Il giorno seguente all’annuncio ufficiale dell’assassinio di Arkadij Babčenko, il giornalista naturalizzato ucraino si ripresenta vivo e vegeto davanti ai media internazionali. E’ questo l’epilogo di un piano ben congegnato dei servizi segreti ucraini per la protezione di Babčenko stesso, che tuttavia ha sollevato non poche critiche da parte dell’opinione pubblica e dai media stessi.
Il 29 maggio 2018 le forze di sicurezza e i media nazionali e internazionali hanno dato l’annuncio della morte del giornalista Arkadij Babčenko, colpito letalmente da tre colpi di pistola nel suo appartamento, con tanto di foto. Sembrava l’ennesimo caso di assassinio violento da parte di gruppi organizzati o criminalità di stampo mafioso, di un giornalista in Europa, dopo i casi della giornalista maltese Daphne Caruana Galizia e dello slovacco Jàn Kuciak. Invece, il 30 maggio, lo stesso Babčenko si presenta di persona alla conferenza stampa indetta dalle autorità per la “sua morte” tra gli applausi dei colleghi e lo stupore e lo sgomento generale.
Arkadij Babčenko nasce nel 1977 in Unione Sovietica. Nel 1995 partecipa come coscritto alla guerra di Cecenia, ritornando sul campo in occasione del secondo conflitto come contractor. A seguito di questi episodi decide di pubblicare diversi libri e inchieste svelando i retroscena più crudi, e critici, di quella guerra. Prosegue la sua carriera diventando reporter di guerra, documentando anche il conflitto del 2008 in Ossezia del Sud. A seguito delle sue esperienze decide di pubblicare il libro “la guerra di un soldato russo in Cecenia”, aspro racconto della sua esperienza sul fronte ceceno durante il conflitto del 1994. Il libro viene accolto con grande interesse a livello internazionale, ma osteggiato in patria. Nel 2012 inizia a ricevere minacce di morte che si rivelano essere sempre più concrete tanto da costringerlo a lasciare Mosca e stabilirsi in Ucraina. Da Kiev egli prosegue la propria attività di informazione in aperto contrasto con il regime di Putin, specialmente in seguito all’invasione della Crimea da parte della Federazione Russa e allo scoppio delle violenze nell’est del Paese. E’ proprio in Ucraina che si svolge l’ultimo atto di questa trama degna di John le Carré: la morte e la riapparizione di Arkadij Babčenko.
La “non morte” di Arkadij Babčenko
Babčenko ha spiegato che l’inscenamento della sua morte si sia reso necessario dato che i servizi di sicurezza ucraini avevano, a quanto afferma, prove concrete di piani per assassinarlo. Vasilij Gricak, capo dei servizi di sicurezza di Kiev, ha affermato che erano in possesso di prove concrete che attesterebbero l’intenzione dei servizi russi di eliminare fisicamente il giornalista. Nell’ambito dell’operazione è stato fermato anche un sospettato: un ex combattente filorusso di cittadinanza ucraina che, stando alle prove raccolte da Kiev, sembra aver ricevuto 30.000 dollari dai servizi segreti russi per l’eliminare Babčenko.
Babčenko ha spiegato che l’inscenamento della sua morte si sia reso necessario dato che i servizi di sicurezza ucraini avevano, a quanto afferma, prove concrete di piani per assassinarlo.
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Questo è solo l’ultimo episodio caratterizzante una situazione di tensione sempre maggiore tra la Russia e gli Stati del centro est Europa. In questo contesto il confronto è portato avanti, oltre che dalle relative leadership politiche, anche da una febbrile attività di propaganda da entrambe le parti. Fonti di informazione, siti internet e social sono spesso presi in ostaggio e utilizzati, o manipolati, da narrative opposte, rendendo ancora più complicata un’analisi in tempo reale, e a posteriore, di dati e accadimenti.
In una situazione così controversa, l’inscenamento e l’annuncio della morte del giornalista da parte delle autorità ucraine ha sollevato critiche bipartisan. In un momento in cui il termine fake news compare costantemente nel dibattito pubblico la manipolazione dell’informazione pubblica da parte di organi ufficiali di Kiev ha sottolineato ancora una volta la centralità dei media in questo confronto.
Il Governo russo ha subito preso posizione contro le accuse e l’operazione degli organi ucraini. Marija Zacharova, portavoce del Ministero degli Esteri russo ha definito l’episodio una “mascherata” inscenato a soli fini propagandistici. Anche Kostantin Kosačev, presidente del Consiglio della Federazione Russa per gli Affari Esteri, ha denunciato la provocazione del Governo Ucraino. A supportare tali dichiarazioni anche diverse fonti giornalistiche russe. In aggiunta, organizzazioni giornalistiche internazionali, come il Comitato per la Protezione dei Giornalisti, ha etichettato l’intera operazione come “estrema”. Infine, Reporter senza Frontiere –organizzazione non governativa che si occupa da anni di promuovere e difendere la libertà di espressione e di informazione – ha condannato l’iniziativa affermando la propria indignazione di fronte a un atto deliberato di manipolazione dell’informazione, aggiungendo che “per un Governo è estremamente pericoloso giocare con i fatti”.
A tali posizioni si contrappongono quelle di singoli giornalisti. Simon Ostrovskij ha espresso il suo supporto alla scelta dei servizi ucraini: una scelta dettata dalla necessità di proteggere la vita del giornalista russo ampiamente condivisibile. Anche altre dichiarazioni, come quella di Micheal Weiss, collaboratore per la CNN, ha sottolineato l’importanza di una scelta dettata dalla necessità di salvaguardare la sicurezza di Babčenko.
Infine, tra i personaggi russi schieratisi a favore del Governo ucraino spicca sicuramente la posizione dell’ex campione di scacchi e ora attivista contro il Governo Putin Garri Kasparov. In una sua dichiarazione egli afferma che l’operazione è stata innanzitutto un esempio riuscito di utilizzo delle fake news contro Putin sottolineando come l’intera vicenda possa essere considerata «probabilmente l’operazione di maggior successo» nell’area post sovietica. Kasparov ha chiosato affermando che “vi sono precedenti secondo cui le persone resuscitate siano destinate a fare grandi cose”.
Se da un lato dunque si può tirare un sospiro di sollievo per la “non morte” di Babčenko, resta il fatto che in un contesto così delicato come quello del confronto russo – ucraino, la scelta deliberata delle istituzioni governative di manipolare l’informazione, congratulandosi con se stesse per la riuscita dell’operazione, resta un precedente preoccupante. Se da una parte è necessario comprendere che narrative contrapposte e fake news fanno parte integrante di ogni conflitto, soprattutto in un teatro a bassa intensità come quello dell’Ucraina orientale, è altrettanto importante ricordare le proprie responsabilità verso l’opinione pubblica.