Le elezioni ucraine sono ormai prossime [31 marzo] e negli ultimi mesi i candidati si sono sfidati attraverso slogan e promesse che, seppur distinguibili tra la visione liberale della Timoshenko e quella conservatrice di Poroshenko, si caratterizzano per una retorica nazionalista di base. (Per un profilo più dettagliato sui candidati, rimandiamo all’articolo di Giusy Monforte per il nostro Osservatorio).
Entrambi i candidati sono poi sfidati da una voce del tutto nuova nel contesto politico ucraino, quella di Volodymyr Zelensky, famoso per aver ricoperto il ruolo di presidente nella serie tv Servant of the people. Nessuno si aspettava che un video caricato da alcuni studenti su YouTube, in cui Zelensky denunciava la dilagante corruzione del Paese, l’avrebbe messo in pole position per la corsa verso una vera carica presidenziale.
Dunque, a parte Zelensky – che ha le caratteristiche per sembrare in gran parte un voto di protesta – né la Timoshenko, né Poroshenko stanno raggiungendo la popolarità auspicata. La loro campagna, tutta incentrata sull’elemento dell’etnicità ucraina, non ha convinto l’opinione pubblica, che rimane pressoché polarizzata. È ampia la distanza ideologica tra la classe politica e i cittadini che, ad ormai cinque anni dal referendum in Crimea, cercano una terza via di rappresentazione, che vada oltre il nazionalismo conservatore e militarista o le promesse di una rapida integrazione nel contesto europeo.
Cosa pensano i cittadini ucraini del nuovo panorama politico?
Esercito, lingua e fede
“Esercito, lingua, fede. Noi andiamo per la nostra strada. Noi siamo l’Ucraina”. Questo è lo slogan con cui Poroshenko ha lanciato la sua campagna per le presidenziali 2019. Ad oggi, il presidente attualmente in carica è dato al terzo posto nei sondaggi. La sua campagna si era basata ampiamente su un revival del nazionalismo in maniera trasversale, attraverso i tre pilastri, ovvero quello militare, linguistico e religioso.
Il Presidente ha fatto quello che gli amanti del costruttivismo definirebbero una securitizzazione, ovvero l’amplificazione di una minaccia costruita principalmente attraverso pratiche e discorsi. Queste tecniche, basate su una contrapposizione noi – loro, costituiscono uno strumento immediato per la formazione di un’identità nazionale, ma non di stabile durata poiché dipendono dalla costante presenza di un nemico esterno.
Nel campo militare, il picco massimo di antagonismo è stato sbandierato con l’introduzione della legge marziale in risposta all’attacco subito dalle navi ucraine presso lo stretto di Kerc’, lo scorso novembre. Un momento in cui il presidente Poroshenko ha potuto sfoderare la sua credibilità in quanto comandante supremo delle forze armate, il protettore del popolo ucraino contro la costante minaccia russa.
Sul piano spirituale, i recenti attriti con il Patriarcato di Mosca hanno rappresentato un’altra occasione, in cui Poroshenko ha esibito un visibile impegno nella costruzione dell’identità ucraina. Per decenni la Chiesa ortodossa Ucraina ha sfidato quella di Mosca, chiedendo l’indipendenza e l’autocefalia. Il riconoscimento è avvenuto solamente nello scorso dicembre ed ha rappresentato un processo irreversibile e di portata epocale nella storia della Chiesa Ortodossa, di cui ha parlato Marco Limburgo nel suo articolo per l’Osservatorio. L’eco avuta nella scena politica non è una novità. Anche in passato la contrapposizione religiosa è stata specchio della polarizzazione geografica e identitaria dell’Ucraina, e per questo motivo diviene un teatro di scontro ad ogni elezione presidenziale.
In un leit motiv tra presente e passato, tra religione e politica e che non lascia niente al caso, il presidente Poroshenko lo scorso 15 dicembre ha voluto presiedere alla cerimonia religiosa del riconoscimento dell’autocefalia. Nel suo discorso rivolto al pubblico degli ecclesiastici ha esaltato l’importanza dell’indipendenza spirituale tanto quanto quella politica e identitaria dei cittadini ucraini, riconfermando il sodalizio tra fede e politica anche in queste presidenziali. In una retorica tutt’altro che imprevedibile, Poroshenko ha anche riconosciuto il momento dell’autocefalia come uno spartiacque storico nel processo di decolonizzazione dalla Russia.
Il linguaggio è stato il terzo pilastro su cui la leadership politica anti-russa ha fatto leva per raccogliere i voti. In ottobre, il parlamento ha approvato una legge che sostituisce l’ucraino al russo nei media locali, da internet alla stampa, ed estende l’uso del linguaggio nazionale anche in altri numerosi contesti.
Finora, il russo e l’ucraino hanno convissuto nel quotidiano in Ucraina, sebbene al secondo fosse riconosciuto il titolo di lingua nazionale. Secondo le classifiche, un 30% di ragazzi dai 14 e 29 anni, sebbene abbia studiato in ucraino, parla russo nel contesto familiare. Un altro 18% invece alterna le due lingue. Dunque la decisione di smantellare la seconda lingua sembra una decisione elitaria più che un’esigenza venuta dal basso, in quanto tale decisione mette in difficoltà una grande fetta della popolazione che parla principalmente russo.
Il fatto che nonostante l’impegno assiduo – partecipazione alla cerimonia di assegnazione dell’autocefalia; dichiarazione dello stato di emergenza dopo lo scontro di Kerch – Poroshenko non sia dato in testa nei sondaggi, dovrebbe portare a fare delle riflessioni. Forse il senso di identità ucraino sta andando incontro a dei cambiamenti che non si riflettono più nelle campagne ideologiche del Presidente.
Noi andiamo per la nostra strada. Noi siamo l’Ucraina. Ma noi chi?
Nonostante l’intenso impegno trasversale di Poroshenko, l’80% della popolazione ha dichiarato di non fidarsi di lui, e i sondaggi di certo non rispecchiano le sue aspettative. Il Presidente in carica non riesce a salire in testa ai sondaggi e si attesta intorno a un 8%, al pari del nuovo volto per queste presidenziali di Zelensky.
La Timoshenko risulta in testa nei sondaggi ma allo stesso tempo, in seguito alla collezione di ambiguità nella sua carriera politica – tra cui il processo per abuso d’ufficio nel 2011 -, è anche piuttosto impopolare.
Per il momento, il 15% della popolazione è probabile che si asterrà dall’andare a votare, delusa dal panorama politico nel complesso.
È chiaro che quello che si aspettano I cittadini ucraini non è tanto un’esaltazione dell’etnicità in chiave anti russa, quanto piuttosto delle riforme strutturali, che possano tirare fuori l’Ucraina dalla spirale della corruzione e aumentare le possibilità economiche dei cittadini. In altre parole, l’identità dei cittadini Ucraini si riconosce più nell’idea di cittadinanza e meno nell’etnicità. I sondaggi di dello ZOiS [think tank tedesco di studi internazionali e sull’Est Europa, ndr] dimostrano come nel 2018 “cittadinanza ucraina” sia stata la connotazione più selezionata (49.2% del 2018 contro 37.7% del 2017) fra le varie scelte in cui si potessero identificare gli Ucraini. Una retorica vincente avrebbe puntato maggiormente sulla forza dello Stato e delle istituzioni, invece che su una narrazione sciovinista, che si dimostra anacronistica a detta dei sondaggi. Il fatto che nessuno dei leader sia riuscito a pieno ad afferrare i bisogni della popolazione mostra una forte distanza tra il sistema politico e la società ucraina, che forse per prima ha capito quanto la strategia di costruire un’identità nazionale in senso anti-russo sia di per sé perdente nel lungo periodo.
Inoltre, secondo statistiche pubblicate dalla Democratic Initiatives Foundation, sebbene il 52% degli Ucraini vorrebbe entrare nell’Unione Europea, il 43% è consapevole che la corruzione è il principale ostacolo al processo di integrazione, secondo il 38% l’impedimento è il basso sviluppo economico, il 21% indica il conflitto nel Donbass, e il 17% la bassa tutela dei diritti umani.
La nuova classe politica al potere, qualunque essa sarà, dovrà capire che cercare di rafforzare il legame con le organizzazioni occidentali facendo leva sul senso di aggressione dalla Russia non funzionerà. Costruire una narrativa nazionale dipingendo un nemico esterno è una strategia di breve termine ed anche pericolosa, poiché gli equilibri nel panorama internazionale tendono a mutare nel tempo. Se l’intensità del conflitto con la Russia dovesse diminuire, l’Ucraina dovrebbe cercare un nuovo nemico da dipingere per forgiare la sua identità nazionale.
Promettere una veloce e rapida integrazione nelle istituzioni europee è altrettanto rischioso. L’Unione Europea non può essere un ricettacolo contro il nemico russo ed inoltre i politici non dovrebbero giocare carte che non possiedono e promettere false speranze ai cittadini in un contesto di competizione per le presidenziali.
Un impegno nel lungo periodo, che tiene conto delle riforme strutturali, della lotta alla corruzione e della stabilizzazione del Donbass invece che puntare sull’enfasi dell’antagonismo e degli slogan militaristi, dovrebbe essere la sfida, ma anche la base di partenza di una nuova classe politica che vuole accorciare la distanza con la società ucraina.