Per la quarta puntata della nostra rubrica Smolensk, Marco Limburgo ricorda l’animato dibattito tra Nixon e Chruščëv del 24 luglio 1959, tra i principali eventi del periodo della distensione.
Può sembrare incredibile e insolito ma uno dei teatri dello scontro sovietico americano si è combattuto… in cucina. L’allora vicepresidente statunitense Richard Nixon e il leader sovietico Nikita Chruščëv dibatterono animatamente nella cornice di una cucina prefabbricata all’interno dell’Esposizione Nazionale Americana il 24 luglio 1959 a Mosca. L’occasione non poteva essere più propizia in quanto la tensione internazionale e i rapporti fra i due Paesi andavano parzialmente raffreddandosi dopo i reciproci nervosismi susseguenti al lancio dello Sputnik sovietico.
L’incontro fra le autorità sembrava indispensabile per dare inizio a un dialogo basato sulla reciproca comprensione e appare, quindi, quasi contraddittorio che da lì a qualche anno scoppiò la crisi dei missili cubani. Le due potenze rivali si sarebbero sfidate nel corso dei decenni non soltanto in campo militare, dall’Africa all’Asia sovvenzionando rivoluzioni e controrivoluzioni (Vietnam e Angola fra le tante), ma anche nell’alveo della propaganda verso l’opinione pubblica, tramite l’intelligence e patrocinando differenti modalità di sviluppo economico e modernizzazione. Entrambi i sistemi si percepivano agli antipodi e la guerra caldissima di Corea, nonché gli interventi in Europa, avevano dimostrato la volontà reciproca d’impegnare le proprie notevoli risorse per contenere l’influenza del nemico mortale e vincere una battaglia ideologica troppo spesso macchiata di fatalismo e coincidente coi destini dell’umanità. Lo “scontro” si può considerare l’ennesimo tassello di una complessa partita a scacchi fra più giocatori pienamente consapevoli delle proprie capacità e strumenti e, se all’epoca è stato rappresentato come l’inizio di un possibile dialogo fra i contendenti, l’analisi storica e l’ostilità degli apparati avrebbero rapidamente illuso le speranze dei fautori del disgelo.
I due protagonisti non potevano che essere più diversi: da un lato il carismatico e pragmatico vicepresidente Nixon in gran spolvero e lontanissimo dai disastri del Watergate; dall’altra il battagliero ex soldato della grande guerra patriottica e fedelissimo di Stalin (secondo la vulgata comune) già conosciuto e parodiato per i suoi tratti istrionici e la parlantina agitata. Incontratisi all’interno di una casa prefabbricata in tipico stile “middle class” americano, appositamente riempita di ogni tipo di elettrodomestico moderno a sottolineare le virtù del modello capitalistico americano, i due dibatterono, di fronte alla telecamere di mezzo mondo e con l’ausilio di interpreti, di economia, modelli di sviluppo sociale, progresso e persino di tecnologia missilistica. I sovietici informarono i contendenti e il contesto geopolitico dei loro recenti successi in chiave militare e industriale (di per sé strabilianti vista la relativa giovane età del colosso sovietico e le immani distruzioni belliche) irridendo la vacuità dello stile di vita americano troppo legato a beni materiali e intrinsecamente fragile. Dall’altra parte il comportamento di Nixon fu risoluto ma accomodante: dimostrò ampiamente le sue doti di politico navigato, districandosi abilmente fra le provocazioni ma tendendo comunque una mano all’avversario per un possibile dialogo, senza dimenticare di mantenere un atteggiamento risoluto che lo avrebbe premiato al suo ritorno in patria.
Forse il momento più iconico e spesso ripreso nella pubblicistica e nella saggistica contemporanea è la parte conclusiva dell’animato dibattito in cui Nixon, di fronte alle perplessità di Chruščëv, per nulla sicuro che il suo intervento sarebbe stato trasmesso dalle televisioni americane, mostrò con fare sicuro il grande sviluppo raggiunto dal campo delle telecomunicazioni americane rassicurando lo scettico sovietico della buona fede del governo americano. La curiosa disputa ha coinciso con un periodo di avvicinamento timido e promettente già inaugurato dal vertice di Ginevra (1955) e nonostante gli sfortunati sviluppi dimostrò la possibilità di uno spiraglio di una fondamentale comunicazione fra le parti fino ad allora sempre più flebile.
Il momento più iconico e spesso ripreso nella pubblicistica e nella saggistica contemporanea è la parte conclusiva dell’animato dibattito in cui Nixon, di fronte alle perplessità di Chruščëv, per nulla sicuro che il suo intervento sarebbe stato trasmesso dalle televisioni americane, mostrò con fare sicuro il grande sviluppo raggiunto dal campo delle telecomunicazioni americane rassicurando lo scettico sovietico della buona fede del governo americano.
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La vicenda ebbe scarso seguito nell’eremitico panorama sovietico mentre, al contrario, fu ampiamente discussa fra i media e nell’opinione pubblica statunitense. I giornali si divisero fra gli entusiasti sostenitori di un netto predominio americano, che aveva ancora una volta dimostrato al mondo la superiorità dei mezzi morali e pratici in possesso del blocco occidentale, e chi giudicò la vicenda come l’ennesimo tassello di un processo di vuoto afflato propagandistico. Nixon incappò al ritorno da Mosca in un picco di popolarità da parte dell’opinione pubblica che fino ad allora gli aveva dimostrato un accoglienza fredda e scettica. Il viaggio innalzò il suo profilo da statista, contribuendo notevolmente ad accrescere le sue possibilità di ricevere la candidatura repubblicana per le elezioni presidenziali dell’anno successivo, che alla fine riuscì ad ottenere. Ciò nonostante, non sarebbe comunque riuscito a conquistare la carica di Presidente degli Stati Uniti perché, nelle elezioni presidenziali dell’8 novembre 1960, avrebbe perso a favore del suo rivale democratico, John Fitzgerald Kennedy.
Nel settembre dello stesso anno, a dimostrazione di un contesto bipolare che anelava alla distensione, fu il leader sovietico a recarsi negli Stati Uniti d’America visitando Los Angeles e gli immensi campi coltivati dell’Iowa in cui gli americani fecero sfoggio del loro strapotere economico-industriale, senza però impressionare più di tanto il testardo ex operaio ucraino che non mancò ancora una volta di ostentare il potenziale e la superiorità del dirigismo di stampo sovietico. Un aneddoto interessante è legato alla visita in Florida di Chruščëv: di fronte all’impossibilità, per motivi di sicurezza e protocollo, di fare visita al parco divertimenti di Disneyland, il leader sovietico diede letteralmente in escandescenze dinnanzi ai media e alle celebrità presenti evocando più volte complotti internazionali. L’ennesimo esempio della peculiarità comportamentale del potente successore di Stalin.