Con una percentuale di più del 75%, domenica 21 marzo Vladimir Putin ottiene il suo quarto mandato come Presidente della Federazione Russa, il periodo più lungo dopo quello di Stalin.
Recentemente, sul fronte asiatico, il leader cinese Xi Jinping è diventato eleggibile a vita, il che gli permetterebbe di essere l’unico presidente a ricoprire tale mandato dopo Mao Zedong. Sembra quasi un revival dei primi anni della guerra fredda, quando il 16 dicembre 1949 i due leader Stalin e Mao Zedong, al culmine del loro potere, si incontrano a Mosca per avviare i negoziati che avrebbero portato poco dopo alla firma del patto triennale di amicizia, alleanza e assistenza reciproca tra le due potenze.
Dunque non c’è da stupirsi se, in un momento così incoraggiante per le relazioni Russia – Cina, Xi Jinping è stato il primo a congratularsi con il presidente per l’inconfutabile vittoria di domenica. Il presidente cinese si è mostrato non solo soddisfatto dell’esito, ma ha apertamente incoraggiato la cooperazione tra i due stati, rimarcando come i rapporti Russia – Cina “abbiano raggiunto un alto livello di intesa senza precedenti”. La linea sulla quale proseguire, hanno concordato entrambi, è di rafforzare i legami bilaterali e portare la cooperazione ad un livello successivo, alimentando il pivot to Asia inaugurato da Mosca già nel 2014 in seguito alle sanzioni.
Il risultato delle elezioni è stato sicuramente accolto con entusiasmo anche dal premier venezuelano Maduro e boliviano Morales, che vedono in Putin un alleato contro “il furioso imperialismo” degli Stati Uniti, e sperano in una cooperazione verso un equilibrio geopolitico.
In Medio Oriente, il presidente iraniano Rouhani si unisce all’ondata di entusiasmo per la vittoria, ribadendo la volontà di procedere con lo sviluppo delle relazioni con la Russia in linea con i progressi fatti fin ora, soprattutto mentre l’accordo sul nucleare vacilla sotto l’impacciata politica di Trump e in un momento in cui la Russia assume un ruolo strategico nello scacchiere geopolitico mediorientale, centrale per il raggiungimento di un equilibrio tra Damasco, Teheran e Tel Aviv. Per questo stesso motivo anche il Premier Israeliano Netanyahu accoglie favorevolmente il nuovo mandato di Putin e incoraggia alla cooperazione. Il fronte siriano incoraggia anche le relazioni turco–russe, con il premier Erdogan che in una telefonata si mostra soddisfatto per la vittoria di Putin.
Nel giardino di casa della Russia, una forte opposizione viene dalla Georgia. Il Presidente Giorgi Margvelashvili ha predetto un cambio di rotta negativo a cui andrà incontro la Federazione guidata da Putin. “Come c’è un momento per gli Stati Uniti, per Londra, per Bruxelles” afferma “ci sarà anche un momento per la Russia quando gli Stati capiranno che la loro sicurezza è in pericolo”. Del tutto diverso è il tono delle congratulazioni di Krasnoselsky, presidente della (non riconosciuta) Transnistria, che ha rimarcato la fiducia del popolo della Transnistria nelle politiche economiche della Russia.
“Come c’è un momento per gli Stati Uniti, per Londra, per Bruxelles, ci sarà anche un momento per la Russia quando gli Stati capiranno che la loro sicurezza è in pericolo”.
Giorgi Margvelashvili
Sempre ragioni geostrategiche spiegano l’affinità del Giappone alla presidenza Putin, il quale si è dimostrato abile stratega anche nel dialogo con la Corea del Nord, in un contesto politico in cui la pressione è alta prima dell’imminente summit tra Trump e Kim Jong Un. “I due leader confermano la loro stretta cooperazione nel realizzare la denuclearizzazione della Corea del Nord” sostiene il primo ministro giapponese Shinzo Abe congratulandosi all’alba dei risultati. Altro orizzonte strategico comune che incentiva l’affinità delle politiche tra i due stati sarebbe la questione sulle isole Curili, in termini di accordi economici e misure umanitarie in favore dei residenti giapponesi.
Nel contesto europeo, lo scenario è certamente più differenziato. L’apertura delle indagini sul caso Skripal’ non ha fatto altro che aumentare la sfiducia e la perplessità nei confronti del presidente Putin, già marcata da una forte diffidenza per la questione della Crimea. Merkel e Macron hanno mostrato una certa distanza nel complimentarsi per la vittoria. Merkel in particolare ha ribadito l’importanza di rafforzare il dialogo con la Russia. Il portavoce della cancelliera ha riportato come la stessa non abbia mancato di sottolineare come diverse sono le sfide che Germania e Russia devono affrontare nella normalizzazione dei rapporti. Il Presidente tedesco Steinmeier riconosce la base solida nelle relazioni bilaterali con la Russia, ma più dura è l’opinione del Ministro degli Affari Esteri Heiko Maas, che considera Mosca un partner difficile ma necessario.
Anche la Francia di Macron non si sbilancia nel parlare di cooperazione. In effetti, i rapporti tra Parigi e Mosca non sono ad un alto livello di affinità per quanto riguarda la politica internazionale, in primis per la divergenza di strategie nel conflitto in Siria, con Macron che non trova il sostegno di Putin in merito a esercitare una maggiore pressione sul regime di Assad e che non ha approvato, in sede delle Nazioni Unite, la difesa russa del regime siriano in merito all’uso di armi chimiche.Sul fronte economico, sottolinea la necessità di procedere verso una modernizzazione nella Federazione.
Se i due leader non si sono sbilanciati nel dare il benvenuto al nuovo mandato, le istituzioni europee hanno fatto trasparire una chiara intransigenza dati gli avvenimenti recenti che hanno accentuato l’atteggiamento di circospezione nei confronti della Russia. L’Alto Rappresentante Federica Mogherini ha ribadito come non sia possibile un rilassamento delle sanzioni al momento. Rigide sono state le opinioni contrarie alle congratulazioni offerte dal Presidente della Commissione Juncker tramite una lettera, poi resa pubblica in un tweet. Un gesto che è stato considerato “irrispettoso” dal leader del partito Conservatore del Parlamento Europeo, Ashley Fox. Ugualmente, anche il rappresentante del dialogo Brexit, Guy Verhofstadt, in un tweet ha dichiarato come non sia il momento delle congratulazioni dato il clima di incertezza ad indagini sul caso Skripal’ appena avviate. Inoltre, in un articolo pubblicato dal quotidiano The Guardian, Verhofstadt incita gli Stati europei a prendere una posizione più decisa contro una Russia che “è apertamente in guerra con la democrazia e i valori liberali occidentali”, nonché a riaprire il dialogo sulla Difesa europea come baluardo contro la minaccia crescente della Russia, in cui una “Helsinki 2.0” sarebbe un passo necessario che è tempo di compiere.
E se da un lato in Europa le opinioni di partiti ed istituzioni moderate divergono, dall’altro i partiti populisti in ascesa si mostrano in maniera univoca entusiasti per l’esito delle elezioni. Marine Le Pen, in netta contrapposizione con quanto affermato dalle istituzioni europee, dichiara come la modalità con cui si sono svolte le elezioni in Russia sia la dimostrazione di una stabilità democratica. Inoltre, con riferimento alle opinioni più marcatamente antirusse, considera il rigido atteggiamento dell’Europa controproducente nel dialogo con Mosca; chiede invece la ricerca di un’azione comune sul fronte antiterrorismo, in cui sarebbe da individuare “il vero nemico”.
Su quanto affermato dalla leader del Front National, non può mancare l’eco dei partiti di destra in Italia. Giorgia Meloni si complimenta con un tweet per la vittoria e l’europarlamentare Salvini rievoca la sua foto nella Piazza Rossa con una T-shirt di Putin.
Il Movimento 5 stelle, all’unisono su certi temi di politica estera con la Lega, con cui potrebbe prossimamente formare un governo, per l’occasione non ha mancato di incoraggiare la campagna russa in Siria, ha ribadito l’avvenuta ingerenza della Nato nel fomentare l’Euromaidan di Kiev ed ha espresso la necessità di cancellare le sanzioni.
Dichiarazioni che fanno riflettere. Già lo scorso dicembre il M5s e la Lega si sono ritrovati riuniti sulla stessa linea di difesa contro l’ex vicepresidente degli Stati Uniti, Joe Biden, che ha accusato la Russia di aver interferito nell’esito del referendum costituzionale che ha portato la sconfitta di Renzi. Lo stesso Biden avrebbe anche dichiarato come dietro alla rapida ascesa del movimento pentastellato ci sia la mano russa. In quell’occasione, Salvini si è schierato in difesa del movimento, sostenendo come “Renzi avesse perso il referendum per il buon senso degli Italiani e non per volontà di Putin”. Ha ribadito, inoltre, che il dialogo con la Russia è essenziale e ha ritenuto le sanzioni una follia.
Dall’Ungheria, anche il premier Orban invia una lettera di congratulazioni a Putin, accompagnato anche dal leader pro russo Milos, Presidente della Repubblica Ceca e dal Presidente della Bulgaria, Rumen Radev.
C’è un filo rosso che lega i populismi euroscettici, che sembrano alimentare la loro affinità reciproca in contrasto alla crescente russofobia in Europa. Theresa May, ad eccezione di Francia e Germania, non può contare su un appoggio unanime dall’Europa. Posta in un vicolo cieco dalle trattative per l’uscita dall’UE, Londra sarebbe spinta a cercare un più vasto sostegno a livello internazionale. Tuttavia, dalla Casa Bianca non giunge oggi alcuna dichiarazione astiosa nei confronti di Putin. Al contrario, Trump ricorda come le relazioni con il Presidente siano per lo più sempre state promettenti, attirandosi in questo modo le critiche del senatore John McCain. Lo stesso ha ritenuto il commento del Presidente un insulto alla violata libertà di voto dei cittadini russi.
C’è un filo rosso che lega i populismi euroscettici, che sembrano alimentare la loro affinità reciproca in contrasto alla crescente russofobia in Europa.
Di fronte al divario di opinioni sempre più netto, due scenari appaiono più probabili. Da una parte i partiti populisti europei in ascesa trovano sempre più un credibile alleato in Putin che, confermato il suo quarto mandato per sei anni, inciderà sicuramente sulla forza della demagogia in Europa, in un gioco che vede un deciso contro bilanciamento verso le democrazie moderate e liberali. Dall’altra la prospettiva enunciata da Guy Verhofstadt riguardo la ripresa dei dialoghi su Helsinki verso la creazione di una Difesa europea, iniziati nel 1970 e proseguiti a singhiozzo fino ai nostri giorni, potrebbe trovare proprio in questo contesto nuova linfa nella crescente russofobia in Europa.