Il recente incidente mortale in un sottomarino nucleare russo, oltre alle consuete speculazioni sull’impiego delle forze armate russe in azioni militari al limite dello specchio di mare di competenza della Federazione, ha sollevato i consueti dubbi sull’effettiva capacità di proiezione e sullo status delle forze armate (in particolare della marina) del Paese. A scapito di una retorica roboante, di dichiarazioni assertive e di uno schieramento di forza impressionante, persistono delle criticità all’interno delle forze armate, che sollevano dubbi sull’effettiva possibilità della Russia di fronteggiare gli opponenti nel contesto internazionale o persino sulla razionalità dei poderosi investimenti nella Difesa. Per quanto l’Esercito e l’Aeronautica di Mosca abbiano avuto modo di farsi notare nei recenti impieghi bellici in Ucraina e Siria, nei piani futuri di deterrenza e proiezione russa la Flotta resta al primo posto per priorità, stanziamenti e prestigio in un paese lambito da ben 37 653 km di coste. In uno scacchiere geopolitico in cui il controllo talassocratico dei mari appare prioritario per assicurare un posto al tavolo delle grandi potenze, la Russia appare aver superato i dirigismi e gli arcaismi tipicamente sovietici con un assetto militare maggiormente dinamico e resiliente. La Russia ha un legame ambivalente con la geografia che gli consente l’accesso strategico lungo tutte le linee di faglia euroasiatiche, la possibilità di sfruttare ingenti riserve di idrocarburi, ma la costringe a una naturale sovraesposizione di fronte ai tentativi di contenimento avversario.
La spina dorsale dell’impegno bellico e strategico russo negli ultimi anni si è concentrata principalmente nell’Artico: forte di 6000 km di coste nel Mar Glaciale Artico e dal progressivo sciogliersi dei ghiacci per via dell’avanzare dei processi di cambiamento climatico, si sono aperte delle possibilità (ed ovvie criticità) in grado di confermare la postura geopolitica messa in atto dal Cremlino negli ultimi anni di impegno globale. Al pari del “Mare Nostrum” di romana imperiale memoria, la Russia sta procedendo incessantemente per blindare il controllo sul Nord gelido del globo. Non solo necessità strategiche, in quanto si stima che vi sia il 40% delle riserve combustibili fossili del mondo nell’area dell’Artico; inoltre, dato da non sottovalutare, la presenza di enorme deposito di proteine, sotto forma di banchi di pesce, ancora da sfruttare. Se questo principio fosse confermato, la Russia non si limiterebbe allo sfruttamento economico esclusivo entro le proprie 200 miglia nautiche, come prevede il diritto del mare, ma si assicurerebbe dal punto di vista geopolitico l’80% delle riserve fossili artiche, inglobando un’area di 1,2 milioni di km quadrati in più. Da Murmansk (la metropoli più al nord del mondo) fino alla remotissima e spopolata Kamchatka v’è stato un fiorire di postazioni militari, basi scientifiche, istituti meteorologici, hangar e porti modernissimi in un mix dinamico di forza militare e competenze scientifiche. A vegliare sul “Passaggio a Nord – Est” la Flotta del Nord, la punta di diamante della Marina della Federazione.
La Voenno-Morskoj Flot (Flotta Militare-Marittima) è l’erede della flotta zarista e di quella sovietica ed è reduce da un periodo di riforme ambiziose, che hanno in parte archiviato il ridimensionamento e la decadenza degli ultimi periodi sovietici e il disastro liberista dei primi anni dell’esperienza post sovietica. Il compito affidato alla Marina è quello di salvaguardare la sicurezza dei porti, accessi marini e garantire la proiezione offensiva e difensiva della Federazione. Il quartier generale della Marina russa si trova nel palazzo dell’Ammiragliato a San Pietroburgo, esercitando una linea di continuità simbolica con i fasti dell’epoca zarista, ma la flotta risulta divisa in ulteriori quattro sezioni ed una flottiglia ed ha in carico di 280 unità, tra navi e sottomarini (escluse le unità d’appoggio). Come facilmente immaginabile data l’enorme estensione territoriale della nazione, ogni flotta garantisce la sicurezza di un determinato affaccio marittimo ed esiste una sproporzione nella distribuzione dei navigli, in base alle priorità dell’agenda di politica estera o securitaria del Cremlino. Flotta del Nord, del Pacifico, del Baltico, del Mar Nero e flottiglia del Caspio (quest’ultima di dimensioni minori, ma dalla forte importanza simbolica) rappresentano ulteriori attori all’interno della mutevole realtà delle forze armate russe, in continua lotta per stanziamenti di budget e prestigio. Dato il recente “Artic Pivot“, la nuova “Dottrina Navale della Federazione Russa” risalente al 2010, le possibilità russe nello sfruttamento del fronte Artico il prestigio della componente Artica è recentemente aumentato sensibilmente.
Dall’agosto del 2007, anno in cui simbolicamente la Russia rivendicò il possesso dell’Artico piazzando la bandiera tricolore nel fondale marino del Polo Nord, il Paese ha portato avanti piani di consolidamento del cortile di casa artico e ad oggi domina incontrastata nell’area. Per quanto possa contare su installazioni lungo tutta la faglia artica, il quartier generale della Flotta del Nord resta saldamente a Severomorsk (a brevissima distanza da Murmansk) e la maggior parte delle sue basi è sita nella Penisola di Kola. In totale, la flotta ha a disposizione circa 240 navi; dai leggeri incrociatori o corvette di classe Nanuchka ai temibili (e modernissimi) sottomarini nucleari classe Yasen, Typhoon e Akula oltre a navi da appoggio.
La 46ª Divisione navi Lanciamissili comprende l’unica portaerei russa operativa, l’Admiral Kuznetsov, l’incrociatore lanciamissili atomico classe Kirov, Pyotr Velikiy, l’incrociatore convenzionale Maršal Ustinov, oltre ai cacciatorpediniere della classe Sovremennyj. Undici rompighiaccio a propulsione nucleare garantiscono che il tragitto nel nord sia sempre percorribile sia per le navi battenti bandiera militare russa che per i mercantili di ogni nazionalità, che in un numero sempre maggiore intraprendono la rotta del Nord, che permette di tagliare della metà il tragitto di percorrenza dall’Asia all’Europa riducendo ovviamente i costi. In aggiunta ai natanti è presente un’aviazione navale di supporto, composta da un centinaio di velivoli e truppe di terra addestrate in operazione a determinate temperature. Accantonata al momento, per via degli altri costi e dello status incerto dell’unica portaerei Kuznetsov, la costruzione di una superportaerei in grado di rivaleggiare con i natanti NATO o gli ambiziosi piani di implementazione e aggiornamento dei cacciatorpediniere della classe Lider. Oltre al comando amministrativo della Flotta del Nord a Severomorsk ha sede il 7º Squadrone Operativo Atlantico, con tutti i relativi comandi subordinati e si tratta della principale base navale russa per unità di superficie. La baia di Nerpichya e quella di Ura ospitano altrettante installazioni navali mentre, procedendo lungo la costa e al di fuori della militarizzata penisola di Kola, la città chiusa (soggetta a restrizione particolari per motivi di sicurezza) di Severodvinsk, a meno di 30 km da Arcangelo, presenta alcuni importanti cantieri navali (Zvezdochka e ZevMash) specializzati nella costruzione di vascelli militari e, in particolar modo, di sottomarini.
Altri centri nevralgici sono siti nelle isole della Novaya Zemlja, Kotelny e Zemlja Aleksandry, dove è stato costruito il nuovo complesso chiamato “Trifoglio Artico“, in grado di accogliere 150 uomini in modo permanente e con una nuovissima pista di atterraggio già divenuta operativa, che vedrà anche arrivare il sistema S-300 a integrazione del già presente sistema a corto raggio Pantsir-S1. Sull’isola di Kotelny invece è sito il complesso “Severny Klever” in grado di ospitare 250 uomini e sede dalla Task Force Artica, anche questo dotato di pista di atterraggio e sistemi di difesa antiaerea come quelli presenti a Zemlja Aleksandry. Le due brigate artiche (forti di 9mila uomini) hanno in dotazione, oltre a vari mezzi cingolati tipo MT-LB/B, un totale di 71 carri tra T-72B3 e T-80, oltre a vari veicoli su ruota tipo BTR-80 e, ovviamente, agli eccellenti sistemi antiaerei tipo ZSU-23. Il recente emendamento del Ministero della Difesa russo, da completare e convertire in legge entro il dicembre del 2019, ha garantito l’indipendenza della Flotta artica dal distretto militare settentrionale, aumentando la sua importanza nella strategia navale globale della Russia e facilitando la modernizzazione, gli stanziamenti e lo sviluppo futuro. Questa riforma è emblematica della dinamicità presente negli apparati nel Nord Artico, del continuo dotarsi di mezzi all’avanguardia, di tecnologie radar e personale addestrato.
L’ampio schieramento di forza non è esente da punti deboli, in quanto la superficie di competenza territoriale resta fin troppo ampia per essere pattugliata efficacemente, persistono dubbi sullo status dell’economia russa e sulla tenuta degli investimenti, nonché sulla volontà della futura leadership del Cremlino di perseguire il continuum dell’impegno Artico. Ad oggi l’ostacolo più grande per la Federazione Russa resta, appunto, il grande squilibrio nella spesa militare tra le principali potenze (Stati Uniti, Cina, Europa) e Mosca oltre al sempre maggiore interesse che, seppur tardivamente, il mondo sta garantendo alle sorti dell’Artico. Le grandi possibilità economiche ed infrastrutturali stanno attirando investimenti esteri, ma anche l’intromissione della Cina che, seppur al momento in uno status di debole alleanza con la Russia, non ha mai nascosto di considerarsi una potenza Artica. Al principio dello scorso anno la Cina ha fatto esplicitamente riferimento alla centralità della nuova rotta in un documento ufficiale riguardante le politiche del Paese nella zona artica, in cui ribadisce la necessità che tutti i Paesi trovino un’intesa per la gestione della rotta. Pechino persegue la realizzazione di una “Via della Seta Polare” da agganciare agli ambiziosi piani della “Nuova Via della Seta” voluta per modellare il mondo a misura di Pechino. Gli Stati Uniti e l’Europa delle nazioni, allo stesso tempo, si sono finalmente svegliati da un decennio di sonno colpevole iniziando a pianificare uno sviluppo non esclusivamente russo del Polo. La retorica allarmistica lanciata dal senatore dell’Alaska Dan Sullivan sul processo di militarizzazione dell’Artico da parte della Russia ha messo Washington di fronte a bivio: lasciare gestire un possibile fronte “caldo” futuro alla Russia o colmare in fretta il gap. Spiegata in tal modo la costruzione di una prima nave rompighiaccio a stelle e strisce, il “build-up” militare nella vasta e sguarnita Alaska e la cooperazione con la NATO (G.B. e Norvegia in primis) suggellata con la recente esercitazione Trident Juncture.
Di fronte alle necessità strategiche, politiche ed economiche poco o nulla si è discusso sul futuro assetto ambientale dell’Artico, sulla gestione delle risorse ittiche e sull’impatto del cambiamento climatico nell’area. Dibattito congelato, o quasi, mentre l’importanza del fronte Artico cresce con l’aumentare della contrapposizione tra l’Occidente e una Russia in fase di traslazione.