Dopo la caduta dell’URSS, le autorità russe si trovano a fare i conti con un nemico “stupefacente”: l’eroina. E i dati relativi all’HIV lo confermano…
Nel cuore di Irkutsk – nell’estremo sud della Siberia, a ridosso del confine con la Mongolia – sorge la Cattedrale dell’Epifania, una chiesa dagli elementi ortodossi vivacemente pittoreschi che gli abitanti del posto paragonano giocosamente ad una casa di marzapane.
Basta uscire dall’edificio sacro – permeato di incenso e di un’atmosfera mistica – per vederli lì, giacenti moribondi su di un marciapiede. Sono tre corpi in abiti semplici e con una dentatura quasi inesistente. Uno di loro riesce persino a mantenere uno sguardo tanto intenso quanto vuoto verso di me, a simboleggiare come la morte psicologica abbia in loro preceduto – verosimilmente ancora per poco – quella propriamente biologica.
Sono solo alcune delle vittime di uno dei più temibili nemici della Federazione Russa dopo il collasso dell’Unione Sovietica: non sono battaglioni della NATO né tantomeno lo “zio Sam”; anzi, è soprattutto in ciò che resta del “primo mondo” che ha sfruttato e preteso di curare quella necessità di stimoli che i ritmi frenetici della società contemporanea comportano (sebbene non fossero certamente sconosciuti alle generazioni passate).
Si parla della droga, ed in particolare dell’epidemia – rectius, endemia – delle tossicodipendenze nel Paese più esteso della Terra. La Russia è infatti il 5° Stato al mondo per consumo di oppiacei (in primis, eroina), ed il dato statistico colpisce davvero: più dell’1,5% (1,64%) della popolazione nella fascia d’età compresa tra i 15 ed i 64 anni ne fa uso. Non si è ancora ai livelli statunitensi (5,9%), ma la statistica è comunque notevole.
Le statistiche relative alle altre sostanze sembrano, tuttavia, in controtendenza: la diffusione della cannabis nella medesima fascia è stimata al 3,5%, mentre il consumo di cocaina ammonta allo 0,2%. Per avere un’idea complessiva, negli Stati Uniti a fare uso di cannabis è il 13,7% della popolazione (in Italia il 14,6%); per quanto concerne la “polverina bianca”, invece, la percentuale è del 2,4% tra gli statunitensi (2,2% tra gli italiani).
Sembra – e forse lo è – un paradosso: in Russia, più di 9 tossicodipendenti su 10 fanno uso di eroina. E qui in Russia, a differenza dell’Italia degli spacciatori nei parchi, si compra prevalentemente online: il prodotto viene acquistato e recapitato in un posto concordato su Telegram. Una caccia al tesoro dove si vince un’estasi maledettamente effimera.
In Russia, più di 9 tossicodipendenti su 10 fanno uso di eroina
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Il caos post-URSS ed una serie di eventi geopolitici hanno di fatto contribuito a conferire al fenomeno le sue dimensioni attuali. Tra gli altri, la guerra civile che in Afghanistan contrappose i Pashtun ai Tagiki, con la conseguente frammentazione sociale e politica del Paese (apripista dell’ascesa talebana), che rese l’apertura al commercio illegale di oppioidi una scelta assai conveniente per i coltivatori locali. Se si aggiunge la porosità dei confini sovietici negli anni successivi alla disgregazione del “secondo mondo”, la frittata è fatta.
Oltre ad essere Paese di consumo, la Russia ha preso altresì ad essere stazione di passaggio per il transito delle sostanze, rimpinguando le casse dei gruppi criminali locali, che hanno così diversificato il loro portfolio di attività.
Ma sono anche altri aspetti, indirettamente legati a quanto appena riportato, a saltare agli occhi. La Russia ha il triste primato di essere il primo Paese europeo per diffusione dell’HIV, con circa 1 milione di persone infette solo tra coloro cui è stata diagnosticata (e chissà quanti altri ignari…). Ma ancora più allarmante è la tendenza per cui, a differenza del resto del mondo, la suddetta percentuale è in continua crescita negli ultimi anni (del 10-15%, che significa 250 nuovi sieropositivi al giorno).
Ça va sans dire, è proprio l’iniezione endovena di sostanze stupefacenti a costituire la forma più comune di contagio (48,8%), appena prima dei rapporti eterosessuali non protetti (48,7%). Dall’inizio dello scorso anno, le autorità russe hanno istituito un elenco di persone con sieropositività – la registrazione al quale non è obbligatoria –, ma sono in molti a decidere di restare nell’ombra, principalmente a causa della stigmatizzazione sociale che ne potrebbe conseguire, specialmente nei confronti della comunità LGBTI.
La Russia ha il triste primato di essere il primo Paese europeo per diffusione dell’HIV, con circa 1 milione di persone infette
Cupcake Ipsum, 2015
Dopo la diagnosi, però, serve la prognosi.
La Russia sta vincendo la lotta contro l’eroina? Pare proprio di no, ed a contribuire ad una tale disfatta sono decisioni alla stregua di quella presa nel 2017, la quale ha ufficialmente proibito l’uso del metadone – un oppioide sintetico utilizzato principalmente per ridurre gradualmente l’assuefazione dalle droghe – in sostituzione dell’eroina (un metodo, quello appena descritto, definito “dubbio” dal Governo, che preferisce una misura più radicale). Va considerato che il sistema sanitario russo indubbiamente non brilla quanto a tempi d’attesa e fornitura di medicinali, due aspetti che nella lotta alla tossicodipendenza assumono una valenza decisiva. Inoltre, dal 2012, alcune delle ONG che operavano nel campo della prevenzione e della cura della dipendenza sono state costrette a registrarsi quali “agenti stranieri”, ovverosia soggetti teoricamente portatori dell’interesse del Paese estero da cui ricevono fondi.
L’approccio russo alla cura della dipendenza non sembra sortire grandi effetti, dato che 9 tossicodipendenti su 10 ci ricadono dopo la riabilitazione. Una riabilitazione che, peraltro, viene scelta solo da un’esigua componente, vuoi a causa della scarsa pubblicità, vuoi per la morte civile che conseguirebbe all’ammissione di far uso di eroina (con conseguente perdita del lavoro).
Più che di eroina, insomma, la Russia avrebbe proprio bisogno di un eroe…