Schiacciati fra un nazionalismo strisciante, la disparità sociale con l’etnia maggioritaria kazaka e il forte richiamo di una patria ancestrale che ne richiede e apprezza le qualità tecnico lavorative, i russi di Kazakistan stanno vivendo una parabola demografica discendente che da componente maggioritaria del grande stato centroasiatico li ha visti diventare cittadini di seconda classe in una Nazione che, in parte, hanno contribuito a plasmare. Una vera e propria tragedia con profonde radici nella storia dei due Paesi asiatici.
I primi insediamenti di russi etnici in quello che allora veniva chiamato Turkestan (un agglomerato etnico di cui facevano parte tutti gli -stan dell’Asia Centrale) risalgono ai primi del Settecento quando un impero russo in vorace e costante espansione iniziò ad affacciarsi sui territori allora governati dai bellicosi khanati, eredi dell’impero mongolo. I cosacchi furono i primi ad avventurarsi in quei territori costituendo l’avanguardia armata dell’esercito dello zar e contribuendo a creare i primi insediamenti allogeni senza però alcun piano di colonizzazione, ma seguendo solamente dinamiche di controllo militare delle frontiere. Akmolinsk, l’antenata dell’odierna capitale Astana, vide la luce esattamente in quel periodo.
Vitale si manifestava per la potenza russa il controllo delle floride vie carovaniere del commercio indebolendo al contempo non solo i litigiosi khanati musulmani ma anche le potenze europee, da sempre interessate alle vie commerciali e dirette verso gli agognati mercati orientali. Michail Grigor’evič Černjaev, generale, scrittore e fervente panslavista, si distinse nelle campagne militari che per la prima volta portarono, dal 1860 al 1890, l’intera area del Turkestan nelle mani russe. Passo obbligato quello di avviare una campagna di colonizzazione pianificata di popolazioni russe al fine di riempire gli spazi geopolitici, procurare risorse al vorace sistema autarchico imperiale e in ultimo indebolire la coesione e la riottosità dei sottoposti autoctoni.Gli scontri etnici e sociali in seguito ai disordinati eventi della rivoluzione d’ottobre e della guerra civile mostrarono al mondo l’insoddisfazione degli abitanti originari di fronte al colonialismo russo e poi sovietico che avrebbe stretto nella morsa repressiva quei popoli fino all’indipendenza. Indubbiamente il Soviet di Mosca garantì alla Repubblica del Kazakistan un’incontestata indipendenza politica, sradicò l’analfabetismo e le disparità sociali favorendo la preservazione delle culture locali. Tuttavia, il bigottismo autarchico dei piani quinquennali, la mancanza di libertà religiosa e gli orrori del terrore staliniano provocarono innumerevoli lutti alla fragile Nazione.
Il punto di svolta che trasformò radicalmente il panorama etnico della Nazione fu sicuramente la cosiddetta “Campagna delle Terre Vergini” , mastodontico piano, ideato e patrocinato dal leader sovietico Nikita Chruščëv, di colonizzazione e coltivazione delle promettenti pianure kazake, con l’obiettivo di incrementare massicciamente la produzione cerealicola dell’Unione Sovietica e diversificare l’economia (troppo legata agli apparati industriali ivi trasferiti da Stalin nel corso della grande guerra patriottica). Il piano ambizioso si dimostrò un costoso castello di carta, ma attrasse un costante numero di nuovi arrivati dalla Russia europea, sommergendo la popolazione autoctona che si ritrovò minoritaria nel proprio Stato conservando questa particolarità demografica fino al raggiungimento dell’indipendenza nel 1991.
Ed è proprio in quell’anno che per molti analisti e demografi ha inizio il drammatico fenomeno che avrebbe portato in pochissimo tempo a sovvertire completamente le statistiche demografiche e gli equilibri di forza nella neonata Nazione. Attualmente i kazaki, dal 40% degli abitanti al tempo della dissoluzione dell’Unione Sovietica, formano una schiacciante maggioranza di più del 70%; prevalenza numerica che tende ad allargarsi in quanto gli autoctoni possono beneficiare oltre che a un tasso di fertilità maggiore (molto più alto dei concittadini russofoni) e su un numero crescente di kazaki etnici di ritorno dai paesi confinanti, attirati dalla rapida crescita economica (interamente frutto dei giacimenti di idrocarburi) della Nazione.
Secondo Asian Times dal 2010 al 2015 sono stati 77.000 i kazaki di ritorno, principalmente dalla Cina e dall’Uzbekistan, mentre il numero dei russi in fuga raggiungerebbe il drammatico numero di 40.000 ogni anno.
Cosa spinge ogni anno cosi tanti russi ad attraversare la frontiera nord? Gli stessi motivi che tutt’ora spingono molti africani a prendere la strada verso i Paesi europei, in aggiunta al crescere di un atteggiamento nazionalista sempre più istituzionalizzato nella quotidianità. Per quanto non si possa negare lo sviluppo economico del Paese centrasiatico a livello di welfare e attrattive economiche sussiste ancora un certo deficit. Gli stipendi sono molto più alti in Russia e se entriamo nel panorama pensionistico il divario aumenta sensibilmente. Una popolazione in rapido invecchiamento e in grande maggioranza formata da lavoratori qualificati non può resistere al miglioramento del tenore di vita che gli si offre aldilà del confine. Lo stesso Vladimir Putin, nonostante si sia speso a favore del mantenimento dei diritti e della preservazione della comunità, potrebbe aver contribuito all’esodo offrendo importanti incentivi ai russi disposti a trasferirsi nelle vergini terre della Siberia orientale.
Cosa spinge ogni anno cosi tanti russi ad attraversare la frontiera nord? Gli stessi motivi che tutt’ora spingono molti africani a prendere la strada verso i Paesi europei, in aggiunta al crescere di un atteggiamento nazionalista sempre più istituzionalizzato nella quotidianità.
by Author
Checché se ne dica, nonostante le paure della leadership di Astana, che tratta e inquadra i russi come pericolose quinte colonne di un futuro espansionismo del Cremlino sullo sperimentato modello della Crimea, il Presidente russo ha maggiormente bisogno dei cervelli e dell’expertise degli espatriati e sta facendo il possibile per richiamarne il maggior numero possibile dalle Repubbliche centroasiatiche e non solo.
Un fattore secondario ma non meno importante che sta spingendo molti russi etnici a fuggire dal Kazakistan è la palese disparità sociale in cui giornalmente si imbattono. Nonostante il Paese non si sia reso testimone, a differenza dei vicini meridionali, di sanguinosi pogrom e scontri razziali, diversi segnali hanno contribuito a deludere le speranza di coabitazione e pace sociale. Esattamente nell’ottobre del 2017 il Presidente kazako Nursultan Nazarbayev ha ordinato al Governo di sostituire l’alfabeto cirillico con le lettere latine. Questo simbolico gesto intrapreso, a giudicare dalle dichiarazioni del Presidente, per favorire i contatti con gli investitori stranieri e modernizzare il Paese oltre che un palese strappo nei confronti del passato sovietico, potrebbe indebolire la capacità di comunicazione verbale della minoranza e insieme al recente divieto di esprimersi in russo nelle aule istituzionali sembra pensato ad hoc per porre ulteriore ostacoli ai russofoni in un Paese in cui il russo è (anche se non ufficialmente) un’importante lingua franca. La rivincita del nazionalismo kazako è funzionale all’autocrate kazako al fine di creare un senso di coesione strumentale e al rafforzamento dell’apparato repressivo. Lo sciovinismo come arma di distrazione di massa in un Paese dove le semplici libertà personali vengono quotidianamente violate e messe in discussione e dove il contatto fra l’élite e il popolo si manifesta principalmente in chiave clientelare.
I russi hanno paura per il loro presente e il futuro dei propri figli in un Paese che percepiscono come alieno e incapace di comprenderne istanze, sogni e concepire la ricchezza culturale e materiale che possono offrirgli. A lungo andare, se la situazione non si ribalta e difficilmente succederà, il numero dei russi in Kazakistan calerà, privando Astana di un importante tassello del mosaico culturale e sociale che ha sempre caratterizzato l’Eurasia, crocevia di popoli e culla di leggendarie civiltà fin dagli albori della storia.