttosto che come “nemico”. Tuttavia, proprio l’incapacità di comprendere a fondo tale rinnovata capacità d’influenza da parte di Mosca ha fatto sì che il meccanismo di risposta rapida politico-mediatica dei variegati attori nazionali rispolverasse talvolta una retorica da Guerra Fredda, rivelatasi tanto infruttuosa sul piano pratico, quanto stantia su quello teorico.
Allo stato attuale delle cose, questa sorta di liaison fatale verso Mosca – rectius, verso il retroterra ideologico delle ultime presidenze Putin – è provata soprattutto dalle destre, ma non risparmia una nutrita schiera di partiti di sinistra, dalla Germania (Die Linke) alla Spagna (Podemos), passando per Grecia (SYRIZA), Bulgaria (Partito Socialista Bulgaro – BSP), Cipro (Partito Progressista dei Lavoratori – AKEL) e Repubblica Ceca (Partito Comunista di Boemia e Moravia – KSCM). I primi sposano quasi all’unanimità il taglio nazionalista, tradizionalista, social-conservatore e moderatamente anti-internazionalista (nell’accezione liberale del concetto), che caratterizza agli occhi degli spettatori esteri la Russia di Vladimir Putin. Gli altri condividono la presa di posizione russa nel contrasto a taluni aspetti della globalizzazione ed alla NATO, non di rado con un tocco di nostalgia verso ciò che è stato e non è più, specialmente nell’area dell’ex Patto di Varsavia.
Vale però la pena ricordarlo: le cause prime di questi fenomeni anti-establishment sono dovute a fattori con ogni probabilità interni, motivo per cui accusare la Russia non solo di averli fomentati e sfruttati, ma addirittura di averli causati, rischia di tramutarsi in uno scaricabarile incurante delle dinamiche sociali dei Paesi europei (e non solo), concedendo un ulteriore vantaggio al Cremlino. Se non altro, Mosca ha avuto la cinica perspicacia di identificare e toccare alcuni nervi scoperti, che, però, tali erano anche prima. Pertanto, comprendere l’effettivo coinvolgimento di Mosca e le sue modalità è una condizione imprescindibile per contrastarne efficacemente l’azione.
Se non altro, Mosca ha avuto la cinica perspicacia di identificare e toccare alcuni nervi scoperti, che, però, tali erano anche prima
Cupcake Ipsum, 2015
Cosa cerca la Russia
Quello tra la Russia ed i suoi sostenitori non sembra propriamente un rapporto con benefici unilaterali per Mosca, ma piuttosto un do ut des politico. Nel marzo 2014, pur in assenza di delegati OSCE al referendum in Crimea, il Cremlino reclamò la legittimità internazionale del voto, stante la presenza di una folta delegazione di partiti di destra (circa un centinaio). Questi includevano parte di quelli che sono oggi noti come “amici di Putin”, ossia il Front National francese, il FPÖ austriaco, il Jobbik ungherese, l’Alternative für Deutschland tedesca, la Lega Nord italiana, ed il Vlaams Belang belga. Oltre ai summenzionati, a destra mantengono ottime relazioni con Mosca anche l’Alba Dorata greca e lo UKIP di Nigel Farage, nonché il partito croato pigliatutto ed anti-sfratti Živi zid (Muro Vivente). Spesso e volentieri, anche i dirigenti di partiti mainstream di ambo le parti iniziano a sostenere la necessità di ri-avvicinarsi a Putin, come dimostrato nell’ultima campagna elettorale francese da François Fillon (repubblicano) e Jean-Luc Mélenchon (socialista radicale).
Uno degli sporadici casi accertati di finanziamento russo più o meno diretto ad uno dei suddetti ha coinvolto il partito di Marine Le Pen, cui è stato accordato un prestito di €9,4 milioni dalla First Czech-Russian Bank, ritenuta vicina al Cremlino. La Russia, tuttavia, non sembra aver bisogno di comprare i propri “amici”, che adotterebbero verosimilmente una retorica russofila in ogni caso (per il momento). La moneta di scambio è piuttosto il supporto reciproco su una serie di temi. Per il Cremlino, è fondamentale che una porzione sempre maggiore dei policymakers europei (alcuni dei quali nelle rispettive coalizioni di governo, come il FPÖ) appoggi le posizioni russe sullo status legale della Crimea, considerando al contempo le sanzioni economiche dell’UE una misura innecessaria ed insensata (il che spesso rappresenta un succulento trait d’union con la retorica euroscettica). Inoltre, è più agevole per le classi dirigenti russe dimostrare, in patria, che la Russia non è affatto isolata nel mondo, come invece vorrebbe far credere l'”Occidente”, e che anzi è proprio la Russia a viaggiare con il vento in poppa, a fronte delle fratture socio-politiche in UE e Stati Uniti.
Al Cremlino, dunque, la collaborazione sembra essere finalizzata all’ottenimento di lobbisti interni, in seno a quelle stesse istituzioni che vi si oppongono sul piano internazionale ed in politica estera: “divide et profice“, dividi e traine vantaggio.
Cosa cercano gli “amici di Putin” (veri o presunti)
Per certi versi, risulta meno immediata la comprensione dei potenziali effetti positivi che i partiti in questione possano conseguire supportando le visioni russe. Indubbiamente, uno di questi è il consenso di una consistente fetta dell’opinione pubblica. Sembra difatti essersi creato un circolo vizioso, per cui l’effetto combinato della retorica di opposizione all’attuale ordine social-liberale, e dell’attività di propaganda di teste d’ariete mediatiche russe (quali Sputnik e Russia Today), indebolisce la fiducia nelle classi dirigenti e rinforza la popolarità del modello opposto (cioè la Russia). Ciò rende un espresso sostegno a Mosca politicamente conveniente. In sostanza, pare che lo sposare la causa russa sia dettato da una funzionalità pratica, ovverosia quella di assecondare una visione (esterna) opposta a quella del “nemico” interno; d’altronde, come recita il detto: “Il nemico del mio nemico è mio amico“.
In buona sostanza, più che un matrimonio, quello tra il Cremlino ed i suoi “amici” europei pare essere una joint-venture per far fronte al “nemico comune”. Quest’ultimo, a seconda delle esigenze, può assumere diverse forme: quella di Bruxelles e delle sue politiche sull’immigrazione – non a caso in tempi di enormi flussi poco controllati, in piena allerta/psicosi terrorismo –, ed i stretti vincoli di bilancio. Altre forme predilette sono altresì i singoli Governi nazionali, l’Alleanza Atlantica, et cetera.
Tuttavia, quella tra nazional-populisti e russi sembra una relazione che difficilmente potrà resistere alla prova del tempo, se non altro perché risulterebbe alquanto ossimorico che dei nazionalisti prendano ispirazione da una Nazione estera. Qualora questi ultimi si ritrovassero al governo, infatti, potrebbero diventare essi stessi bersaglio di una nuova onda populista. E, a quel punto, anche il nemico del proprio nemico potrebbe diventare nemico.