Iniziare quest’articolo non è per niente facile.
E non lo è per almeno due motivi:
- La società russa è tremendamente complessa, e cercare di spiegarla rischia sempre di portare a giudizi più o meno sbagliati.
- Per un comunista come me è difficile parlare della Russia di oggi senza incorrere in pensieri nostalgici e legati ad un qualcosa di cui si è potuto soltanto leggere nei libri o vedere in qualche serie documentario.
Fatte queste dovute premesse, è possibile raccontare non tanto il viaggio, quanto le impressioni e le riflessioni che le due settimane di vita a Mosca mi hanno lasciato, su quello che era, quello che poteva essere, quello che invece è.
Parto subito dicendo che visitare Mosca non è diverso da vivere Mosca. È proprio un altro mondo.
Un mondo incredibilmente simile al nostro, ma con le lancette spostate indietro di 25 anni.
I russi: popolo di impiegati, fiorai e palazzinari.
C’è un aspetto che colpisce davvero di Mosca: l’innumerevole quantità di cantieri aperti.
Ovunque, ad ogni angolo della strada, ci si trova davanti ad una ruspa, ad un marciapiede distrutto dal passaggio della stessa, o ad un nugolo di operai molto poco russi e delle baracche di lamiera.
Più tardi scoprirò che quelle baracche vengono affittate agli operai del cantiere che possono lavorare e dormire nello stesso posto e risparmiare considerevolmente sugli affitti carissimi di Mosca.
Il 90% degli operai nei cantieri sia pubblici che privati, infatti, viene dagli ex stati sovietici dell’Uzbekistan, del Tagikistan e del Kazakistan, con cui la Federazione Russa mantiene solidi accordi che legalizzano di fatto i lavoro nero.
Fa riflettere come queste persone, senza la minima competenza o esperienza, né controllo o tutela (lavorano in ciabatte ed infradito), siano coloro che stanno costruendo la nuova Mosca, le nuove stazioni della metropolitana, i nuovi grattaceli ed i nuovi appartamenti per la classe agiata, dei businessmen, degli uffici scintillanti; ma anche quelli che demoliscono edifici residenziali del periodo sovietico per costruirne degli altri più moderni, alti decine di piani.
In quei giorni ho avuto davvero la sensazione di trovarmi nella Milano dei ruggenti anni ’80 e ’90, dei palazzinari, dei nuovi quartieri costruiti in un lampo, della marcia ingranata, del piede a tavoletta sull’acceleratore del progresso e della speculazione irrefrenabile.
In quegli operai sfruttati, in quella corsa al denaro ed al profitto a tutti i costi, ho potuto toccare con mano quanto il capitale sia forte abbastanza non solo da sconfiggere l’avversario, ma di soppiantarlo, di trasformarlo in una favola per i turisti che si accalcano per vedere la salma imbalsamata di Lenin.
Tuttavia il regime è ancora lì.
La metropolitana è lì a testimoniarlo, con i suoi treni da regime, con le sue stazioni decorate con le scene del regime, con gli uomini del regime.
Si erge a monumento vivente della memoria, ci avverte, ci fa camminare in riga, ci fa seguire pedissequamente le linee sul tracciato ed i cartelli appesi al soffitto.
È un perfetto strumento di controllo, con poliziotti ad ogni fermata e ad ogni ingresso ad evitare che si faccia capannello, che si trasgredisca alle rigide norme dello stato.
La Duma è lì a testimoniarlo. La sua mole spaventosa e l’enorme effige con falce e martello stanno lì, come a non volerci illudere dal pensare che sul parlamento di adesso, moderno, “democraticamente eletto”, l’ombra del vecchio regime grava sempre sul popolo russo.
La Lubjanka, il palazzo del fu KGB, è lì a testimoniarlo. L’architettura, i colori, ed anche la funzione, non sono cambiati.
L’edificio si erge di fronte ad uno dei templi dello shopping moscovita, il DetskiyMagazin, e subito sotto sfarzose botteghe di Gucci, Prada, ed i locali dell’ultra capitalista centro cittadino, come un monito alla cittadinanza, un continuo avvertimento, una sfida perenne tra i due grandi sistemi mondiali.
E se invece…
E se invece dessimo un’altra lettura a tutto questo?
Se questo comunismo immerso, mimetizzato così bene nella Mosca contemporanea sia invece una sconfitta?
Se la meravigliosa metro, l’imponente Duma, l’inquietante Lubjanka, fossero le vittime più emblematiche della sconfitta non di un semplice sistema economico, ma di un fallito tentativo di realizzare quel sogno di uguaglianza e di giustizia che il comunismo professava e che i suoi esponenti più iconici hanno tradito?
Andrea Dante Privitera