Nel giro di un anno l’Armenia è entrata nella top ten globale degli Stati per il rapporto spesa militare/Pil e, secondo il Gallup Global Emotions Report del 2019, è in pole position come nazione più arrabbiata del mondo. L’Armenia è indiscutibilmente lo Stato più dinamico e irrequieto della polveriera Caucasica e questo articolo ha lo scopo di analizzare gli sviluppi interni ed esterni che stanno perturbando lo stato montuoso del Caucaso da un anno a questa parte. Già in passato l’Osservatorio si è occupato di analizzare le sfide del nuovo governo di Pashinyan all’alba del dopo voto. Come si è evoluta nel mentre la situazione?
È passato ormai un anno da quell’otto maggio del 2018, in cui la Rivoluzione di Velluto nel piccolo Stato montuoso del Caucaso portava al potere il leader Pashinyan e poneva un termine al governo di Sargsyan.Dopo 27 anni di vane promesse elettorali ed elezioni truccate, l’opposizione politica si era finalmente riunita intorno ad un leader forte e carismatico, capace di catalizzare le masse della popolazione desiderose di riforme strutturali nel Paese. Il problema di un’opposizione debole è sempre stato il freno inibitore di un vero cambiamento. Il parlamento era saturo di quell’intellighenzia che aveva promesso riforme e che era stata ingoiata poi dal sistema corrotto, causando la stagnazione politica ed economica della nazione.
Le rivolte dello scorso aprile hanno segnato un enorme spartiacque nella storia della piccola nazione e, passato il primo entusiasmo, la classe politica al potere si trova ad affrontare una sfida ancora più grande: essere all’altezza delle promesse e delle aspettative della popolazione.
Lo scoglio della corruzione
Il caso di Gagik Tsarukyan potrebbe essere una mossa di Pashinyan per far scongiurare il pericolo di un’insoddisfazione crescente nella popolazione. Il leader del partito di Armenia Prospera, la seconda forza parlamentare, non è mai stato visto con favore dalle masse, dal momento che è anche uno dei più potenti businessman, la figura emblematica della corruzione, una delle maggiori battaglie del nuovo Presidente da quando è salito al potere. Nonostante ciò, nell’ultimo anno Pashinyan ha voluto mantenere una sorta di legame con la potente figura, per altro a capo di una delle più grandi industrie di cemento operanti nel Paese. Gli Armeni hanno visto tale indulgenza come un passo indietro verso le riforme promesse.
Il profilo di Tsarukyan è tutt’altro che nitido. La losca relazione d’affari con uno sceicco del Kuwait, Ahmad Al – Fahad Al – Sabah, il quale è già stato indagato per frode e falsificazione, non ha fatto che alimentare i sospetti attorno alla figura controversa del leader. A lungo Pashinyan ha cercato di garantire il suo appoggio a Tsarukyan, soprattutto per disincentivare la fuga di capitali all’estero in un momento estremamente critico per l’economia dell’Armenia, in lentissima ripresa. Inoltre, nel 2018, Tsarukyan ha supportato le proteste che hanno portato all’ascesa di Pashinyan, aggiudicandosi un posto al sole prima nel gabinetto del neo eletto premier e poi nel Azgayin Zhoghov, il parlamento armeno, come capogruppo del suo partito. In ogni caso gli attriti sono sorti fin da subito, in quanto c’erano sospetti di un atteggiamento doppiogiochista di Tsarukyan per il suo continuato supporto al partito Repubblicano di Sargsyan.
Dunque un allontanamento dall’imprenditore si prefigurava da mesi. Al momento Tsarukyan rischia addirittura di essere costretto alle dimissioni in seguito ad un’indagine contro lo stesso, in quanto viola i termini della costituzione per favorire la sua attività imprenditoriale. La sua impresa di cemento difficilmente riesce a competere con la materia prima importata dall’Iran e il businessman avrebbe proposto di aumentare notevolmente i dazi sulle merci importate in Armenia. Avrebbe inoltre criticato Pashinyan per le scarse riforme economiche, incapaci di attirare investimenti esteri e aumentare gli standard di vita della popolazione.
Per quanto le aspre critiche di Tsarukyan siano spinte da una logica imprenditoriale in difesa dei propri interessi, gli indicatori economici sembrano dargli ragione.
Secondo le statistiche pubblicate dal Fondo Monetario Internazionale, la crescita reale del Pil è rallentata di tre punti rispetto al 2018 e l’inflazione è peggiorata, salendo da 0.9 a 2.1. Diverse persone intervistate per Eurasianet hanno dichiarato di non essere soddisfatte delle riforme di Pashinyan, ma che comunque non hanno alternative e che sperano che le cose possano migliorare in futuro. Le persone sono insoddisfatte del lento procedere delle riforme per debellare la corruzione. Un ragazzo di Yerevan confessa che gran parte di note figure corrotte che si aspettava di vedere in carcere continuano indisturbate i loro affari e che il team messo dal primo ministro sta procedendo a passi molto lenti per la scarsa esperienza. Arevik Anapiosyan, vice – ministro all’educazione, lamenta una burocrazia dai ritmi eccessivamente rilassati, nonostante il governo stia lavorando per lo stanziamento di fondi in modo da migliorare il sistema educativo sul modello di quello Americano, che unisce studio e ricerca già dalle scuole superiori. Nonostante ciò, c’è un numero troppo elevato di insegnanti per i posti realmente necessari nel Paese, ma allo stesso tempo non c’è un piano B per quelli che perderebbero il lavoro se le nuove riforme venissero attuate.
Le relazioni con la Turchia e il dilemma sul Nagorno
Ara Khazaryan, tra gli intervistati per Eurasianet, fa il costruttore e cerca di arrotondare le sue entrate lavorando come tassista, una soluzione molto popolare tra i Paesi del Caucaso. Lui si è mostrato particolarmente preoccupato per la situazione internazionale dell’Armenia, stretta tra due Paesi con cui sono in corso forti ostilità. I rapporti con la Turchia rimangono congelati per il mancato riconoscimento del genocidio armeno. Pertanto, il confine con la Turchia rimane chiuso dal 1993. Dall’altra il dialogo con l’Azerbaijan rispetto ad una risoluzione sullo status del Nagorno rimane stagnante. Allo stesso modo, Ara sembra condividere con gli altri la disillusione rispetto ad un cambiamento repentino, più che altro perché la figura di Pashinyan è impotente rispetto a certe dinamiche.
Infatti, sia Armenia che Azerbaijan, sebbene abbiano inaugurato una nuova era di negoziati insieme ai rappresentanti del Gruppo di Minsk, stanno consolidando le rispettive forze militari. Come attesta il più recente report di SIPRI sulle spese militari, tutti e tre gli Stati del Caucaso hanno aumentato gli investimenti nella difesa rispetto al 2017. L’Armenia è passata dai 444 milioni nel 2017 a 609 milioni nel 2018, entrando nella top ten mondiale per rapporto spese militari/Pil, in quanto il settore militare assorbe ben il 4.8% del Pil. L’Azerbaijan è passato da 1.6 miliardi a 1.7.
Il dato indica che entrambe le regioni vedono un’escalation della tensione alquanto possibile. Le relazioni a livello diplomatico sono piuttosto tese. Il Ministro della Difesa armeno David Tonoyan porta avanti una linea dura per quanto riguarda lo status del Nagorno e rifiuta totalmente l’approccio “la terra in cambio della pace” patrocinato dal vicino azero, il quale pone la concessione delle terre da parte degli armeni come conditio sine qua non per scongiurare un confronto militare.
Dal canto suo l’Armenia ha abbandonato una difesa da trincea a favore di una “deterrenza attiva”. Lo stesso Ministrodella Difesa ha inaugurato la nuova dottrina in sostituzione dell’obsoleta deterrenza, basata semplicemente sul disincentivare il nemico ad attaccare. La nuova dottrina implica un aumento delle spese militari ma anche un coinvolgimento diretto in altre aree di conflitto in supporto di tradizionali alleati, quali Mosca, essenziale negli equilibri del Caucaso. Basti pensare alla decisione di Yerevan di inviare supporto militare alle truppe russe in Siria.
Le bias delle rispettive popolazioni segnano ancora un fronte di battaglia inflessibile e se non si riesce a trovare un compromesso è probabile che l’Azerbaijan rianimi un conflitto per riprendere i territori.
Il distretto di Kelbajar dell’Azerbaijan, adiacente al Karabakh, è stato occupato dalle forze armene nel 1993 per utilizzarlo come zona cuscinetto contro gli attacchi azeri. Da allora gli Armeni hanno finanziato la costruzione di infrastrutture e insediamenti per assicurarsi il pieno controllo dei territori. Tra la gente del posto è impossibile accennare ad una restituzione anche del solo distretto al governo azero a meno che non si voglia incorrere in discredito sociale o anche violenza.
Anche il discusso scambio dei detenuti tra Azerbaijan e Armenia ha suscitato ulteriori attriti. Al momento ci sono tre armeni trattenuti in Azerbaijan e un azero in Armenia. Il rilascio di uno dei tre azeri comporterebbe un nodo diplomatico difficile da sciogliere per gli armeni, in quanto è stato incriminato di omicidio di un ragazzo minorenne della regione appena citata di Kelbajar. Le autorità armene hanno paura che il rilascio possa costituire un precedente, come è già successo dopo il rilascio di Ramil Safarov, che nel 2004 aveva ucciso un armeno durante un evento NATO a Budapest e che era stato accolto come un eroe nazionale in Azerbaijan dopo che le autorità ungare l’avevano rilasciato. Come si può comprendere, il fatto ha rappresentato una devastazione morale per il popolo armeno, e il governo si trova ad affrontare un complicato dilemma di natura etica, che costerebbe davvero caro il consenso di Pashinyan.
Prospettive future
La Russia è un partner interessato all’Armenia ma che allo stesso tempo non vuole inimicarsi l’Azerbaijan e porta avanti una politica manifestamente ambivalente nella regione. L’Armenia di Pashinyan dovrà cercare nuove cooperazioni al livello internazionale, ma allo stesso tempo senza rinunciare all’appoggio della Russia che per una serie di ragioni si dimostra comunque un partner fidato, dal momento in cui non assicurerà mai all’Azerbaijan un sostegno totale.
L’Iran è sempre stato un alleato della più piccola delle nazioni caucasiche, nel tentativo di nuocere alla stabilità di uno Stato, l’Azerbaijan, su cui vorrebbe esercitare più influenza e di cui teme la progressiva emancipazione energetica e la rivalità nelle acque del Mar Caspio. Teheran recentemente ha mostrato una nuova assertività nei rapporti col Caucaso, con il lancio della proposta di costruire un gasdotto che colleghi Iran, Armenia e Georgia. In pratica, uno scacco sia all’Azerbaijan che alla Russia, ma non tale da compromettere i rapporti diplomatici dell’Armenia con quest’ultima, ma che potrebbe dare a Yerevan un maggior potere negoziale.
La Cina è un altro partner a cui Pashinyan ha guardato recentemente. Il 14 maggio Pashinyan era in visita a Pechino, occasione in cui ha sottolineato la volontà di rilanciare le relazioni Armenia – Cina, soprattutto per quanto riguarda le iniziative economiche ed in particolare i finanziamenti alle infrastrutture, tra cui la proposta di ricostruire la strada che collega la Georgia all’Iran, come suggerito da Xi Jinping.
L’Armenia dovrebbe aprire le porte a diversi partner internazionali per diminuire il monopolio militare ed energetico di Mosca ma allo stesso tempo mantenere un equilibrio tra nuovi alleati e storici.
In ultimo, ma forse più importante ancora, rimane la soluzione rispetto al Nagorno – Karabakh, in cui un passo indietro su alcune posizioni molto rigide può assicurare la stabilità ed un qualche riconoscimento sullo stato del Nagorno, come la partecipazione di Stepanakert ai negoziati e l’apertura di un corridoio con Yerevan. La posta in gioco deve essere alta, ovvero deve essere garantito un meccanismo che assicuri il rispetto della pace reciproca e in questo le alleanze internazionali si dimostrano essenziali.
La politica estera è importante per l’Armenia, in quanto territorio soffocato tra due Stati con cui condivide una lunga storia di conflitti. Allo stesso modo, Pashinyan non deve lasciare che la politica estera diventi il focus principale delle sue politiche. Una ristrutturazione dell’economia, ancora molto fragile, a partire da uno sradicamento radicale della corruzione, sono quello che chiede la popolazione armena, fiduciosa ed orgogliosa del primo leader dopo la Rivoluzione di Velluto, ma allo stesso tempo ancora immensamente arrabbiata.