Pochi giorni fa il Presidente russo è stato rieletto per la quarta volta. Benché non sia stata una sorpresa per nessuno, vorrei chiederti ugualmente come l’evento sia stato vissuto tra i governi del Medio Oriente. Altri sei anni di Putin sono un sospiro di sollievo o una disgrazia?
Dipende dai singoli governi o aree. Tendenzialmente si ha una consapevolezza nella regione che la Russia è il primo attore politico, ormai più influente degli Usa. Volenti o nolenti si devono fare i conti con Mosca e con l’atteggiamento di Putin, che ha impresso un carattere proprio in Medio Oriente.
Un po’ tutti i governi ormai hanno l’interesse ad avere una Russia forte, perché anche se quest’ultima dà l’impressione di voler proteggere gli interessi dell’Iran, mantiene sempre un profilo di mediazione quando si presentano divergenze e conflitti coi due grandi rivali di Teheran, Israele e l’Arabia Saudita. Anzi, bisogna dire che l’Iran si sente spesso stretto nella morsa russa, ma nell’equilibrio di costi e benefici il fattore Mosca continua chiaramente a essere un elemento positivo.
Tendenzialmente si ha una consapevolezza nella regione che la Russia è il primo attore politico, ormai più influente degli Usa. Volenti o nolenti si devono fare i conti con Mosca e con l’atteggiamento di Putin, che ha impresso un carattere proprio in Medio Oriente.
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Sicuramente, Mosca può essere vista come un elemento di continuità nella geopolitica del Medio Oriente. Benché ne sia stata quasi assente all’indomani della fine dell’URSS, da quando vi è tornata ha portato avanti una politica lineare e sulla carta “stabilizzatrice”. Tutt’altra storia rispetto agli americani, che hanno cambiato spesso strategia e approccio. Sono elementi visti positivamente dagli alleati, ma probabilmente anche dai potenziali avversari, non credi? Una strategia lineare è anche più prevedibile.
Sì, il punto è che quando un attore rivale cambia politica c’è la speranza che la sua strategia si indebolisca, o comunque di trarre dei vantaggi dai nuovi assetti che si configurano. Tuttavia, nell’incertezza, una strategia lineare sarà sempre più apprezzata. E questo a prescindere dai rapporti politici che si intrattengono con la potenza in oggetto.
Penso ai curdi che hanno difficoltà a comprendere la politica estera statunitense. Degli americani, sanno soltanto che sono abbastanza fluttuanti e discontinui, anche nell’atteggiamento. Non necessariamente preferiscono Mosca, ma di fatto si rendono conto che coi russi possono parlare e pianificare un progetto politico. Con tutti i limiti del caso, ma senza grandi scossoni.
L’unica eccezione a questo quadro sono forse le relazioni con la Turchia. E poi c’è Israele, forse l’attore per il quale le azioni russe mostrano una maggiore problematicità…
La Turchia sicuramente negli ultimi anni ha dovuto piegarsi allo strapotere russo, nella questione siriana e non solo. Erdoğan si era indebolito a livello regionale, ed è dovuto scendere a patti per non soccombere.
Oggi il Mediterraneo orientale è un mare russo. Ankara e Mosca hanno tutta una serie di convergenze e interessi condivisi, ma il rapporto si è instaurato in una gerarchia non paritaria e favorevole a Putin. Erdoğan ha dovuto accettare di stare sotto l’ombrello russo, basti vedere gli accordi di Astana.
Per quanto riguarda Israele, le relazioni con Mosca sono state piuttosto tese in passato, ma al di là del fatto che è il primo alleato strategico degli Usa, ha bisogno della Russia per proteggere i suoi interessi militari, così come per avere un’ulteriore sponda politica e diplomatica nella regione.
Quali sono le attuali prospettive dell’intervento russo in Siria? Superato lo “scoglio” (si fa per dire) della tornata elettorale, teoricamente la Russia avrebbe piede libero per restare diversi anni.
La presenza militare e politica russa si inserisce in un quadro di espansione egemonica più ampio, tutti i paesi rivieraschi del Mediterraneo orientale sono alleati di Mosca. Guardando la geografia, dai Dardanelli a Suez è un mare profondamente dominato dalla Russia, politicamente e militarmente. E le basi in Siria sono tra le più importanti ma non le uniche, date anche le recenti manovre russe a Cipro e in Egitto.
Nel contesto siriano, la proiezione militare russa si realizza nella parte centrale e occidentale del Paese, ed in particolare nella fascia costiera. Ciò permette a Mosca sia di essere un garante nei confronti di Israele e dell’Iran, sia di poter decidere cosa fare ad Afrin. Anche più a oriente, il Cremlino ha degli interessi: poco tempo fa una delegazione russa si è spostata oltre l’Eufrate. Se potrà espandersi, anche in direzione dell’Iran, la Russia lo farà. Putin intende rimanere a lungo sia politicamente che militarmente.
Tutti i paesi rivieraschi del Mediterraneo orientale sono alleati di Mosca. Guardando la geografia, dai Dardanelli a Suez è un mare profondamente dominato dalla Russia, politicamente e militarmente.
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La linea “pragmatica” russa del non farsi nemici, quanto può durare? Soprattutto, con una presenza più stabile e con alcune scelte di campo indiscutibili, come il supporto allo schieramento sciita, la possibilità di farsi dei nemici è ampia. Penso in particolare all’Arabia Saudita…
Dei rischi naturalmente ci sono, ma la Russia si sta guardando bene dall’esporsi troppo, in modo diretto.
La lettura confessionalista (ovvero vedere tutto in un ottica di scontro tra confessioni religiose: sunniti vs sciiti, islam vs cristianesimo, ecc.) tendo invece a relativizzarla. È vero che l’Arabia Saudita ha una dottrina wahabita e anche una visione radicale ed estrema della sua applicazione, ma non la definirei un punto di riferimento dell’islam sunnita. I sauditi si servono del jihadismo e usano tutte le leve a loro disposizione per muovere i fili mediorientali, ma anche nel campo sunnita hanno dei nemici importanti (pensiamo solo ai Fratelli Musulmani). L’ascesa del principe ereditario saudita Muhammad ben Salman si sta muovendo su due binari: da una parte il consolidamento del potere interno, avviato anche con aperture e riforme cosmetiche; dall’altra il tentativo di rompere l’accerchiamento dell’Iran, percepito come sempre più spavaldo.
I sauditi hanno perso in Yemen; in Libano la loro influenza è limitata rispetto a qualche anno fa (il premier libanese Saad Hariri è un finto nemico di Hezbollah, ormai controllabile); in Iraq cercano di rimettersi in carreggiata, ma l’Iran mantiene sempre il controllo; in Siria infine è noto: le milizie filo saudite hanno perso e si stanno arrendendo nella Ghuta. Riyad è un attore in difficoltà che sta cercando di rialzarsi e di limitare le perdite.
Ecco perché la Russia ha detto: “se volete, ci siamo anche noi qua”. L’interesse dei sauditi è quello di non restare isolati e vulnerabili in un Medio Oriente in trasformazione, dove gli Stati Uniti non possono più fare da garanti. E a Mosca, al di là della contingente alleanza con l’Iran, questa situazione fa pure comodo, permettendogli di allargarsi anche nel Golfo.
Parliamo della versione russa degli eventi. RT in lingua araba quanto è diffusa, e quanto attecchisce tra la popolazione? Come viene vista la Russia dall’opinione pubblica mediorientale?
Da un punto di vista mediatico le emittenti russe in lingua araba sono seguite ma in misura relativa, da una fetta di ascoltatori di fascia medio-alta, che si informano su diversi canali e spesso simpatizzano per Mosca. Si tratta di media meno diffusi di quelli panarabi, o di quelli nazional-popolari filo iraniani.
La Russia è pur sempre un attore estraneo al panorama linguistico, culturale e religioso del mondo arabo.
A livello locale, per quel che concerne la presenza militare, in Siria i russi sono considerati gli unici credibili, che rispettano la parola, ordinati, e di cui si può fidare anche se si è rivali o nemici.
Tale opinione non è ovviamente condivisa da chi subisce i raid aerei russi. Ma in tutte le altre aree siriane la percezione dell’uomo comune, e anche dell’opposizione non dura e pura e che non ha subito perdite, è questa. Vedono i soldati russi come un’oasi di rispetto, a differenza ad esempio delle milizie iraniane. I siriani si sentono più tranquilli quando incontrano membri dell’esercito russo: sono disciplinati, non rubano, non hanno un atteggiamento aggressivo come altri attori militari presenti in Siria.
I siriani vedono i soldati russi come un’oasi di rispetto, a differenza ad esempio delle milizie iraniane. Si sentono più tranquilli quando incontrano membri dell’esercito russo: sono disciplinati, non rubano, non hanno un atteggiamento aggressivo come altri attori militari presenti in Siria.
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Anche questo fa parte della strategia del soft power russo?
I diplomatici russi parlano tutti un ottimo arabo, perché evidentemente prima di recarsi in Medio Oriente ricevono un periodo di addestramento molto lungo e accurato. Questo dà all’ascoltatore locale un senso di rispetto e di vicinanza, elementi niente affatto indifferenti nella formazione di una percezione della presenza russa nell’area. Lo stesso non può dirsi della diplomazia americana, generalmente percepita come meno attenta a questi “dettagli” e in generale al rapporto con l’opinione pubblica araba. Sicuramente nel medio e lungo periodo questo divario potrà influenzare le relazioni politiche nell’area.