Nella recente intervista fatta da Pietro Figuera, Lorenzo Trombetta [corrispondente ANSA da Beirut] ha confermato come la Russia venga valutata essenzialmente un elemento positivo e stabilizzante in Medio Oriente, abile nel tenere aperte tutte le porte possibili. Il Cremlino, come visto, non chiude il dialogo con nessuno nonostante le tensioni internazionali e l’irremovibile sostegno a Bashar al-Assad: le autorità russe mantengono costanti colloqui con l’Iran, ma anche con la Turchia, con la Giordania e con l’Arabia Saudita. Le relazioni con Riyad sono tra gli esempi più evidenti della tattica russa, pragmatica e misurata, a maggior ragione nel complesso contesto siriano. È interessante quindi analizzare i rapporti con il regno saudita, che sembra essere così politicamente distante da Mosca (soprattutto dopo il sostegno di Riyad all’ultimo raid sulla Siria guidato da Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna – 14 aprile 2018) e fermo alleato degli USA dal 1945, sin dallo storico incontro tra Franklin D. Roosevelt e lo sceicco Abd al-Aziz ibn Saud.
Guardando indietro nella storia è curioso vedere come, potenzialmente, Riyad sarebbe potuta diventare uno stretto partner per l’URSS: nel 1926 fu proprio il Paese dei Soviet il primo a riconoscere la sovranità dell’allora Re Abd al-Aziz sulle due regioni del Hijaz e del Nejd [costitutive dell’attuale Arabia Saudita] e subito furono costruite floride relazioni diplomatiche e commerciali in funzione anti-britannica. Il principe ereditario Faisal visitò Mosca nel 1932 e intrattenne una forte amicizia con i diplomatici sovietici Nazir Tjurjakulov e Karim Chakimov, ma Stalin, piuttosto scettico sulle potenzialità della monarchia araba, nel 1938 fece arrestare e giustiziare entrambi, causando lo sdegno del principe e la brusca interruzione dei rapporti. Ironia della sorte, nello stesso anno alcuni geologi americani della Standard Oil scoprirono le vaste riserve petrolifere del regno saudita; con i Sovietici fuori dai giochi, USA e Gran Bretagna furono liberi di sfruttare queste immense ricchezze.
Il principe ereditario saudita Faisal con Karim Chakimov a Mosca, 1932 (Fonte: wikipedia.ru)
Tornando ai giorni nostri, dopo la formale ripresa dei rapporti nel 1992, per circa 25 anni il rapporto russo-saudita è rimasto pressoché simbolico, segnato da pochi scambi e molte frecciate. Da sottolineare come, in un report del 2001 (post-11 settembre e con la guerra in Cecenia in corso), il Ministero della Giustizia russo identificasse il terrorismo islamico dei gruppi estremisti del Caucaso con il Wahhabismo, corrente giuridico-teologica dell’Islam sunnita e costitutiva dell’ordine politico e sociale in Arabia Saudita (minimizzando invece la minaccia sciita dell’Iran contro gli Stati Uniti). Nel 2003 Re Abdullah si recò a Mosca dopo 71 anni dalla prima e unica visita, mentre è stato Vladimir Putin, di ritorno dalla famosa Conferenza di Monaco, a visitare Riyad e Doha nel 2007, soprattutto per cercare di mantenere un certo controllo sulla questione della cooperazione e del coordinamento delle politiche energetiche.
È con lo scontro in Siria che oggi si intensificano i contatti diplomatici, con cadenza mensile come riscontrabile dal sito del Ministero degli Esteri russo. I due Paesi restano fermi sulle proprie posizioni, attuando strategie diverse che non spostano gli equilibri: da un lato Mosca concerta le proprie mosse politiche con Iran e Cina; dall’altro, Riyad guadagna consensi nella Lega Araba e nei gruppi internazionali a sostegno dei ribelli siriani, mentre propone alla Russia di ridurre la produzione petrolifera saudita in cambio della fine del supporto a Bashar al-Assad.
Il Cremlino è al corrente degli ambigui rapporti tra alcuni gruppi radicali e jihadisti e più o meno sconosciuti finanziatori dalle Monarchie del Golfo. Nel 2012 il portavoce russo Lukaševič denunciò apertamente l’approvvigionamento di armi agli estremisti, “in particolare da alcuni partecipanti al cosiddetto Gruppo di Amici della Siria […] tra cui l’Arabia Saudita e il Qatar. In particolare, il Ministro degli Esteri saudita al-Faisal l’avrebbe definita un’ottima idea per l’opposizione“. Nonostante i toni sempre più aspri e la condanna di certe relazioni, Mosca continua ad interloquire con tutti i soggetti coinvolti nel conflitto siriano, soprattutto dopo l’intervento militare diretto dal settembre 2015 che ha ribaltato l’andamento della guerra. L’episodio più rilevante per capire il multilateralismo della politica estera russa è il recente incontro [5 ottobre 2017] tra Vladimir Putin e il re saudita Salman avvenuto a Mosca. Quella che è stata fondamentalmente una pomposa cerimonia, ricca di cortesie e povera di contenuti (accordi per investire 2 miliardi $ in hi-tech ed energia e vendita del sistema missilistico S-400, molto modesti rispetto ai contratti militari statunitensi da oltre 15 miliardi $) conferma tuttavia la disponibilità e l’apertura del Cremlino al compromesso. Come si può spiegare questa strategia russa?
Vladimir Putin e il re Salman dell’Arabia Saudita durante la cerimonia di benvenuto prima dei colloqui al Cremlino, 5 ottobre 2017 [Reuters / Yuri Kadobnov]
Difendendo il governo siriano, Mosca sembra voler fermamente radicarsi al centro del crocevia mediorientale e, in secondo luogo, calamitare verso di sé gli interessi delle potenze regionali medio-grandi, superando gli antagonismi storici e creando effettivamente una nuova rete di potere. Si potrebbe così confermare l’interessante previsione-metafora fatta da Dimitri Trenin già nel 2006, per il quale “la Russia è come Plutone: è un pianeta del sistema occidentale, tanto lontano dal centro quanto sempre importante per la sua struttura. Adesso [2006] la Russia lascia la sua orbita e si rende conto di poter creare un altro sistema, con sé stessa al centro”. Sembra proprio che il Pianeta Russia abbia intrapreso da tempo il suo percorso nello scenario internazionale.