Poche settimane fa abbiamo visto l’andamento ed i numeri della spesa militare russa (qui l’articolo): cifre in aumento e tendenze di crescita costanti a partire dal 1999. Ebbene, per la prima volta in 18 anni, il budget militare della Federazione russa risulta in diminuzione. Questo è quanto risulta dalle stime del SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) per l’anno 2017 (link al report). Secondo la loro analisi, la Russia avrebbe speso 66,3 miliardi $, in flessione (-20%) rispetto al 2016. Nella Top 10 degli investimenti militari, gli USA sono rimasti costanti, la Cina ha aumentato notevolmente i propri fondi e Mosca si è vista superata al terzo posto dall’Arabia Saudita. Un dato molto interessante e da tenere d’occhio, soprattutto se osserviamo l’attuale contesto mediorientale: sempre secondo SIPRI, tra i primi 10 Paesi per percentuali di PIL investite nel settore militare, ben 7 si trovano in Medio Oriente.
Top 15 dei budget militari del 2017 [spese in miliardi $ (ai prezzi 2016)] – Fonte SIPRI, Trends in Military World Expenditure, 2017
Un segnale molto importante per quanto riguarda Mosca. Dmitrij Peskov, portavoce del Cremlino, commentando i dati ha criticato le cifre, ma non ha smentito il loro contenuto. “I numeri non corrispondono alla realtà, ma le tendenze sono corrette” ha affermato Peskov all’agenzia TASS, giustificando il graduale piano di riduzione del budget con il conseguimento del completo rinnovamento tecnico e tecnologico del complesso militare russo. Le dichiarazioni del portavoce sono coerenti con quanto sostenuto dopo una settimana dalle elezioni presidenziali. Il 23 marzo, intervistato da RIA Novosti, Peskov ha ribadito che l’OPK (l’apparato militare-industriale) ha raggiunto il suo picco e, riprendendo le promesse fatte da Putin in campagna elettorale, ha affermato che entro un massimo di 5 anni la percentuale di PIL investita scenderà sotto al 3% (ad oggi superiore al 4% PIL).
Parole e progetti importanti, troppo per poter essere spiegate semplicemente con il superamento di un traguardo tecnologico. In un contesto internazionale fatto di minacce nucleari e caratterizzato da un divario crescente tra USA-Cina ed il resto del mondo, quali altri fattori possono aver concorso nel prendere questa decisione?
Innanzitutto, si può dire che fosse abbastanza prevedibile. Già i programmi promossi da Putin per il prossimo settennato lasciavano intravedere un forte ritorno dell’attenzione ai problemi interni della Federazione che, nonostante la crescita sostanziale dell’ultimo decennio, sono rimasti in molti ed ingombranti. Lotta alla povertà e aumento generale del benessere dei cittadini sono state le parole d’ordine preelettorali. Temi sicuramente molto spinosi, soprattutto per la necessità di misure economiche ingenti, ma necessari da affrontare, soprattutto in un Paese in cui la diseguaglianza e le disparità sociali sono cresciute fino a superare i livelli prerivoluzionari dell’Impero zarista. Stando ai dati dell’ultimo World Inequality Report 2018, l’1% più abbiente possiede 20 volte il reddito del cittadino medio russo, mentre lo 0,001% più ricco detiene ben 2547 volte la media nazionale. Vanno considerati anche i 20 milioni di russi che vivono sotto la soglia di povertà, cifra dimezzata rispetto ai 42 milioni di poveri nel 2000, ma “ancora inaccettabilmente alta“, come ha dichiarato Putin stesso il 1° marzo, rivolgendosi all’Assemblea Federale:
A causa delle conseguenze della crisi economica, la povertà è aumentata di nuovo. Oggi, 20 milioni di cittadini si trovano ad affrontarla. Certo, non sono 42 milioni, come nel 2000, ma è ancora inaccettabilmente troppo. Persino alcuni lavoratori vivono molto modestamente.
Vladimir Putin si rivolge all’Assemblea Federale russa, 1° marzo 2018 (Foto: kreml.ru)
Certo non è facile reperire gli strumenti necessari, particolarmente in questa fase caratterizzata dal prezzo basso delle materie prime (soprattutto del petrolio), dalle sanzioni anti-Mosca, dall’attività russa sui fronti esteri (a partire dalla Siria). La crescita economica è positiva, ma molto rallentata rispetto ai ritmi sostenuti del periodo 2000-2007; come vediamo dal grafico, dopo la crisi globale del 2008 c’è stata una ripresa eclatante, ma molto effimera.
Quando i tassi di crescita non sono stati negativi, si sono comunque attestati sotto il 2% e le previsioni future sembravo confermare la “tendenza dell’1,5%”. Troppo poco per voler sostenere una marcia economica trionfante come quella delle prime due presidenze, ma è forse lo scotto da pagare per una struttura economica eccessivamente legata al mercato energetico e ai suoi andamenti.
Come si può notare, ai picchi del 2000-07 è seguito un crollo dovuto alla crisi economica-finanziaria globale, una repentina ripresa ed un assestamento tra 0,5-1,5% nell’ultimo periodo. Fonte: FMI data
È più che comprensibile, quindi, la maggiore attenzione rivolta dentro ai propri confini. Putin si dimostra così consapevole dei problemi economici e sociali che affliggono la Russia e sa di doverli affrontare nei sette anni che lo attendono; lo sapeva in campagna elettorale, dove i grandiosi proclami sono fondamentali nel gioco politico, e lo ha confermato nel giorno del suo insediamento. Nel suo discorso, il Presidente ha dato priorità assoluta alla “risoluzione dei problemi di sviluppo interni più pressanti, per una svolta economica e tecnologica, per aumentare la competitività“. Proseguendo, Putin ha affermato con decisione:
Il nostro orizzonte è una Russia per le persone, un paese di opportunità per la realizzazione di ogni individuo.
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Non che il patriottismo sia mai mancato, né ai russi né a Putin in particolare, ma le parole “patria“, “antenati” e “Russia“, così estremamente ricorrenti nel discorso d’insediamento e in tanti particolari della cerimonia (come analizzato qui da Giusy Monforte), hanno un peso ed una sfumatura diversa. Non necessariamente una chiusura su sé stessi, ma un cambio di priorità, il ritorno alla centralità della Russia, dei suoi limiti e delle sue contraddizioni.
È forse questa la chiave di lettura della riduzione del budget militare affrontato in apertura. Ma attenzione, non significa che Mosca scomparirà o si ritirerà dallo scenario globale, abbandonando un ruolo da protagonista pazientemente riconquistato. Se il piano militare scivola in secondo piano, sarà sul campo diplomatico che il Cremlino aumenterà i propri sforzi (già molto significativi) e continuerà a difendere i propri interessi e le proprie posizioni, come abilmente fatto fino ad oggi con una massiccia dose di pragmatismo.
Lo stesso Putin ha confermato che:
La Russia è una partecipante forte, attiva e influente nella vita internazionale e la sicurezza e la difesa del Paese sono assicurate. Continueremo a dare a questi problemi la necessaria e costante attenzione.
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Mattia Baldoni