Quello che è successo il 5 aprile scorso durante una seduta sul tema dei diritti umani in Armenia ha il potenziale per sconvolgere drasticamente le coscienze di quel frangente di Caucaso in costante evoluzione. Lilit Martirosyan, donna transgender, ha tenuto un discorso molto sentito, di fronte ai deputati, nel quale ha denunciato l’emergenza di omofobia tra i suoi connazionali. Da attivista dei diritti umani ha esortato il nuovo governo a portare avanti politiche di inclusione, riforme e severe restrizioni verso l’impunità, la violenza e l’assordante silenzio nei confronti di una tematica troppo spesso ignorata: “Io rappresento il popolo transgender torturato, stuprato, bruciato, accoltellato, bandito, discriminato, povero e disoccupato dell’Armenia”.
Il solo fatto che un’esponente di questa minoranza marginalizzata sia stato in grado di testimoniare la precarietà della sua situazione è sicuramente causa del vento di rinnovamento che la rivoluzione (con annessa vittoria elettorale a valanga nel 2018), guidata dall’ex giornalista e attivista Nikol Pashinyan, sta portando in questa società. Il primo ministro, rispetto ai predecessori, ha sempre mostrato una certa apertura versa questi temi e l’ampio margine di vantaggio che nutre sugli avversari politici gli darebbe la forza per combattere una battaglia in primis ideologica che rischia, però, di compattare il fronte dell’opposizione.
Di fronte all’accorato appello di Martirosyan (che ha più volte subito aggressioni e minacce di morte) si è sviluppato un eterogeneo fronte tradizionalista e conservatore che attinge pienamente nella religiosità e nell’omofobia di sovietica memoria. Gagik Tsarukyan, il leader di “Armenia Prospera” (secondo partito per numero di deputati) ha dichiarato: “Come leader del Partito prospero dell’Armenia, capo di una famiglia intrisa di tradizioni e fede armene, mi opporrò al fatto che i diritti dei transgender vengano riconosciuti. Questo è un vizio e dobbiamo nasconderlo come abbiamo sempre fatto. Dovremmo lavorare insieme per bandire gli omosessuali, i settari e i loro simpatizzanti dalla nostra terra santa. Noi vogliamo che le femmine siano femmine e i maschi siano maschi, mescolarli è vergognoso.” In un’intervista all’agenzia di stampa Sputnik Yesay Artenyan, sacerdote e portavoce della Chiesa Apostolica Armena ha detto che: “Il numero di omosessuali è aumentato in Armenia negli ultimi anni ed è una conseguenza della propaganda aggressiva e della diffusione dei valori europei e questo è motivo di preoccupazione per noi”, mentre alcuni chierici hanno sottolineato la necessità di riconsacrare l’aula dopo la testimonianza dell’attivista.
Fuori dalle aule del parlamento si era radunato un folto gruppo di nazionalisti e religiosi che hanno minacciato il governo di reagire violentemente contro l’introduzione di un corpo estraneo e di favorire la propaganda omosessuale. Strumentali le dichiarazioni di Eduard Sharmazanov, portavoce del Partito repubblicano (già potente compagine scacciata dalla rivoluzione di velluto dello scorso anno): “Qualcosa è cambiato nel nostro Paese: durante il nostro governo una persona transgender non avrebbe pronunciato un discorso all’Assemblea nazionale”. Un fronte unito contro le possibili aperture di Pashinyan, fortemente richieste dalla comunità internazionale e da associazioni per i diritti umani; ma da dove nasce questa ostilità?
La situazione della comunità LGBT in Armenia
L’Armenia è un piccolo e scenografico Paese schiacciato tra le pendici del Caucaso e la vastità del piano iranico. Sostanzialmente, etnicamente e religiosamente omogeneo (il 98% della popolazione è di etnia armena e di fede apostolica), quella armena è una società conservatrice dove la religione gioca un ruolo molto importante tra un popolo esule e ferito tra le pieghe della storia. Il retaggio sovietico non ha scalfito il valore della religione nella vita sociale del Paese, ma semmai ha integrato un già tenace sentimento di sospetto e ostilità verso il mondo omosessuale.
Secondo un sondaggio svolto tra un campione rappresentativo dell’intera popolazione, l’omosessualità è quasi unanimemente considerata una malattia e secondo il quasi 10% potrebbe addirittura essere indotta dall’uso di internet. Il 72% dichiara che rifiuterebbe di interagire con un omosessuale o anche solo utilizzare una stoviglia usata da un gay (86%). il 93,8% ha affermato di non voler vedere coppie omosessuali che si tengono per mano in pubblico, il 97,5% ritiene sgradevoli eventuali baci. Risale a febbraio scorso il brutale omicidio di una donna trans in un appartamento della capitale. A maggio il popolare cantante britannico Elton John è stato soggetto ad insulti omofobici e bersagliato con uova suscitando condanna e sdegno nei social network di mezzo mondo. Ad agosto un gruppo di nove attivisti LGBT è stato pesantemente aggredito da un nutrito gruppo di abitanti in un villaggio in provincia mentre non si contano le intimidazioni e gli attacchi incendiari verso club, associazioni e ritrovi per omosessuali in tutto il Paese.
L’Armenia, di fronte alle pressioni dell’Europa, ha abolito solamente nel 2003 il crimine di omosessualità superando la legge sovietica che criminalizzava i rapporti tra uomini, condannando i recidivi ai lavori forzati; nel 2017 ha permesso la regolarizzazione dei matrimoni tra esponenti dello stesso sesso celebrati all’estero ma non è ancora possibile sposarsi o adottare per coppie omosessuali. Importanti passi sono stati compiuti mentre lentamente si radica un associazionismo LGBT canalizzato dagli sforzi degli attivisti europei di fronte all’apatia o all’ostilità dei governi in carica.
Piccoli passi certamente ma non ancora abbastanza per sdoganare un argomento che suscita profonda ostilità vista anche l’assenza di contatti tra la popolazione e la comunità omosessuali costretta a nascondersi o a dissimulare. Gravissima la situazione anche tra le forze armate dove ai candidati omosessuali, secondo un decreto del 2004 interno al ministero della difesa, viene proibito di svolgere il servizio di leva contrassegnandoli come “malati di mente” e indirizzandoli da uno psichiatra. In ultimo non si può non citare il terribile omicidio nel 2004 di Joshua Haglund, insegnante americano apertamente gay in un università di Yerevan accoltellato e ucciso per strada.
La propaganda russa e il ruolo dell’Europa
La realtà di piccola nazione in balia delle grandi potenze ha reso l’Armenia un facile bersaglio per la retorica e l’influenza ideologica russa. Nei confronti del rapporto bilaterale con Mosca esistono opinioni discordanti all’interno dell’opinione pubblica (da una parte necessario partner contro l’assertività del nemico azero ma anche pesante fardello di un passato immobile), ma efficacemente travalica oltre il Caucaso la retorica ostile verso il crescente ruolo degli omosessuali nelle società europee e la difesa della fede e dell’identità cristiana contro un attacco ai valori di un popolo unito patrocinato dalla leadership del Cremlino. Il soft power russo conservatore nutre proseliti all’interno dei settori nazionalisti o tra la fascia demografica più anziana in una nazione dove il ruolo dei giovani, tendenzialmente più occidentalizzati e aperti, è marginale e poco rappresentato in tutte le sfere politico sociali. Secondo questa visione l’Armenia religiosa, tradizionalista e autarchica si troverebbe in prima fila in una guerra ideologica contro i tentativi di sovversione dell’élite globalista impersonata dall’Europa, sostanzialmente avversa a una forte identità peculiarmente integrata ai fasti del passato come quella armena.
L’Unione Europea ha più volte chiesto in passato ai precedenti governi repubblicani di apportare modifiche legislative per migliorare normativamente la situazione della discriminata comunità ma senza particolari risultati. Grandi speranze sono rivolte verso la nuova legislatura, più emancipata dall’influenza russa, conscia delle potenzialità offerte da un allineamento con l’Europa e degli sforzi necessari per il progresso sociale ed economico del piccolo Paese. Una sfida profonda, trasversalmente culturale, che dovrà far breccia tra una mentalità conservatrice proiettando l’Armenia in un futuro più giusto e inclusivo.