Qualcosa si muove nella staticità cronica dell’Asia Centrale. Dopo 28 anni ininterrotti di potere (35 se contiamo anche gli anni da segretario sovietico) giunge inaspettata la notizia delle dimissioni dell’eterno leader del Kazakistan, Nursultan Nazarbayev. In un discorso televisivo molto sentito, l’ormai ex-Presidente kazako ha espresso la sua volontà di ritirarsi dalla posizione al vertice, concludendo una lunga parentesi pur senza abdicare alla posizione di leader spirituale della nazione. In attesa delle elezioni del prossimo anno, a prendere il posto di Nazarbayev sarà Kassym-Jomart Tokayev, presidente del Senato ed esponente politico del clan presidenziale. Mentre si infittiscono le trame sulle motivazioni che hanno portato alle dimissioni e si apre la diatriba sulla successione al vertice, appare fondamentale comprendere la figura, il ruolo e l’eredita del “Elbassy” (padre della patria) nella costruzione statale e nelle vicende della più vasta repubblica centroasiatica.
In carica dall’aprile del 1990 al marzo del 2019, sotto la sua ala hanno operato ben undici primi ministri e il quadrante geopolitico ha affrontato sconvolgimenti geopolitici sostanziali. Dalle arretrate steppe del Turkestan sovietico, Nazarbayev ha saputo trascinare il paese nel 21esimo secolo, sostenendo una profonda modernizzazione senza rinunciare alla costruzione di una peculiare identità nazionale. Complici le vastissime riserve di idrocarburi, la ferrea alleanza con la Russia e gli accordi commerciali con la Cina, il Paese ha conosciuto livelli macroeconomici di sviluppo strabilianti.
Figlio di una famiglia povera di lavoratori agricoli, vittime delle collettivizzazioni sovietiche, Nazarbayev rappresenta perfettamente l’esempio dell’ambizioso funzionario in grado di scalare abilmente i vertici del potere sovietico. Dopo un’altalenante parentesi scolastica e un periodo di lavoro nelle acciaierie del Donetsk, il ventenne Nazarbayev si unì al Partito Comunista nel 1962, divenendo presto un membro di spicco della Lega dei Giovani Comunisti. Da segretario della sezione universitaria del politecnico di Karagandy (200 km a sud di Astana) divenne un leader regionale, facendosi notare per lo zelo e l’attenzione verso la condizione degli operai metallurgici. La svolta arriva nel 1984 con la promozione a Primo ministro delle repubblica sovietica nel governo retto dal kazako etnico Dinmukhamed Kunayev. L’avanzamento verso l’agognato vertice arriva nel 1990 quando è oramai una delle più influenti personalità nel declinante panorama sovietico. Sostiene il presidente russo Boris El’cin contro il colpo di Stato degli oltranzisti nel 1991 e appare molto vicino alle posizioni riformatrici di Mikhail Gorbachev (questo arriverà, invano, ad offrirgli la carica di Vicepresidente dell’Unione Sovietica). Alla dissoluzione dell’URSS risponde con freddezza pur non esitando a collocare il giovane Stato nella Comunità degli Stati Indipendenti, firmando il protocollo di Astana e riuscendo a riconfermare la personale posizione al vertice vincendo la prima delle diverse elezioni della sua fortunata carriera. La costruzione di un identità nazionale, la necessaria transizione economica dal dirigismo sovietico al capitalismo commerciale e il rafforzamento degli apparati di governo procedono di pari passo al rafforzamento delle posizione al vertice del Presidente che, con opportune modifiche costituzionali, riesce a rendere illimitato il numero di volte in cui poter correre alle elezioni.
Plebiscitarie le vittorie del 2005 e del 2011, quando il presidente ha potuto partecipare sotto l’egida del partito da lui fondato e presieduto, Nur Otan (Radiosa Patria), che ad oggi occupa la stragrande maggioranza dei seggi nel Majilis (parlamento) di Astana. Proprio a una visione strategica del Presidente si deve la decisione di trasferire la capitale da Alma Ata a un secondario villaggio nelle steppe centrali del Paese: nasce e si sviluppa Astana (da pochi giorni rinominata Nursultan proprio in onore del dimissionario dirigente) che nel giro di un decennio si arricchisce di monumenti, palazzi governativi e istituzioni commerciali, oltre che esplodere demograficamente. La precedente capitale sarebbe stata troppo vicina al confine, mentre per gli analisti appare evidente la volontà di inserire le lontane regioni del nord (a maggioranza russofona) all’interno dei processi governativi. Proprio la condizione della minoranza russa (20% circa) ha più volte rischiato di minare il sodalizio di ferro tra Mosca e Astana (qui un nostro articolo sulla questione) in quanto le politiche di forte rilancio del nazionalismo etnocentrico turco, la reiterata volontà di cancellare le vestigia e la memoria sovietica, oltre che il progressivo sradicamento della lingua russa, rappresentano un punto debole nella retorica putiniana della difesa delle minoranze russe in qualsiasi contesto geografico esse si trovino.
Pragmatico il rapporto con l’Islam, l’Organizzazione per la cooperazione Islamica e le autorità religiose del Paese (ha fatto spesso discutere il sostegno e importante sodalizio decennale con Israele), mentre forte è sempre stata la reazione nei confronti del terrorismo e estremismo jihadista pur con qualche perplessità. Di fronte a una riscoperta sempre più forte delle radici islamiche in seguito all’imposizione atea del periodo sovietico, il governo ha saputo patrocinare una visione dell’Islam perfettamente inquadrata secondo dettami di fedeltà allo Stato nazionale, bloccando sul nascere (spesso con l’uso della coercizione violenta) ogni deviazione o eterodossia. Da un ostentato passato ateo, lo stesso Nazarbayev ha sposato una riscoperta dell’identità storica, culturale e personale della religiosità, facendosi portavoce del dialogo costruttivo con le altre religioni mondiali.
I due decenni di presidenza Nazarbayev hanno riportato importanti risultati in campo economico. In questi anni, il Kazakistan è riuscito ad avere un alto tasso di crescita, che ha permesso all’economia nazionale di svilupparsi enormemente. Nel 1993, il Prodotto Nazionale Lordo (PNL) pro capite era di 1.430 dollari statunitensi, mentre nel 2018 viaggia sui 7.970 dollari statunitensi e sta continuando a crescere. Nel 2014 il PNL pro-capite aveva toccato i 12.090 dollari statunitensi. Dopo i disastri del collasso sovietico, l’economia kazaka è cresciuta in maniera inarrestabile, sapendo investire nei settori produttivi del capitalismo mondiale e rilanciando l’immagine di Paese sicuro per gli investimenti, lottando contro la corruzione e facilitando l’inserimento dell’economia nazionale negli ambiziosi progetti di espansione della “Via della Seta” cinese e di rilancio russo della Siberia orientale. Ovviamente, persistono ancora delle importanti disparità sociali tra le diverse regioni e realtà del Paese, difficoltà e dubbi sulla possibilità di riconversione dell’economia a un futuro post-energetico, ma indubbiamente la leadership del presidente e degli abili collaboratori rappresenta il principale motivo dello strabiliante andamento della realtà economica della giovane nazione.
Archiviata la parentesi sull’eredità e il retaggio dell’ingombrante figura nella storia del Kazakistan, resta da capire come si evolveranno le vicende dopo le dimissioni. Appare scontato che, nonostante l’età avanzata e l’allontanamento personale dal vertice, Nazarbayev continuerà a svolgere un ruolo di primo livello nelle dinamiche interne e internazionali del Paese. Pur non ricoprendo più l’alta carica, resta la guida del partito largamente egemone, perpetuando il potere del clan familistico nella figura della figlia maggiore Dariga Nazarbayeva che, al momento, resta ai primi posti tra i più papabili candidati alla successione. Nel corso dei mesi di reggenza Tokayev, diplomatico di carriera ed ex primo ministro, potrebbe consolidare la sua posizione di Presidente ad interim e riconfermare elettoralmente il ruolo acquisito. Altri potenziali successori includono l’ex primo ministro e attuale capo della sicurezza Karim Massimov o l’attuale ambasciatore kazako nella Federazione Russa Imangali Tasmagambetov. Sempre dai ranghi dei servizi di sicurezza potrebbe avanzare Kairat Satybaldy, mentre persino il genero di Nazarbayev, Timur Kulibayev, oligarca sposato con la seconda figlia Dinara, scalpita per raggiungere la massima carica.
Chiunque sarà il nome del futuro presidente, certamente dovrà affrontare importanti sfide e dimostrare altrettanta lungimiranza in campo politico, cercando di non dilapidare il lascito dell’amministrazione precedente. Il carisma, l’autorità e il protagonismo di Nazarbayev hanno stabilito un potere politico solido, polverizzando ogni residua possibilità di opposizione politica seria o dissenso dell’opinione pubblica. Il popolo kazako è cresciuto e maturato sotto l’egida del dimissionario presidente ma ha fame di riforme, cambiamento e aperture e la prossima amministrazione potrebbe non avere la prontezza e il necessario pragmatismo per rispondere con efficacia a sfide di vitale importanza per il futuro assetto del Paese.