Comprendere il fenomeno del terrorismo in Asia Centrale non può prescindere dall’analizzare i contesti di insurrezione jihadista nello scacchiere internazionale. Svariate centinaia sono i foreign fighter kirghisi che combattono al fianco del califfato o in milizie qaediste in tutti i teatri delle insurrezioni jihadiste. Il territorio russo stesso e San Pietroburgo in particolare. Quest’ultima infatti ha tristemente sperimentato il 3 aprile scorso la pericolosità del fenomeno di gran lunga sottovalutato. Quattordici compreso l’attentatore (Akbarzhon Jalilov, kirghiso di Osh nella Valle del Fergana) le vittime del brutale attacco alla metropolitana della ex capitale imperiale. Gli arresti e le operazioni di antiterrorismo dei servizi del Cremlino hanno permesso di stroncare diverse cellule operative nella periferia russe dove l’esclusione sociale, la povertà e lo sradicamento di moltissimi immigrati centroasiatici crea un retroterra fertile per la propaganda di reclutatori (principalmente ceceni e caucasici) e imam convertiti alla lotta armata.
Varcando il confine russo è la sopracitata Valle del Fergana, montagnosa regione fra Kirghizistan e Uzbekistan, il “paradiso” nonché base operazionale di lupi solitari o gruppuscoli organizzati in costante conflitto con le autorità locali. L’apparente vivacità democratica non ha impedito la creazione di partitocrazie plutocratiche che puntualmente escludono un vasto settore della popolazione dalla distribuzione della ricchezza alimentando frustrazione, alienazione e risentimento che troppo spesso si tramuta in radicalismo. La condizione di precarietà economica non è ovviamente l’unica spiegazione all’insorgenza del fenomeno: il vuoto ideologico causato da decenni di dominio sovietico e la politica di un Governo centrale che si dimostra incapace di distinguere fra radicalismo e riappropriazione di una secolare identità islamica reprimendo ogni forma di religiosità manifesta che si distacchi dall’islam irreggimentato e dottrinario propagandato dalle élites al potere.
La continua e ossessiva promozione del nazionalismo etnico ha contribuito alla crescita parallela di una religiosità vista con sospetto e puntualmente sanzionata. Moschee, centri religiosi e scuole coraniche sovvenzionate da attori esterni (si noti la nociva politica di promozione del wahabismo dell’Arabia Saudita) sono spuntate a decine in provincie depresse del Paese, sostituendosi a istituti scolatici mal gestiti e finanziati quando presenti. Le guerre in Siria, in Afghanistan e Iraq, attirando svariate centinaia di combattenti locali, hanno precocemente distratto un apparato antiterroristico ancora impreparato e embrionale. Al termine delle schermaglie in Medio Oriente i foreign fighters torneranno a casa importando capacità militari e logistiche.
Il Kirghizistan sarà in grado di contenere, gestire e controllare questo flusso o rischia di subire un’impennata di attacchi come quello che ha colpito l’ambasciata di Pechino a Bishkek nell’agosto del 2016? Sono da sottolineare importanti sforzi al fine di contribuire e incrementare la cooperazione internazionale in un contesto di confini porosi e incerti. La più importante istituzione contro il terrorismo è la Regional Antiterrorism Structure (RATS) della Shanghai Cooperation Organization (SCO), che unisce le intelligence di Cina, Russia, Kirghizistan, Kazakhstan ma rivalità regionali, influenza delle grandi potenze e diversità di visioni ne pregiudicano il successo. La strumentalizzazione perseguita dal Governo kirghiso che puntualmente utilizza veri o presunti attentati per screditare la fragile opposizione confonde le idee all’interno della disattenta comunità internazionale e alimenta il risentimento domestico. Cooperazione internazionale, miglioramento della situazione economica e lavorativa, contrasto effettivo alle reti di imam e cellule radicali oltre che a un deciso incremento delle libertà civili possono essere un antidoto a un inquietante futuro ma pochi o nulli sono i segnali di progresso da annotare.
Il Kirghizistan con la sua ricchezza culturale e etnica, il suo potenziale turistico e la fortunata posizione geografica possiede le potenzialità adatte per attirare importanti investimenti esteri che ne migliorino le condizioni economiche e sociali, ma la mancanza di una capace classe dirigente nonché la diffusa apatia e rassegnazione ne pregiudicano la stabilità, rischiando la disintegrazione della compagine statale e altrimenti evitabili manifestazioni di violenza armata e separatismo.