La settimana scorsa, nella città di Vladivostok, capitale della regione dell’Estremo Oriente Russo, si è tenuto un importante incontro bilaterale tra il presidente della Federazione Vladimir Putin e il leader della Corea del Nord, Kim Jong-Un. Nella cornice scenografica dell’isola Russky, i due capi di Stato si sono intrattenuti in una cornice di cordialità tra strette di mano, foto e scambi di doni. Kim Jong-Un ha raggiunto il luogo a bordo del treno blindato (trasmessa di padre in figlio una certa avversione per il volo) con il consueto seguito di diplomatici, guardie del corpo e servitori. Quella del leader coreano, abbastanza restio alle visite internazionali al di fuori dell’eremitico Paese asiatico, è la prima visita di Stato in terra russa (l’ultima con protagonista il padre e predecessore Kim Jong-Il, risale al 2011) e segue il roboante fallimento del vertice di Hanoi, tenutosi in terra neutrale tra il gerarca coreano e il presidente americano Donald Trump.
Kim si reca in Russia cercando la sponda Putin, consapevole del rinnovato protagonismo di Mosca nella scena internazionale e intenzionato a rilanciare l’immagine personale e quella del suo Paese, certamente affascinato da una “selfie diplomacy” quanto mai attuale. Tanti i dossier sul tavolo tra le due nazioni, che oltre che un confine comune molto ristretto (un lembo di terra di 11 km) condividono una passato di solida alleanza nel blocco sovietico. Certamente appaiono lontani i tempi in cui Stalin contribuì alla consacrazione della dinastia Kim, plasmando così la Corea del Nord come strategico satellite dell’enorme influenza globale sovietica o, diametralmente, la freddezza diplomatica agli albori della neonata Federazione Russa, ma quali sono stati i motivi della visita di Kim in Russia?
Economia e investimenti
La questione dei lavoratori nordcoreani in Russia
Le dichiarazioni ufficiali rilasciate dai due leader hanno ignorato un tema di fondamentale importanza nei rapporti bilaterali transfrontalieri: la sorte di decine di migliaia di lavoratori coreani presenti in Russia. Dalle metropoli della Russia europea fino all’Estremo Oriente siberiano, vivrebbero nella Federazione dai 15.000 ai 40.000 nordcoreani. Molto difficile stabilirne un numero preciso, in quanto elemento controverso nella questione del diritto internazionale. Secondo la Risoluzione 2397 del Consiglio di sicurezza ONU, emanazione del nuovo ciclo di sanzioni del 2017 verso Pyongyang, gli Stati membri dovranno espatriare tutti i lavoratori nordcoreani entro 24 mesi dall’approvazione, ma né la Russia né la Corea intendono rinunciare alla presenza di questo importante asset. Se da una parte la Federazione necessita del lavoro, del contributo (spesso discreto) di questa manodopera negli ambiziosi piani infrastrutturali nell’Oriente Artico, la Corea guadagna preziosi capitali dalle rimesse degli emigrati sostenendo gli apparati repressivi e l’ossatura del regime. La comunità internazionale, inchieste e attivisti, hanno più volte denunciato il precario status e lo sfruttamento di questa manodopera quasi servile, mentre si sollevano dubbi sulle reciproche volontà di porre fine a questa prassi. Se da un lato autorevoli fonti segnalano l’effettivo e graduale rimpatrio, altre evidenziano la presenza di cavilli (falsi scambi universitari ad esempio) per proseguire questo traffico di esseri umani.
Un Putin equilibrista tra la volontà di servirsi di necessaria manodopera e l’attenzione verso il pericolo di incorrere in ulteriori sanzioni internazionali.
La Russia nel processo di denuclearizzazione nordcoreana
Il summit Putin-Kim ha evidenziato che la Russia potrebbe svolgere un ruolo stabilizzatore e contribuire a promuovere la distensione nella penisola coreana. Mosca, nonostante gli allarmi strumentali della Nato, persegue le necessità della non proliferazione ed è ovviamente interessata alla denuclearizzazione della penisola coreana, che si manifesta con i restanti contatti diplomatici tra Russia, Cina, Stati Uniti e comunità internazionale su questo tema. La Russia, con la sua esperienza come potenza nucleare consolidata e con tecnologie avanzate, potrebbe contribuire a formulare un approccio graduale realistico più simile alla riduzione degli armamenti e alla verifica della sua attuazione. Putin e Kim al tavolo di Vladivostok mandano un messaggio chiaro di multipolarità contro il protagonismo degli Stati Uniti; impossibile sottovalutare il ruolo della Russia in ogni crisi euroasiatica. Il presidente Putin, ai giornalisti riuniti in conferenza stampa, ha mostrato comprensione verso la volontà della Corea di dotarsi di un deterrente nucleare contro la minaccia di rovesciamento o di colpo di Stato eterodiretto sponsorizzando, come altrove nel mondo, lo status quo al potere, insistendo sul tenere aperta la finestra del dialogo evitando l’insorgere di un conflitto armato, pericoloso precedente.
In un frangente in cui il dialogo appare paralizzato a scapito delle teatrali e mediatiche promesse e dichiarazioni del presidente Trump il leader nordcoreano cerca di far avanzare le trattative da un indiscusso punto di forza. La rivelazione dell’esistenza di nuovi e sofisticati siti di lancio e costruzione di componenti bellici, la ripresa recente dei test missilistici e soprattutto il raggiungimento di un livello avanzato nella costruzione di un ordigno nucleare transcontinentale permettono un discreto margine di disinvoltura a Pyongyang, che dovrebbe costringere il tycoon newyorkese, estraneo alle finezze e alla mediazione diplomatica, a maggiori concessioni. Uno stallo pericoloso (senza dimenticare l’ambivalenza cinese) in cui si inserisce pragmaticamente Mosca, conscia della subalternità, ma per nulla intenzionata ad abdicare al ruolo di semplice spettatore nel suo Estremo Oriente.