Negli ultimi mesi si è parlato a lungo del meccanismo di riallineamento della politica internazionale, ovvero della capacità degli Stati di riconsiderare le proprie posizioni a seconda o del proprio interesse nazionale o dell’agenda politica del proprio governo oppure di entrambi tali elementi congiunti. Tanti, tantissimi eventi, incontri o più semplici contingenze degli ultimi mesi hanno messo in discussione l’assetto dell’ordine internazionale. Il quinquennio 2015-2020 è stato e sarà sicuramente molto complicato per tutti quegli analisti intenti a scovare, immaginare e progettare il chess-game della politica internazionale. L’ultimo fatto rilevante in questo senso è stata la vendita del sistema di difesa S-400 della Russia alla Turchia.
Partiamo dagli Stati Uniti di Donald Trump. Ad oggi, Washington ha seguito la linea di politica estera America First di cui si sente parlare fin dalla campagna elettorale trumpiana del 2016. L’America ha intrapreso molteplici iniziative “restrittive” nei confronti dei suoi avversari, la più recente delle quali è la guerra dei dazi tra Washington e Pechino. L’incrinarsi dei rapporti con la Cina è stata la prima conseguenza di tali azioni. Invece, con la Russia di Vladimir Putin, l’America ha inizialmente condotto una serie di dialoghi costruttivi, basati prevalentemente sugli obiettivi comuni ai due leaders. Comunque costruiti su due nozioni molto diverse, quasi opposte, delle rispettive “proiezioni” dell’immagine dello Stato in politica estera, ovvero le modalità con cui il Capo di Stato concepisce il proprio Stato in politica estera.
Con questa chiave di lettura si può estrapolare un dato essenziale: sebbene in un primo momento le iniziative di dialogo tra Russia e Stati Uniti abbiano lasciato immaginare un riallineamento delle relazioni tra Mosca e Washington verso un percorso di cooperazione, le rispettive politiche estere dei due big players hanno indotto gli analisti a riconsiderare, al contrario, i due Stati come in antinomia. Tale contrasto si è accentuato in seguito ai fatti più recenti che hanno caratterizzato l’industria bellica russa.
Nell’ultimo quinquennio, Mosca ha sviluppato il programma di difesa contraerea S-400, un sistema di difesa all’avanguardia che unisce progresso tecnologico e precisione chirurgica nel lancio dei missili. Si tratta di un sistema contraereo con un raggio d’azione di circa 250 km: piuttosto pericoloso, considerato che la Russia confina a nord-ovest con Finlandia, Estonia e Lettonia (e tramite l’exclave di Kaliningrad con la Lituania e la Polonia) – tutti Stati membri della NATO.
Dopo aver sviluppato il sistema S-400, il Cremlino lo ha venduto a tre diversi Paesi: nel 2014 Mosca ha siglato la vendita del sistema alla Cina, nel 2017 l’S-400 è stato il turno dell’Arabia Saudita e nel 2019, appena pochi giorni fa, l’S-400 è stato acquisito dalla Turchia, membro chiave della NATO. Il problema dell’S400 riguarda quindi soltanto la vendita del sistema ad Ankara.
Quest’ultima iniziativa ha difatti generato nuove tensioni tra il Cremlino e la Casa Bianca. La Turchia è attualmente la quarta forza militare della NATO[1], nonché una delle maggiori potenze militari al mondo, diplomaticamente vicina agli Stati Uniti. Segue un’ulteriore considerazione: dal punto di vista dello sviluppo dell’industria militare turca, la firma dell’accordo sull’S-400 con la Russia potrebbe sembrare un progresso tecnologico in questo settore. Tuttavia, se si pensa all’Alleanza Atlantica e alla sua opposizione all’espansionismo della Russia, questo accordo pare alquanto controverso.
Diventa legittimo chiedersi se dietro ad esso vi sia un riallineamento della Turchia con la Russia, come suggerirebbe la vicinanza geografica dei due Paesi (anche se non condividono confini territoriali, essendo separati dal Mar Nero, dove è situata la flotta russa).
La geopolitica induce a considerare questo accordo come un pretesto della Turchia per rivolgersi al gigante euroasiatico in chiave di cooperante, piuttosto che di concorrente. Con una prima chiave di lettura si potrebbe considerare la mossa di Ankara soggetta al meccanismo di riallineamento della politica internazionale. In quest’ottica, la Turchia avrebbe acquisito l’S-400 principalmente in vista dell’obiettivo di un consolidamento delle sue forze armate. Ulteriore prova di quest’ipotesi sarebbe la trattativa tra Ankara e Washington avente per oggetto l’acquisto degli aerei da guerra F-35, che Washington non consegnerà ad Ankara per rivalsa. In questo senso, la mossa di Erdoğan rappresenterebbe l’inizio di una nuova strategia militare, dovuta alla vicinanza geografica di Turchia e Russia, per la quale Ankara entrerebbe nel cerchio di relazioni diplomatiche del Cremlino, ignorando le conseguenze di quest’iniziativa per le relazioni bilaterali con Washington.
La mossa di Ankara di acquisire l’S-400 potrebbe essere altrimenti interpretata secondo l’agenda politica del presidente Erdoğan, rieletto di recente dal popolo turco. In quest’ipotesi, Ankara ambirebbe al riallineamento della Turchia nel sistema internazionale in funzione della propria politica estera. La Turchia, infatti, vorrebbe accaparrarsi un posto di mediatore al tavolo “dei grandi”, conducendo azioni diplomatiche di riavvicinamento verso il continente asiatico, di cui il territorio turco è sia porta d’ingresso sia parte integrante. L’acquisizione dell’S-400 rappresenterebbe una parte di un piano più esteso di riallineamento tramite accordi commerciali con i Paesi asiatici.
In sintesi, l’acquisizione dell’S-400 da parte della Turchia può essere interpretata secondo due ottiche: o come una strategia militare di modernizzazione dell’arsenale di Ankara, oppure come un’iniziativa di politica estera volta al riallineamento della Turchia verso il continente asiatico. Quest’ultima pare l’ipotesi più attendibile, sebbene solo gli ulteriori sviluppi delle prossime settimane ne potranno dimostrare la veridicità.
Manfredi Morello
[1]Secondo l’indice di forza militare del sito “Global Firepower”