A poche centinaia di metri dal Gran Palazzo del Cremlino – residenza ufficiale del Presidente Vladimir Vladimirovič Putin, nonché ex residenza moscovita degli zar Nicola I, Alessandro II, Alessandro III e Nicola II (quando la capitale dell’impero era nella pluviosa città baltica di San Pietroburgo) – sorge una maestosa chiesa ortodossa: la Cattedrale della Dormizione di Maria, caratterizzata dal medesimo stile russo-bizantino connotante la vicina Cattedrale del Cristo Salvatore. Ad edificare la Cattedrale della Dormizione, per diretta volontà di Ivan III “il Grande”, fu nientedimeno che l’architetto bolognese Aristotele Fioravanti, già autore del progetto di costruzione (non finalizzato personalmente) del Palazzo del Podestà della capitale emiliano-romagnola.
Invero, passeggiando per le principali città russe, non è raro imbattersi in costruzioni ideate e/o costruite da italiani, né particolarmente arduo notare una sorta di devota ammirazione del popolo russo nei confronti del Belpaese. Quest’ultima è percepibile, inter alia, dando un’occhiata ad una cartina geografica per scovare quella città russa sul Volga che di nome fa “Togliatti”; oppure ascoltando giovani e meno giovani cantare in un italiano maccheronico tormentoni di Adriano Celentano, che qui gode probabilmente di maggior popolarità di Bob Dylan; od ancora, leggendo nella biografia del drammaturgo realista Maksim Gor’kij la parte relativa al suo lungo esilio in Campania, tra Sorrento, Amalfi e Capri.
Se in passato a ricambiare tale amore erano quanti, a sinistra (specie nel PCI di Palmiro Togliatti e di Luigi Longo), vedevano tendenzialmente in Mosca e nella Rivoluzione d’ottobre buoni esempi da seguire anche ad ovest del Patto di Varsavia, dopo la dissoluzione dell’URSS persino ambienti precedentemente ritrosi nei confronti del Cremlino hanno constatato l’intervenuta mutazione istituzionale e sepolto l’ascia di guerra ideologica, adottando toni fraterni. Anche dopo le vicende georgiane (2008) e crimeane (2014), che hanno ri-alimentato fuochi mai del tutto sopiti e portato all’introduzione di pacchetti di sanzioni, da una parte, e contro-misure, dall’altra, l’inerzia dei rapporti bilaterali italo-russi non è sensibilmente cambiata (se non, appunto, per quanto concerne l’effetto delle sanzioni sugli scambi commerciali). Oggi, pertanto, non è corretto parlare (semplicisticamente) di “amici di Putin in Italia”, semplicemente perché la stragrande maggioranza degli attori politico-istituzionali condivide in partenza il dato di fatto che la Russia sia e debba rimanere un partner strategico, chiunque sia l’inquilino di turno al Cremlino (che nelle ultime due decadi è corrisposto proprio a Putin, verosimilmente destinato a permanervi per altri sei anni).
Non è un mistero la grande amicizia personale tra Silvio Berlusconi, ex premier ed indiscusso leader di Forza Italia, ed il presidente russo, conosciutisi in occasione del G-8 di Genova del 2001 (balzato agli onori della cronaca per ben altri motivi) e da allora protagonisti di un vero e proprio sodalizio, suggellato da cordiali incontri nella villa di Arcore, nella dacia di Zavidovo, e persino in Crimea (provocando più di qualche malumore a Kiev). Nel suo biennio di legislatura, anche l’attuale leader del Partito Democratico, Matteo Renzi, ha dimostrato di considerare Putin quantomeno un interlocutore “privilegiato”. Invitato nel 2016 al Forum economico di San Pietroburgo, ad un bilaterale con Putin, l’ex presidente del consiglio ebbe modo di impegnarsi per una ridiscussione delle sanzioni UE, sottolineando come Bruxelles e Mosca dovessero tornare ad essere “ottimi vicini di casa“. Anche il primo partito (?) in Italia, ossia il Movimento 5 Stelle, tende a vedere di buon occhio una relazione speciale con il Cremlino – come sottolineato dall’incontro di marzo 2016 a Mosca tra i deputati pentastellati Alessandro Di Battista e Manlio Di Stefano, e Sergej Železnjak, vicepresidente e responsabile esteri del partito di governo Russia Unita. Nella coalizione di centro-destra, uno dei più chiari endorsements nei confronti del Cremlino arriva poi dalla Lega Nord di Matteo Salvini, che all’inizio del 2017 ha inoltre firmato un accordo di cooperazione e collaborazione con Russia Unita (rappresentata dal solito Železnjak), consistente, nelle parole del segretario leghista, in “lotta all’immigrazione clandestina e pacificazione della Libia, lotta al terrorismo islamico e fine delle sanzioni contro la Russia“.
Non essendo l’Italia un Paese storicamente russofobo, le sanzioni economiche sono ivi considerate generalmente in negativo, essendosi la diplomazia italiana contraddistintasi notevolmente negli ultimi anni quale diplomazia economica, che non può che risentire della perdita stimata di cinque miliardi di euro in export. L’unica differenza è relativa al fatto che da una parte si spinge sì per una contestazione delle sanzioni, ma in seno alle stesse istituzioni UE, eventualmente rinunciando al potere di veto per dare una parvenza di compattezza europea; dall’altra, invece, se ne propone un’eliminazione tout court.
Non essendo l’Italia un Paese storicamente russofobo, le sanzioni economiche sono ivi considerate generalmente in negativo, essendosi la diplomazia italiana contraddistintasi notevolmente negli ultimi anni quale diplomazia economica
A fronte di ciò, rimane da analizzare quale ruolo Mosca possa giocare (o stia giocando) nelle imminenti elezioni politiche del 4 marzo. Complice anche la vicinanza delle elezioni presidenziali nella Federazione (18 marzo), destinate a concludersi nel conferimento di un quarto (ed ultimo, forse) mandato al pietroburghese Putin, il Cremlino sembra aver attuato un’accorta politica attendista. A Mosca sono ben consapevoli del fatto che, la mattina del 5 marzo, il combinato disposto dell’attuale groviglio di leggi elettorali e dell’emergenza di un sistema tripartitico, farà in modo che chiunque vinca abbia maggiori possibilità di trovare il proverbiale ago nel pagliaio, piuttosto che un’effettiva maggioranza di governo. L’ipotesi più realistica pare essere quella di una vittoria (pirrica) della coalizione di centro-destra, con un testa a testa tra il partito di Berlusconi e quello di Salvini, purtuttavia senza i numeri per governare. Subito dopo, il Movimento 5 Stelle e la coalizione di centro-sinistra (senza Liberi e Uguali di Pietro Grasso), che pare in caduta libera. Uno scenario che sembra portare dritto a governi di larghe intese o di “unità nazionale” (in campagna elettorale, ipotesi esclusa un po’ da tutti), da una parte, o nuove elezioni, dall’altra. Insomma, uno scenario caotico, che al Cremlino si limitano ad analizzare dall’esterno, attendendone le imprevedibili evoluzioni. E con la convinzione che, comunque vada, le linee generali delle dinamiche italo-russe rimarranno perlomeno omogenee (rendendo quasi superfluo “puntare su un cavallo vincente”).
È d’altronde dato d’esperienza che, così come Aristotele sosteneva che la natura aborrisse il vuoto, così in Russia si tende ad essere atavicamente predisposti a rifuggire tutto ciò che è disordine.
* In copertina: Incontro di Vladimir Putin con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella (www.kremlin.ru).