Cento anni fa il brutale assassinio della famiglia imperiale poneva fine a quattro secoli di dominio Romanov sullo sconfinato impero russo. La rivoluzione bolscevica affrontava allora i suoi momenti più difficili: le armate bianche controrivoluzionarie ben armate e comandate da ufficiali di carriera (fra i tanti Anton Denekin, Aleksandr Kolčak e il Barone Pëtr Vrangel’) avanzavano indisturbate e gli interventi militari internazionali mettevano a dura prova il progetto rivoluzionario di Lenin.
L’abdicazione dello Zar Nicola II, incapace di comprendere la situazione di instabilità e la radicata insofferenza del popolo russo, non riuscì a porre un freno alle rimostranze degli insorti e in breve la maggior parte dei Romanov si trovò dai vertici del potere a essere prigionieri alla completa mercé dei rivoluzionari. Lo zar Nicola, la granduchessa Marija, la zarina Aleksandra Fëdorovna, la granduchessa Ol’ga, la granduchessa Anastasia, lo zarevic Aleksej e la granduchessa Tat’jana vennero imprigionati a Ekaterinburg all’interno della confiscata residenza di un ricco mercante locale: la Casa Ipat’ev, in attesa di una sentenza dell’apparato bolscevico di Mosca.
In principio Lenin si oppose a una possibile esecuzione della famiglia reale per non inimicare ulteriormente la comunità internazionale ma, l’accresciuta possibilità di una liberazione dei prigionieri da parte delle forze bianche (che premevano ai confini della città siberiana), il forte prestigio che la semisacrale figura dello zar incuteva nelle masse contadine (più radicalmente attaccate al retaggio ortodosso) e la volontà di dare un segnale di crasi, di rinnovamento e rinascita di una nuova identità sociale rivoluzionaria quasi costrinsero il soviet di Ekaterinburg a procedere con l’esecuzione. Il 17 luglio 1918 un commando composto da prigionieri di guerra austriaci convertiti all’ideologia comunista fucilò i membri della famiglia reale e ne seppellì i resti nel bosco di Koptjakij dopo averli bruciati con l’acido e con il fuoco.
Una ventina circa dei parenti dello zar seguirono la sua stessa sorte e vennero fucilati o barbaramente uccisi nel corso della guerra civile, mentre una restante parte riuscì a fuggire, assieme a elementi di spicco dell’élite compromessa con lo zarato, rocambolescamente negli Stati Uniti e soprattutto in Francia dove costituirono una vibrante comunità intellettuale presente ancora oggi; i cosiddetti emigrati bianchi (se ci si reca oggi a Parigi si può far visita al museo Cosacco di Courbevoie in cui rivivere in pieno gli ambienti e le atmosfere della Russia prerivoluzionaria; museo apprezzato e rimodernato recentemente anche grazie ai fondi donati nel 2008 dal presidente Putin durante la sua visita di stato a Parigi). Recentemente la piattaforma web Sputnik ha raccontato la storia di Ekaterina Ioannovna Romanova nata in Russia e morta, dopo una vita avventurosa in diversi paesi d’Europa, nel lontano Uruguay provata dallo stress emotivo e dal peso della tragedia storica.
La nemesi dei Romanov e la loro tragica fine hanno alimentato misteri e svariati complotti intorno a presunti sopravvissuti di sangue reale: il caso più noto è quello di Anna Anderson (al secolo Franziska Schanzkowski) che per tutta la sua vita si spacciò per la quarta figlia del re, Anastasija Nikolaevna Romanova, raccogliendo intorno a sé un vasto numero di sostenitori (anche diversi storici). Il ritrovamento nel 1991 (poche settimane dalla fine dell’URSS) di nove corpi nella foresta prospicente a Ekaterinburg e nel 2007 dei poveri resti dei due figli minori, mise la parola fine alle rivendicazioni o alle millanterie di presunti eredi o avventurieri.
Da quel 1918 la Russia ha attraversato un periodo di completa rottura con il passato imperiale: decenni di dominio sovietico che ne han cambiato e intaccato profondamente la natura in ogni aspetto della società, identità e mentalità fino al collasso sotto i colpi dell’assertività statunitense, per le enormi difficoltà interne e di fronte al montare del nazionalismo crescente. La nuova Russia è risorta dalle ceneri dell’esperimento sovietico come stato nazione fragile e privo di una forte identità storica e politica anche grazie all’indebolimento della chiesa ortodossa russa prostata (ma non sconfitta) dalle campagne iconoclaste di ateismo di Stato a più riprese lanciate dal fanatismo totalizzante bolscevico.
L’ascesa di Putin è coincisa con una rinascita economica, geopolitica e culturale della nazione che di fronte alle sfide del mondo multipolare ha sentito la necessità di recuperare una propria narrazione e un ethos al fine di raggiungere obiettivi ambiziosi ma inevitabili per garantire una non scontata continuità alla federazione. Si sono resi necessari, quindi, il rinsaldarsi del rapporto con le élite ecclesiali, il recupero dei momenti cardine della storia russa (l’esaltazione della resilienza della comunità nei periodi bui della dominazione o invasione straniera) e l’annuale militare celebrazione del ricordo della grande guerra patriottica e della vittoria sul nazifascismo. Tassello importante per ridare un’anima e uno spirito al popolo e alla Patria è apparso necessariamente un riapproccio cauto ma entusiasta ai fasti del passato imperiale, alle conquiste e al prestigio di un epoca in cui l’Impero russo costituiva una potenza di primissimo piano nello scacchiere euroasiatico, dominando i commerci e controllando e disfacendo militarmente Stati satelliti e il destino di intere piattaforme geopolitiche.
Nel 2000 la Chiesa Ortodossa Russa ha canonizzato il defunto Nicola II dando nuovo stimolo al culto dello sfortunato imperatore conosciuto in epoca sovietica come “Nicola il Sanguinario”, ma che ricerche storiche recenti descrivono come una personalità debole costantemente in in balia di influenze esterne (come non citare il famigerato monaco Rasputin) e succube del vorticare inesorabile della storia. Le spoglie della famiglia imperiale (considerate alla stregua di moderne reliquie) sono state seppellite a San Pietroburgo in seguito a una partecipata e appariscente cerimonia ufficiale e Putin stesso ha condannato pubblicamente il vile atto ricordando le brutture e le sofferenze subite dai suoi connazionali all’epoca del confronto fratricida.
Il 17 luglio, annualmente, decine di migliaia di russi provenienti da ogni parte del mondo si radunano sul luogo dell’eccidio partecipando mestamente alla processione dalla Chiesa-sul-Sangue alla Fossa di Ganina dove furono ritrovati i corpi dei reali trucidati. Per venti chilometri, lungo il cammino della processione, il popolo russo con in testa le venerate icone marcia per espiare la propria colpa collettiva, cerca di ricominciare da una radice che sembrava ormai disseccata, con una passione che va ben al di là delle incerte figure della propria stessa storia. E questa radice è la fede ortodossa, che i russi non intendono soltanto come tratto caratteristico della cultura nazionale, ma vera e propria missione e profezia universale. Conseguentemente a un recupero della tradizione e del misticismo ortodosso, funzionale al recupero dell’eredità dei regnanti si sono moltiplicati gli omaggi votivi, le rievocazioni e i rimandi al periodo prerivoluzionario. In moltissime città della Russia sono presenti statue e santuari dei martiri canonizzati come quella di Simferopoli (capitale della Crimea) che alcuni devoti hanno giurato veder piangere mirra (miracolo fermamente negato dal patriarcato e dileggiato dalla rete).
Di fronte a curiosi episodi di costume arrivano delle serie proposte di ripristinare la monarchia nel Paese o per lo meno di riconoscere il contributo della casa reale nella creazione dell’identità nazionale. Il numero di cittadini russi favorevoli all’istituzione monarchica è cresciuto fino a coinvolgere quasi un terzo della popolazione e c’è chi come l’arciprete Vsevolod Chaplin ha dichiarato che Mosca dovrebbe ripristinare la monarchia nominando Putin imperatore. Il presidente della Federazione russa, da parte sua, ha preferito mantenere un atteggiamento ambiguo nei confronti di questo revanscismo monarchico. Se da un lato forti e continui sono i rimandi al simbolismo sovietico come strumento di legittimità, diverse sono state le critiche alle brutalità comuniste e non si può non considerare la profonda amicizia che lega l’ex agente del KGB con il granduca Georgij Michajlovič Romanov (altro figlio della diaspora bianca essendo nato in Spagna) tornato recentemente alla ribalta, mediaticamente, per una serie di interviste e dichiarazioni in cui elogia la politica muscolare di Putin e si dichiara favorevole al ripristino della monarchia: “Se il mio popolo vorrà – dice il discendente degli zar – di sua spontanea volontà, uno governo misto come in Inghilterra, Spagna o in altri Paesi europei, e quindi di restaurare la monarchia in Russia in qualunque sua forma, sia mia madre sia io o i miei discendenti saremo pronti ad assumere il nostro ruolo istituzionale in seno al Paese”.
“Se il mio popolo vorrà di sua spontanea volontà, uno governo misto come in Inghilterra, Spagna o in altri Paesi europei, e quindi di restaurare la monarchia in Russia in qualunque sua forma, sia mia madre sia io o i miei discendenti saremo pronti ad assumere il nostro ruolo istituzionale in seno al Paese”.
by Author
Partecipa alla competizione elettorale (seppur con scarsi risultati) un partito monarchico (Монархическая партия России) guidato dall’uomo d’affari Anton Bakov molto attivo sui social e artefice di diverse manifestazioni e eventi sociali; diversi politici indipendenti, fra cui il candidato alle presidenziali e leader del Partito di Estrema Destra Vladimir Žirinovskij, si sono più volte espressi a favore del ritorno dello zar o per lo meno a una trasformazione dello Stato in forma maggiormente autocratica. Gli adoratori dello zar e i suoi difensori crescono costantemente in numero, forza, organizzazione e prestigio all’interno del panorama russo e allo stesso tempo la loro propaganda si è rafforzata sull’onda lunga del sentimento nostalgico che identifica il passato imperiale come il periodo di maggiore splendore e riconoscimento internazionale della nazione e di conseguenza non mancano i propugnatori di un fanatismo violento in primis fra le nuove generazioni che più di tutte vivono lo spaesamento e la mancanza di un identità precisa dopo il trauma della caduta dell’Unione Sovietica.
Proteste violente hanno avuto luogo nel 2017 a Ekaterinburg indirizzate contro il controverso regista Alexei Učitel’ reo di aver girato un film, irrispettoso e blasfemo, in cui racconta la storia d’amore fra Nicola II e Matil’da Kšesinskaja, una giovane e ambiziosa ballerina. Un mix di vandalismo, attacchi incendiari e contromosse finanziarie hanno duramente colpito i cinema e la casa di distribuzione della pellicola. I cultisti della memoria dello zar si radunano nel già citato complesso monasteriale di Ganina Yama (a pochi chilometri dalla cattedrale del Sangue versato eretta sul luogo dell’esecuzione) e negli anni hanno ampliato il proprio potere economico e l’impegno politico-amministrativo coinvolgendo élites locali e uomini di Stato intorno alla figura carismatica di padre Sergij (oscuro personaggio di cui non si conosce il cognome ma sono ben note le sue connivenze con il crimine organizzato).
L’aumento del potere e dell’influenza della chiesa ortodossa russa nell’apparato statale e fra i cittadini, il montare di un mai sopito nazionalismo e orgoglio patrio, la necessità di riappropriarsi e adattare vecchi e nuovi simboli della storia e la fase di profondo rinnovamento dell’identità russa stanno apportando delle modifiche rivoluzionarie all’immagine e alla percezione che i russi hanno di sé e ciò che vogliono proiettare nei confronti del mondo colpevole di misconoscere e inquadrare le vicende del Paese secondo lenti desuete o addirittura stereotipate. Se appare lontana l’ipotesi di una reinstallazione di una dinastia reale sul trono zarista molti segnali ci spingono a considerare che il Paese sta rafforzando la propria postura interna al fine di giustificare e capitalizzare i propri successi in ambito internazionale. La Russia di Putin, nonostante le evidenti difficoltà economico e demografiche, appare più forte, unita e maggiormente convinta della propria identità, ma non per questo rappresenta necessariamente un nemico da contrastare ad ogni costo.