Cos’è il gasdotto che sta dividendo l’Europa
Il Nord Stream 2 è il nuovo gasdotto firmato Gazprom che fornirà gas all’Europa. Partirà dalla regione di Leningrad e, attraverso il Mar Baltico, arriverà a Greifswald in Germania, per un totale di 1200 km e di una capacità di 55 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Se si considera anche il Nord Stream, in Germania arriveranno un totale di 110 miliardi di metri cubi di gas all’anno destinati al mercato europeo. Il contratto, firmato nell’aprile del 2017, prevede che cinque imprese europee, quasi tutte con una grande partecipazione statale, ENGIE, OMV, Royal Dutch Shell, Uniper, and Wintershall, si impegneranno a finanziare del 50% il progetto nel lungo periodo.
Chi perde e chi vince?
Con la costruzione del Nord Stream 2, prima di tutti gli Stati Uniti fanno un passo indietro nel complesso rompicapo energetico. Davanti al più conveniente acquisto del gas russo da parte di Berlino, sembra che gli Stati Uniti debbano rinunciare alla possibilità che la Germania diventi un porto di esportazione per il GNL (gas naturale liquefatto) prodotto in America. È chiaro che Washington continua ad esercitare una forte pressione politica sulla Germania, minacciando addirittura le sanzioni nel caso dell’esclusione di Kiev dal progetto.
A tal proposito merita attenzione l’intervista di Rossija Segodnja a Vladimir Olenčenko, esperto del RIAC. Secondo l’esperto, un cambio di rotta di Berlino sarebbe illogico. L’acquisto del GNL americano non coprirebbe l’intero fabbisogno energetico della Germania che comunque sarà costretta ad acquistare gas russo. Inoltre, un piano di investimento per la costruzione delle infrastrutture necessarie all’importazione del GNL va contro gli interessi tedeschi di lungo periodo. La Germania prevede di eliminare le fonti energetiche di carbonio entro il 2050, dunque è improbabile che investa nella realizzazione di un’opera più costosa del Nord Stream 2. E oltretutto, “perché approfondire le relazioni economiche con chi sta iniziando una pericolosa guerra commerciale che coinvolge anche il partner europeo?” si interroga Olenčenko.
In ultimo, conclude, per un’economia della Germania così orientata all’export, acquistare gas ad un prezzo economico è fondamentale per esportare a costi competitivi.
Ma i punti critici non si fermano alla sola economia tedesca e vedono coinvolti gli stati europei. Le questioni sono di natura diversa, una legale che vede entrare in gioco la Commissione Europea ed un’altra politica, che vede invece una spaccatura tra i Paesi membri e che rappresenta il nodo gordiano della faccenda.
Nell’ultimo anno la Commissione Europea si è interrogata su quale sia il sistema legale da applicare alla costruzione del Nord Stream 2, che per molti versi sembrerebbe andare contro la legislazione dell’Unione Europea. Il gasdotto non solo è un’infrastruttura in parte onshore e quindi più inquinante, ma si tratta di un progetto non esclusivamente upstream e dunque contrario al principio di separazione tra processo di distribuzione e di produzione. Non sarebbe nemmeno conforme al Third Energy Package, il pacchetto di misure adottato dalle istituzioni europee nel 2009, che prevede la realizzazione di un mercato unico europeo per l’energia. In ultimo resta da vedere in che modo combinare le diverse legislazioni dei Paesi attraversati dal gasdotto in conformità al diritto internazionale del mare. In un puzzle così complesso, la soluzione più probabile è che un accordo venga raggiunto in un dialogo politico tra i singoli Stati interessati con la mediazione della Commissione Europea, e per Stati interessati non si intende di certo l’opposizione. È probabile che un’applicazione congiunta delle varie legislazioni nazionali creerà un quadro legislativo ad hoc, in una soluzione in cui il Third Energy Package avrà solo servito le argomentazioni dei Paesi contrari al progetto, dal momento che non si tratta di un accordo vincolante, né vincolante sarà qualsiasi parere dato dalla Commissione.
L’altra questione che fa discutere la decisione della Germania sta sul piano politico, ed è quella della dipendenza europea dal gigante energetico russo. Questa visione allarmante, smentita dai Paesi a favore del gasdotto, accomuna la linea europea di opposizione al progetto, formata dai Paesi dell’Europa Centrale e Orientale, dai Baltici ai Balcani, passando per la Polonia, che si schierano dalla parte dell’Ucraina e temono un nuovo gelido inverno alla prossima crisi politica con la Russia, dopo che nel gennaio 2015 Mosca ha deciso di chiudere i rubinetti di Kiev in seguito al mancato accordo tra Putin e Janukovič. C’è da sottolineare come questi Paesi, diversamente dalla Germania e dagli altri Paesi europei, non possono contare su una differenziazione dell’offerta energetica. Polonia, Lituania e Lettonia hanno quindi definito il Nord Stream 2 una minaccia all’indipendenza energetica europea e hanno accusato la Russia di portare avanti un progetto esclusivamente politico in chiave anti – Kiev. Come riportato sulla Komsomol’skaja Pravda, le accuse sono state bollate come ingiustificate dallo stesso Putin ma anche dalla Cancelliera Angela Merkel che, in una conferenza stampa del 14 settembre, ha dichiarato come sia previsto di includere Kiev nel nuovo percorso di distribuzione del gas. Nonostante ciò, e comprensibilmente, lo scetticismo persiste sul fronte ucraino. Come ha affermato il ministro degli esteri, Pavel Klimkin, se è vero che Putin ha assicurato, in accordo con la Germania, il transito sul suolo ucraino, è anche vero che l’ha permesso “a determinate condizioni”: una dichiarazione soggetta ad un’interpretazione multiforme per giustificare qualsiasi azione politica futura.
In sintesi, la disparità di visioni è data dalla differente dipendenza energetica nello scacchiere europeo. Le porte del gas che si aprono verso i Balcani e l’Europa centro-orientale portano tutte l’insegna Gazprom, dal BlueStream al Turkstream, il primo attraverso il Mar Nero, il secondo attraverso la Turchia. Diverso è il discorso per i Paesi del Mediterraneo che contano su una consistente offerta proveniente dal Nord Africa. Il Greenstream e il Transmed approdano in Italia rispettivamente dalla Libia e dall’Algeria. In Spagna arrivano altri due gasdotti, il Maghreb e il Megdas anch’essi dall’Algeria. Allo stesso tempo i Paesi del Nord Europa possono contare non solo sulle sufficienti tecnologie per una riconversione economica nei decenni futuri, ma anche sull’offerta di gas dalla Norvegia. In sostanza la Russia copre solamente il 6% del fabbisogno energetico tedesco.
I costi della non – Europa
Il Nord Stream 2 è dunque il progetto che fa emergere gli egoismi e divide l’Europa. I Paesi europei più ad est faranno le spese della decisione della Germania, che non trova grandi ostacoli in un contesto, quale quello europeo, dove la legge del più forte regna sovrana. Berlino è addirittura riuscita a catalizzare gli interessi dei Paesi scandinavi inizialmente neutrali a favore della costruzione del nuovo gasdotto. Chiunque voglia puntare un dito contro le recenti decisioni del Cremlino, perde però di vista un punto essenziale. Finché l’Europa mancherà di un organo centrale capace di gestire i rapporti energetici con Stati terzi, impedendo accordi bilaterali con i singoli Stati membri, differenziando l’offerta e abbattendo i costi con la concorrenza, la Russia avrà tutto l’interesse a mantenere alta la dipendenza energetica dell’Europa per tutelare i propri interessi, soprattutto fintantoché la stessa UE manterrà le sanzioni. Quello che manca all’Europa ancora una volta è la percezione di se stessa come organismo unitario capace di proiettare una qualche forma di assertività verso l’esterno. La mancanza di una policy unitaria nel campo energetico costa all’Europa tanto quanto la mancanza di una vera politica estera coerente con gli interessi europei e non con quelli dei singoli stati.
Senza un’agenzia super partes, capace di acquistare e vendere ad un unico prezzo le risorse energetiche tra i Paesi membri, le imprese energetiche, tutte con un’ampia partecipazioni statale, continuano a rispondere alle decisioni dei governi nazionali. La Russia ha la strada libera per incentivare o disincentivare comportamenti politici giocando al rialzo dei prezzi, con qualche eccezione, come l’Ungheria, che potrebbe vedere qualche sconto sulle bollette del gas dopo i ripetuti vertici tra Putin e Orban negli ultimi mesi. Insomma, l’idea di prendere le distanze dall’UE, condivisa dalle nuove destre populiste e che in ultimo ha contagiato anche la Svezia, è un vantaggio per la Russia ma un colpo basso per gli Stati europei stessi che in futuro potrebbero pagare tale scelta a caro prezzo, è proprio il caso di dirlo.