Nasce “Peredača”, una rubrica a cura di Claudia Ditel. Peredača in russo vuol dire “trasmissione”: da intendersi sia come comunicazione mediatica, sia come passaggio, cessione in senso più ampio. La rubrica infatti si occuperà di selezionare e commentare alcune voci dell’informazione russa e dell’area ex sovietica.
Nelle ultime settimane l’Ucraina ha visto un aumento delle tensioni nel Donbass e parallelamente le politiche di Porošenko hanno mostrato una volontà sempre più marcata di distanziarsi dagli accordi che da decenni legano Kiev alla Federazione russa.
Nuove tensioni nel Donbass
Gli scontri tra le forze ribelli della Repubblica Popolare di Doneck (RPD) e le forze regolari ucraine sono avvenuti nei pressi della città di Gorlovka, a 40 km da Doneck. Il villaggio di Chyhyri, nella periferia della cittadina di Garlovka, anche conosciuta con il nome di Horlivka, è ora occupata dalle forze ribelli. Come riportato dal maggiore della città, Ivan Prichod’ko, i civili di Gorlovka hanno subito significativi danni e centinaia di case sono state distrutte. L’attacco è stato definito come il maggiore compiuto dalle forze ucraine dal 2015.
La zona di Gorlovka è particolarmente importante per la sua posizione strategica. Circondata da alture, costituisce un punto strategico di difesa ma anche un trampolino per sferrare attacchi successivi. Inoltre, per mancanza di un governo effettivo, rappresenta una “zona grigia” in cui le forze ucraine da una parte e le forze ribelli insieme alla Russia dall’altra si fronteggiano senza al contempo violare il cessate il fuoco previsto negli accordi di Minsk.
Nel Donbass il 18 maggio si è assistito a un’escalation di tensioni.
Ma quali sono le ragioni che hanno innescato la nuova ondata di scontri?
L’inaugurazione del Ponte di Kerč’ (15 maggio), il quale collega la Crimea alla Penisola di Taman nel Territorio di Krasnodar, bypassando l’Ucraina, ha avuto l’effetto di una provocazione nei confronti di Kiev. La struttura monumentale, che solo Putin è riuscito a portare a termine dopo i diversi tentativi dei leader a lui precedenti, ha un alto valore geopolitico ma anche simbolico. Il messaggio di una Crimea definitivamente tornata alla Russia riapre le tensioni con il governo ucraino.
Sempre secondo quanto si legge nel quotidiano Vzglijad, l’annuncio di un cambio di personalità all’interno dell’amministrazione Putin ha scatenato delle reazioni. Ci si riferisce alla probabile sostituzione di Vladislav Surkov con Michail Babič alla Presidenza dell’Ufficio esecutivo. Surkov è considerato un pilastro nei corridoi del Cremlino. Dal 1999 al 2011 è stato vicecapo nei ranghi dell’amministrazione presidenziale, per poi esercitare il ruolo di Vice Primo Ministro fino al 2013. Nel 2013 è stato nominato Consigliere all’Ufficio Esecutivo Presidenziale e da allora ha esercitato un ruolo chiave riguardo l’orientamento di strategie per l’Abchazija e l’Ossezia del Sud. Si è rivelato una figura indispensabile per Putin durante il conflitto in Crimea e nelle trattative degli accordi di Minsk. Già da qualche settimana si preannuncia un cambio di personalità nell’amministrazione presidenziale, in cui il ruolo di Surkov potrebbe essere ceduto ad altre figure. Tra i possibili candidati vi è Dmitrij Kozak, ex Vice Primo Ministro della Federazione dal 2008, che ha sempre condiviso la linea di Putin nel conflitto in Crimea, motivo per cui è stato inserito dai governi occidentali nella lista dei “vicinissimi” a Putin a cui applicare severe sanzioni dopo l’annessione della Crimea. Tra i nomi di possibili successori spicca anche quello di Michail Babič, inviato presidenziale nel Distretto del Volga dal 2011 e attualmente parlamentare della Duma. A prescindere da quale sarà il nome definitivo, si preannuncia un cambio nell’agenda politica sulla questione della Crimea, il che non esclude anche una linea più rigida e meno accondiscendente nelle trattative con l’Occidente nel quadro di Minsk. In questo contesto è comprensibile come le forze Ucraine cerchino di creare disordini per guadagnare maggiore potere negoziale in un nuovo quadro politico.
Da prendere in considerazione anche il contesto internazionale. Lo scorso 10 maggio è avvenuto l’incontro tra i leader del Formato Normandia senza la Russia (Merkel, Macron e Porošenko) ad Aachen, in Germania. Durante il meeting si è discusso della situazione nel Donbass, e della possibilità di uno stanziamento di una missione delle Nazioni Unite. L’Ucraina, come espresso in una draft resolution, prevede lo stanziamento di peacekeepers lungo il confine con la Russia, senza la partecipazione di quest’ultima alla missione, posizione che inibisce il processo di negoziazioni tra i quattro leader considerando anche Putin.
Ad Aachen lo scorso 10 maggio è avvenuto l’incontro tra i leader del Formato Normandia senza la Russia.
Nonostante la mancata partecipazione all’incontro del 10 maggio, la Russia non sta giocando un ruolo passivo nella contrattazione multilaterale. Il Presidente russo ha incontrato Merkel e Macron, rispettivamente il 18 e il 23 maggio, ed ha espresso l’impegno di procedere con il formato Normandia, nonostante quella che egli considera la mancata volontà a cooperare delle autorità ucraine. D’altro canto l’Ucraina riconosce e teme il potere contrattuale che la Russia possiede in Occidente, specialmente in Germania, per i forti interessi economici ed energetici in gioco per la costruzione del Nord Stream 2, il nuovo gasdotto firmato Gazprom che raggiungerà l’Europa settentrionale bypassando l’Ucraina. Per questo motivo è probabile che cercherà di veicolare l’attenzione su un nuovo focolaio nel Donbass.
L’uscita dal CSI: il prezzo della demagogia
Nelle ultime settimane il governo ucraino ha adottato delle misure che palesano un nuovo impulso teso a prendere ulteriori distanze dal fronte euroasiatico e allo stesso tempo ad intensificare i rapporti con l’Occidente. Il 19 Maggio il Presidente Porošenko ha firmato un accordo per la revoca dei rappresentanti dell’Ucraina dalla Comunità degli Stati Indipendenti. Secondo quanto si legge sul quotidiano russo Regnum, Il Presidente ha dichiarato che con questa decisione si è voluto ribadire il futuro europeo dell’Ucraina, oltre al fatto che l’accordo che sancisce la membership ucraina nel CSI appartiene ormai al passato. Dunque questa azione andrebbe letta come mossa iniziale per un successivo e definitivo ritiro dell’Ucraina dall’organizzazione. Come riportato dalla medesima testata nel mese di aprile, Porošenko aveva dato istruzioni al governo in merito alla formulazione di una proposta di legge per il definitivo ritiro dell’Ucraina dal CSI.
Come riportato dal Rambler, secondo il parere di esperti, la decisione di Porošenko è di per sé puramente rappresentativa di un sentimento antirusso ormai consolidato in Ucraina, esacerbato dopo l’ultimazione del Ponte di Kerč’ e particolarmente palpabile nella nuova spirale di violenza nel Donbass. Rimangono tuttavia in piedi i principali accordi che sanciscono ciò che rimane nella cooperazione con la Federazione russa, quale per esempio il Trattato di Amicizia, Cooperazione e Partenariato, firmato nel 1997, in merito al quale l’Ucraina avrebbe tempo fino al 30 settembre di quest’anno per deliberare in merito ad una proroga. In caso contrario, l’Ucraina sarebbe fuori dall’accordo.
Secondo quanto riportato sulla Komsomol’skaja Pravda , in quest’ultimo caso l’Ucraina potrebbe andare incontro ad una serie di costi che supererebbero i benefici. L’accordo multilaterale prevede un regime senza visto per i Paesi membri, il rispetto del principio di mutuo riconoscimento in merito ad esperienze lavorative e al livello di educazione ed una zona di libero scambio – quest’ultima dal 2014 non più estesa all’Ucraina. In ogni caso, se l’Ucraina vorrà mantenere in vigore le altre due misure sarà costretta a negoziare con i singoli stati su una base bilaterale.
Quel giro di tangenti alla Casa Bianca
Nonostante lo scenario estremamente incerto, è chiara la volontà dell’Ucraina di spingere verso una più profonda integrazione con l’Occidente. Peccato che, a causa degli scandali che nelle ultime settimane hanno coinvolto i vertici politici di Kiev, la tempistica non giochi a suo favore.
Secondo l’inchiesta pubblicata dalla BBC lo scorso 23 maggio, e riportata su Vedomosti, nel giugno del 2017 l’avvocato di Trump Michael Cohen avrebbe ricevuto una tangente di 400 000 dollari da rappresentanti delle autorità ucraine che avrebbero agito per conto di Porošenko. Ciò che voleva ottenere il presidente ucraino era un incontro con Trump per avviare delle “negoziazioni” dopo che le ambasciate e le lobby americane avevano offerto solo la possibilità di brevi incontri con il Presidente Trump, e la figura dell’avvocato sarebbe servita per esercitare pressione per l’ottenimento di un incontro, tenutosi poi lo stesso mese di giugno alla Casa Bianca.
Il leader ucraino ha mostrato una forte determinazione con la sua decisione di uscire dalla CSI. La nuova sfida che gli si prospetta è quella di ricevere un maggiore appoggio dai partner occidentali, proprio in un momento in cui gli ultimi avvenimenti ne hanno offuscato la credibilità. Con Mosca che guadagna terreno nelle negoziazioni, Kiev sarà capace di uscire da quella posizione di limbo d’Europa?