Nel dicembre del 1994, le truppe russe entrarono in Cecenia per impedire che la piccola repubblica autoproclamata si ritirasse dalla neonata Federazione. Solo dopo due anni di intensi combattimenti si raggiunse un accordo di pace. Ma quali furono le cause di tale conflitto?
Le relazioni tra la Russia e il popolo della Cecenia si sono evolute in maniera controversa e risalgono al periodo dell’espansione russa nel Caucaso, nel corso del XIX secolo. Dalla forzata annessione all’impero zarista i ceceni lottarono tenacemente contro l’imperialismo russo e, facendosi scudo dei propri costumi e della religione, orgogliosamente difesero la propria sovranità per finire repressi nel sangue.
Situata sul versante nord delle montagne del Caucaso, a 100 chilometri dal Mar Caspio, la Cecenia è strategicamente vitale per la Russia per due motivi: le rotte di accesso al Mar Nero e al Mar Caspio che attraversano la Cecenia e in secondo luogo i collegamenti petroliferi russi (vitali per la fragile economia di Mosca) che passando dal Kazakistan per l’Azerbaigian percorrono anche la Cecenia.
Compiutosi il processo di dissoluzione dell’Unione Sovietica, nel contesto di ritrovato nazionalismo la Repubblica della Cecenia nel Caucaso settentrionale si dichiarò indipendente dalla Federazione Russa nel 1991, sotto la guida di Dzhokhar Dudayev (un ex pilota dell’aviazione sovietica). La dichiarazione di piena indipendenza, emessa nel 1993 dal governo Dudayev, portò a una guerra civile intestina intervallata da diversi tentativi falliti (nel 1993 e nel 1994) di rovesciamento del governo ribelle sostenuti dalla Russia. Nell’estate del 1994, il governo russo intensificò le sue accuse contro il governo secessionista accusandolo di reprimere il dissenso politico, di corruzione e di coinvolgimento in attività criminali internazionali. Come ampiamente riportato dai media russi la Cecenia era infatti diventata un crocevia di primo livello del crimine organizzato transnazionale e del contrabbando di droga. Di fronte ai tentativi di sovversione russa il governo Dudayev introdusse la legge marziale imponendo il coprifuoco, limiti alle procedure di uscita e di ingresso oltre a restrizioni alle libertà personali. Iniziò inevitabile la fuga della popolazione di etnia russa (i quadri economici, professionisti e civili della repubblica).
L’opposizione cecena lealista lanciò un’importante offensiva il 26 novembre 1994 con il supporto segreto dei “volontari” di diverse unità dell’esercito russo regolare d’élite senza riuscire a spodestare Dudayev. Nel dicembre 1994 le forze militari russe per far fronte ai precedenti fallimenti e stroncare la posizione di forza di Dudayev iniziarono seriamente a concepire la possibilità di un offensiva armata in piena regola.
Con una decisione fortemente voluta dal presidente della federazione El’cin tre divisioni delle forze armate, fanteria cecena filorussa e truppe paramilitari interne invasero la Cecenia il 10-11 dicembre 1994. L’obiettivo era una rapida vittoria che portasse alla pacificazione e al ristabilimento di un governo filorusso. Il risultato, tuttavia, fu una lunga serie di operazioni militari disordinate e incoerenti ostacolate dalle forze tradizionalmente coriacee della guerriglia dei separatisti ceceni.
Aerei militari russi bombardarono obiettivi militari e civili a Grozny la capitale della repubblica mentre le truppe regolari dell’esercito e del ministero degli affari interni attraversarono il confine in Cecenia il 10 dicembre per circondare i maggiori centri urbani. A partire dalla fine del dicembre 1994 ci furono massicci bombardamenti aerei e di artiglieria nella capitale della Cecenia, Grozny, che causarono la morte di decine di migliaia di cittadini e centinaia di migliaia di sfollati. Gli attacchi aerei, resesi necessari dalla continua resistenza cecena, continuarono per tutto il mese di dicembre e fino a gennaio, causando ingenti danni e pesanti vittime civili.
Oltre al gran numero di civili feriti e uccisi, la maggior parte degli edifici residenziali e pubblici a Grozny compresi ospedali e orfanotrofi vennero distrutti.Il 28 dicembre il governo russo annunciò che le forze di terra russe avevano iniziato un’operazione per “liberare” Grozny un distretto alla volta fino a disarmare i “gruppi armati illegali”. I sostenitori di Dudayev stoicamente si asserragliarono nella città: obiettivo fiaccare l’offensiva russa e preparare la transizione alla guerriglia, vera specialità dei popoli di montagna caucasici.
Le truppe inviate in Cecenia in molti casi erano appena arrivate per il loro servizio obbligatorio di leva e di conseguenza avevano superato solo la metà di un addestramento di base. Poiché i pianificatori russi credevano in una guerra lampo di breve durata preferirono conservare le migliori artiglieri e materiali bellici per un possibile futuro conflitto con l’occidente dispiegando i modelli più vecchi e consegnando alle truppe armamenti inefficaci e mal funzionanti; le divisioni dell’esercito accomodate e mal addestrate furono mischiate confusamente costrette ad addestrarsi e a familiarizzare in un contesto di disillusione e insubordinazione.
Il retaggio sovietico, le difficoltà burocratiche e i disordini lungo la linea di comando contribuirono a rendere inevitabile le possibilità di una disfatta russa. Il destino della 131a Brigata a motore indipendente “Maykop” e del 81 ° Reggimento di fucili motorizzati delle Guardie,completamente distrutti dai combattimenti, rimane l’esempio più duro dell’incapacità russa di portare avanti una guerra inaspettata e ancor peggio progettata.
Sebbene i bombardamenti indiscriminati delle forze russe arrivarono a radere al suolo la capitale Grozny e altri centri abitati, portando avanti una sanguinosa campagna di guerriglia urbana le forze cecene strapparono al controllo federali vaste aree a macchia di leopardo nel corso 1995 e nell’anno successivo. Due importanti episodi di presa di ostaggi – uno a Budennovsk nella Russia meridionale nel giugno 1995 e uno nella città di confine del Dagestan di Pervomayskoye nel gennaio 1996 –diffusero il panico fra la popolazione civile, allargarono il conflitto oltre i confini della repubblica secessionista mentre la tardiva e irruenta reazione russa contribuì ulteriormente a inimicare la popolazione civile già ostile alle presenza in loco delle forze armate russe.
Il conflitto in Cecenia scatenò un importante dibattito sulla responsabilità nel processo decisionale in seno al Cremlino e l’impegno del governo nei confronti dei diritti dei suoi concittadini e il rispetto delle norme internazionali. La Corte costituzionale, interpellata sul caso, riconobbe la costituzionalità dell’intervento armato ma stabili che il diritto internazionale fosse vincolante sia per le forze governative che per quelle ribelli sebbene nessuna delle forze in campo si sia attenuta a rispettare i dettami della Convenzione di Ginevra.Le forze russe senza alcun dubbio non esitarono ad usare la forza indiscriminata e sproporzionata nel corso delle offensive contro città e avamposti ceceni mentre gli stessi separatisti ceceni impiegarono tattiche di guerriglia e terrorismo (la proclamazione della guerra santa fece accorrere nella repubblica svariate migliaia di foreign fighters da tutta l’umma islamica) contro le forze dei ministeri della difesa e degli affari interni, nonché contro i civili russi.
Poiché i fallimenti della campagna e le perdite sostanziali finirono per filtrare oltre le maglie della censura russa venendo ampiamente riportati dai media indipendenti (circa 1.500 soldati russi e 25.000 civili avevano perso la vita solamente nell’aprile del 1995), l’opinione pubblica in Russia si oppose fin dai primi momenti alla continuazione della sanguinosa offensiva ma tuttavia, temendo che la capitolazione di fronte a un governo tenacemente separatista in una repubblica etnica avrebbe creato un precedente per altre regioni in bilico, il presidente El’cin oscillò tra il pieno sostegno alle operazioni cecene e l’aperta condanna della presunta incompetenza del ministro della Difesa Pavel Grachev e dei suoi generali, veri e propri capri espiatori. El’cin arrivò a decapitare i vertici della Difesa licenziando diversi alti ufficiali, tra cui il viceministro della Difesa Boris Gromov, che si erano opposti alla gestione e continuazione dello stillicidio.
Alla fine del 1995, l’attacco contro Anatoliy Romanov, comandante delle truppe russe in Cecenia,sfumò ogni speranza in un cessate il fuoco permanente e il Palazzo presidenziale, in cui si erano asserragliati i ribelli, venne abbandonato e ridotto in macerie. La città di Grozny, ormai allo stremo, vide andare in frantumi anche l’ultimo simbolo della propria indipendenza. Nella primavera del 1996 le perdite militari e le crescenti vittime civili resero la guerra sempre più impopolare in Russia e le vicine elezioni presidenziali indussero il governo di Boris El’cin a trovare una via d’uscita al conflitto. Il 28 maggio del 1996 il presidente russo El’cin dichiarò la vittoria a Grozny, dopo un temporaneo cessate il fuoco con il presidente ceceno ad interim Zelikhan Yandarbiyev ma poco prima di esser rieletto per un secondo mandato presidenziale, nell’agosto del 1996, i ribelli ceceni lanciarono un nuovo attacco su Grozny. Più di 5.000 ribelli ceceni occuparono i distretti chiave in una operazione preparata e diretta dai comandanti militari Aslan Maskhadov e Basayev, assediando le postazioni russe nel centro della città. Il 19 agosto nonostante la presenza di 50.000-200.000 civili ceceni e russi e migliaia di militari a Grozny, il comandante russo Konstantin Pulikovsky lanciò il famigerato ultimatum ai ribelli ceceni:lasciare la città in 48 ore oppure subire un massiccio attacco con aerei, artiglieria e missili balistici, una vera e propria carneficina. All’annuncio seguirono scene di panico tra i civili già in fuga mentre le forze russe si prepararono per l’assalto finale. Il bombardamento venne fermato dal cessate il fuoco stipulato dal comandante separatista Aslan Maschadov e dal generale Alexander Lebed, Consigliere nazionale per la Sicurezza russo. Il 31 agosto si giunse agli Accordi di Khasav-Yurt che stabilirono la demilitarizzazione della zona, la creazione di una commissione russo-cecena per il mantenimento dell’ordine nella città di Grozny e soprattutto il ritiro definitivo dell’esercito russo dal territorio ceceno.
La tenacia cecena di fronte all’impreparazione e disillusione russa consegnò la vittoria alle istanze separatiste cecene evidenziando la precaria situazione dell’esercito russo e la necessità di riforme e investimenti. L’avvento di Putin, la trasformazione dell’esercito e la costruzione di un nuovo orgoglio panrusso diede vita a un nuovo e definitivo conflitto all’interno della piccola repubblica caucasica che avrebbe visto la sconfitta dei separatisti, la vittoria delle misure energiche di contro insurrezione russa e l’ascesa irresistibile del terrorismo e del famigerato “Emirato del Caucaso”.