Se si esclude (in parte) il periodo sovietico, la costruzione di un’immagine negativa della Russia non è mai maturata pienamente nel contesto italiano, poco fertile per ragioni storiche, culturali e di pragmatismo politico. Le divisioni attuali e le differenze col resto d’Europa.
L’Italia, è noto, è tra i più russofili Paesi europei. Un’inclinazione che trascende i momentanei cambi ai vertici del potere, tra forze politiche sulla carta molto distanti tra loro (anche nelle visioni internazionali), ma nella prassi quasi sempre ben disposte a trattare amichevolmente con Mosca.
Oltre alla generica russofilia, peculiare del nostro Paese è un più specifico filoputinismo emerso negli ultimi anni. Un atteggiamento strettamente correlato alla (presunta, in quanto spesso non basata su elementi reali) dimensione politica e ideologica dell’attuale leader del Cremlino. Dunque un fenomeno spesso circoscritto agli ambienti conservatori o reazionari, e per tale motivo combattuto sempre più energicamente da un’altra frangia in espansione, quella russofoba, che si ispira (consapevolmente o meno) a correnti di pensiero analoghe in Europa e in America.
Il nostro Paese, tuttavia, non ha una grande tradizione antirussa a sostegno di queste ultime correnti. Come sostiene lo storico Giovanni Savino, la nascita di un vero sentimento russofobo in Italia è contemporanea all’affermazione del regime comunista sovietico, e si è quindi subito confusa con quella propaganda politica, di matrice sia liberale che autoritaria, che vedeva il bolscevismo come il fumo negli occhi. Una singolare coincidenza, infatti, ha voluto che lo Stato sovietico fosse avversato ideologicamente, seppur in maniera diversa, dai due regimi (quello fascista-monarchico e quello cristiano-democratico repubblicano) che si sono instaurati in Italia mentre a Mosca si sperimentava il socialismo reale.
Eppure sia dall’Italia fascista che da quella del Dopoguerra sono nate delle improbabili convergenze politiche con l’Unione Sovietica. Mussolini fu tra i primi in Europa a riconoscere l’URSS, nel 1924. Una scelta in parte figlia della comune radice “rivoluzionaria” dei due regimi politici, nonché della loro distanza, in quella prima fase, dalle potenze liberali europee. Anche durante la Guerra fredda, l’Italia tese una mano a Mosca. I meriti storici sono da ascriversi anche alla presenza del PCI, il più grande partito comunista d’Occidente, che permise una sponda di dialogo politica (e industriale) anche negli anni più duri del confronto bipolare. Queste parentesi, comunque, rappresentano più che altro delle eccezioni, all’interno del panorama politico e retorico italiano. Molto più assidua, infatti, fu la demonizzazione di Mosca, veicolata dall’alto con una sostanziale continuità sia prima che dopo la guerra. E naturalmente durante, dato l’impegno militare italiano sul fronte russo.
Molti dei luoghi comuni, o delle immagini più evocative rimaste in piedi fino ad oggi (dai cosacchi a San Pietro ai comunisti mangia-bambini, fino al topos mentale e letterario della Siberia) risalgono quindi a quegli anni. Per le generazioni più anziane la Russia resta un’irredimibile patria dei senzadio, dalla quale diffidare è il minimo. Ad esse si devono aggiungere coloro che – come accennato prima – per varie motivazioni politiche o per gli effetti della forte influenza americana manifestano una netta ostilità di fondo verso Mosca. Un’ostilità che non di rado sfocia nel pregiudizio, quando prende di mira l’intero popolo russo (peraltro facendo continuamente confusione tra russkij e rossijskij) o quando si rifugia in comode scappatoie cognitive (come quella, mai davvero verificata, dei troll russi) pur di non analizzare la complessità del reale.
Ma si tratta, appunto, di fasce tutto sommato minoritarie nella società italiana, per nulla paragonabili a quelle di altri Paesi europei, specie se anglosassoni.
Per le generazioni più anziane, la Russia resta un’irredimibile patria dei senzadio, dalla quale diffidare è il minimo
Cupcake Ipsum, 2015
Dall’altra parte, esiste una maggioranza (non più silenziosa, visto il baccano di certe frange) che guarda la Russia con manifesta simpatia. Anche qui, le ragioni sono molto eterogenee.
Da un lato c’è chi non sente un legame particolare con Mosca bensì con la forma ed espressione del suo potere più visibile, ovvero Putin o il putinismo, additato come un modello politico da seguire (il più delle volte in chiave censoria, antidemocratica o addirittura islamofoba – un equivoco dettato dall’ignoranza: il presidente russo ha più volte manifestato, sia con le parole che con certe azioni, il proprio rispetto per la religione islamica). Poi vi è naturalmente la componente antiamericana, che nel quadro della geopolitica ha (ri)visto in Mosca il più diretto e vicino rivale delle ambizioni imperiali di Washington. Ma soprattutto, vi è una ben più diffusa affinità reciproca tra i due Paesi, derivante dai legami sociali (a partire dai matrimoni misti), dagli scambi culturali e dai frequenti contatti commerciali in vari ambiti.
Da ultimo, non si può non citare una tradizione storica e diplomatica che tra alterne vicende ha intessuto una serie importante di relazioni con la Russia, avvantaggiata dal fatto che quest’ultima non ha quasi mai rappresentato una minaccia diretta o un ostacolo per i nostri interessi nazionali.
Qui la differenza è evidente con gli altri Paesi europei. L’Italia (né gli Stati preunitari suoi predecessori) non ha mai vissuto un’epica di scontro militare con la Russia, com’è invece avvenuto per gli storici rivali degli zar in altre parti del continente (la Svezia fino al Settecento, la Turchia fino al Novecento). Non ha mai subito occupazioni o invasioni, né da parte russa né da parte sovietica (in tutto l’Est Europa, dai Baltici alla Bulgaria, non si può dire altrettanto). E non ha mai ingaggiato con Mosca una lotta per il predominio globale, com’è avvenuto per la Francia (Napoleone), per l’Inghilterra (con il Great Game in Asia Centrale e non solo) e per la Germania (Hitler), per non citare gli Stati Uniti e la Guerra fredda.
Non vi è mai stata nel nostro Paese, in sintesi, l’esigenza di una forte narrazione antirussa prima dell’avvento del comunismo sovietico. Laddove è esistita, è stata in buona parte il frutto di un’importazione da Paesi con tradizioni russofobe più consolidate, e dove i toni sono quasi sempre stati più aspri. In più, la consuetudine della nostra diplomazia nell’instaurare un dialogo politico con tutti ci ha consentito di mantenere aperti certi canali di collegamento con Mosca anche nei periodi più duri del Novecento, ovvero quando i venti antirussi infuriavano a Roma allo stesso modo che a Londra e Washington. Ne è scaturita una politica estera pragmatica, tendente sì all’opportunismo ma anche alle opportunità, e nello specifico pronta agli affari anche a costo di infrangere certi tabù europei.
Una tendenza che è rimasta attuale nonostante il riemergere di tensioni, tra l’Occidente e la Russia, che ancora una volta vedono l’Italia ricoprire un ruolo marginale e al tempo stesso difficile. Le sanzioni sono un nervo scoperto e, anche se non hanno toccato il cuore delle relazioni con Mosca, hanno in compenso sollevato in Italia un vespaio di polemiche (che altrove semplicemente non hanno luogo).
Un ulteriore segno del differente approccio tenuto dal nostro Paese nei confronti della Russia.