La testimonianza di Giulio Benedetti, un giovane studente italiano a San Pietroburgo. Riflessioni che partono dalla candidata Sobčak per allargarsi all’intero sistema politico russo, alla volatilità elettorale dei partiti e alle inclinazioni della nascente società civile.
Oggi sono in un bar del centro, sto ascoltando Ksenija Sobčak. Siedo in un angolo ad un tavolo in legno e metallo, di quelli che si trovano nei locali alla moda in Europa occidentale. Un muro di spettatori mi separa dalla candidata alla carica presidenziale, così mentre la ascolto guardo in alto, dove il soffitto a stucchi verde acqua stile impero fa da sfondo alle ragnatele di cavi e acciaio che si trovano in ogni discoteca. Al mio fianco si fanno largo due uomini con la telecamera del primo canale, il più seguito e filogovernativo tra i canali televisivi russi ed io mi trovo ad avere la sensazione di essere immerso in un esperimento sociale.
Tra poche ore comparirà nelle case dei pensionati russi l’immagine della candidata, dietro la quale campeggia lo slogan “contro la guerra”: si proporrà come portavoce neutrale di un voto “contro tutti”, l’opzione elettorale di memoria post-sovietica che fu eliminata nei primi anni duemila.
Perché qui al comizio dell’opposizione sto ascoltando Ksenija Sobčak, anziché un discorso incendiario di Naval’nyj? Perché quest’ultimo è stato escluso dalle elezioni con quello che ha tutta l’aria di essere un pretesto, se Putin gode di una popolarità soverchiante e universalmente riconosciutagli? E perché un presidente così forte dovrebbe scomodarsi a tentare il travaso dei voti dell’opposizione a supporto di un candidato fantoccio, quale la Sobčak è stata accusata di essere?
In Occidente queste domande si escluderebbero a vicenda, qui risuona invece nelle mie orecchie un’altra domanda che ho sentito ripetere più volte: perché andare a votare, se l’esito delle elezioni è scontato? L’epoca putiniana ha assistito a diversi movimenti di contestazione pubblica, di diversa natura e con numeri variabili, ma con il tratto in comune di aver coinvolto principalmente i ceti medio-alti. Il nocciolo duro dei sostenitori del leader dell’opposizione Naval’nyj è composto da professionisti, manager di medio livello ed esponenti di quella che in Europa chiameremmo società civile: persone perlopiù con un alto livello di istruzione che sentono forte il richiamo della lotta alla corruzione, suo cavallo di battaglia.
Coloro che votano e si infervorano sono cioè — come accade sempre più spesso anche in Occidente — perlopiù persone provenienti da uno stesso strato sociale medio-alto. Mobilitare il resto della società diventa così tanto decisivo quanto difficile: di nuovo, perché scomodarsi a votare se il risultato è scontato? In più, la ristretta base sociale dei partiti ne riduce la forza organizzativa, la capacità di inviare propagandisti negli strati periferici della società.
Questa è la ragione di base per cui le elezioni con l’esito più certo sono probabilmente al contempo agli occhi delle élite dominanti in un certo senso insicure, perché tradurre in voti il grande favore popolare di cui gode Putin è un processo materialmente molto più difficile che in società abituate al voto competitivo come quelle occidentali.
Ascolto la candidata dell’opposizione e ho l’impressione che al posto di ciò che dice sia più interessante ciò che non dice: le proposte che elenca — dal federalismo ad un nuovo referendum in Crimea — sembrano essere state accuratamente scelte perché fossero quelle che gli altri partiti non fanno. Sono in un certo senso i temi esclusi dalla campagna elettorale, che tornano alla ribalta nelle parole della candidata «contro tutti», un termine che nel linguaggio politico russo ha il sapore di una protesta neutrale, equidistante.
Tradurre in voti il grande favore popolare di cui gode Putin è un processo materialmente molto più difficile che in società abituate al voto competitivo come quelle occidentali.
Cupcake Ipsum, 2015
La mancanza di una vera polarizzazione rende anche labili i confini tra gli elettorati delle formazioni politiche, quei bacini elettorali che sono invece riconoscibili in società abituate al voto come quelle occidentali. Diversi studi hanno mostrato come cambiamenti limitati, come la presenza o l’assenza di un canale televisivo dedicato all’opposizione, oppure una diversa distribuzione di contenuti elettorali nei social network abbiano causato cambiamenti visibili nell’esito del voto.
Non è difficile ipotizzare che questa fluidità dell’elettorato sia ragione di preoccupazione per i funzionari del governo: del resto proprio Naval’nyj, dato oggi al 2% dei consensi, aveva raggiunto un imprevisto 27% nelle elezioni municipali di Mosca del 2013. Fino a dove si estendono i confini degli elettori potenziali di un partito? Quali sono gli argomenti in grado di mobilitarli? Tornando a Ksenija Sobčak, chi e perché potrebbe votare per lei, contro tutti gli altri? Ecco perché ho l’impressione di trovarmi in un esperimento sociale, anche se dire chi lo abbia orchestrato può essere meno semplice: Sobčak potrebbe essere un candidato fantoccio del Cremlino per neutralizzare Naval’nyj, come i più decisi sostenitori di quest’ultimo ripetono spesso. D’altro canto però il leader dell’opposizione, al netto dell’imprevedibilità così invisa all’establishment, è comunque privo di una vera base popolare o di un credito nelle strutture del potere statale ed economico. Una parte dell’opposizione può vedere quindi in Sobčak un candidato meno stigmatizzato, un volto noto della televisione con una certa dimestichezza con le élite del paese che potrebbe alla fine essere utile alla causa dell’opposizione raggiungendo nuovi consensi. Al di là delle speculazioni su cosa abbia mosso la candidatura di Sobčak, comunque, la sua presenza può fornire delle informazioni utili sulla società russa anche – paradossalmente – allo stesso governo in carica.
Perché d’altro canto, malgrado la popolarità del suo leader, il partito di Putin raccoglie comunque i voti di una popolazione perlopiù elettoralmente apatica usando ancora massicciamente le reti clientelari locali ed è attraverso una legge elettorale favorevole che si assicura poi un largo margine di maggioranza. In questo processo i governatori e i notabili locali hanno un ruolo preminente, cosa che ha un costo politico per il Presidente ed economico per le casse dello Stato centrale. I responsabili delle amministrazioni locali vengono spesso nominati da Mosca sulla base della quantità di voti che sono in grado di provvedere, il che finisce per influire sulla distribuzione dei fondi in un modo probabilmente meno efficiente rispetto alle intenzioni dello stesso Cremlino, che sta oggi facendo dei tentativi per coltivare una burocrazia centrale competitiva sul modello cinese.
Una progressiva risposta più attiva da parte della popolazione nelle tornate elettorali potrebbe rivelarsi tutto sommato positiva per il potere centrale nei suoi rapporti con le regioni, il che però richiederebbe di trovare quelle risposte sul modo per mobilitare i russi che il partito egemone non è stato finora in grado di trovare da solo. Se l’esperimento Sobčak sarà stato in grado di trovare queste risposte lo sapremo probabilmente dopo il 18 marzo, quando potrà essere valutato in termini di quante persone in più saranno state portate alle urne e in termini di stabilità dei bacini elettorali. Se è vero infatti che i russi non considerano il loro sistema né economicamente né politicamente “compiuto”, dall’altra parte è ancora vivo nella memoria dei più il ricordo delle sofferenze a cui portò l’idea di procedere contemporaneamente nella riforma politica ed economica del paese. L’autore di quella scelta fu Gorbačëv, l’uomo politico oggi forse in assoluto più inviso ai russi.
Giulio Benedetti