Undici anni dopo la guerra del 2008, le due repubbliche autoproclamate gravitano sempre di più nell’orbita di Mosca, tra una crescente dipendenza economica dal Cremlino e nuove tensioni con Tbilisi.
A undici anni dal conflitto russo-georgiano del 2008, l’Abcasia e Ossezia del Sud gravitano sempre più nell’orbita russa. Lo testimoniano le prospettive di riapertura dell’aeroporto della capitale abcasa di Suchumi, tema di cui si è discusso durante l’incontro del 6 agosto tra Putin e il presidente Chadžimba. Su richiesta georgiana, dal 1993 l’Organizzazione internazionale per l’aviazione civile (ICAO) ha sospeso tutti i collegamenti aerei di Suchumi con l’estero. Un’intesa con Mosca potrebbe permettere una parziale riapertura, sebbene limitata al solo traffico aereo russo. La soluzione vagliata dal governo abcaso prevede l’inclusione dell’aeroporto nello spazio aereo della Federazione russa, attribuendone la competenza alle autorità della regione di Rostov sul Don. La delega di questa funzione, tipicamente sovrana, continua un processo iniziato nel 2009, quando l’Abcasia ha delegato parte del controllo dei suoi confini alla Russia.
Nonostante un autogoverno ormai più che ventennale, le piccole repubbliche di Abcasia e Ossezia del Sud continuano a essere “Stati de facto“, cioè entità col pieno controllo del proprio territorio, ma quasi del tutto prive di riconoscimento internazionale. Il 26 agosto 2008 è stata la Russia il primo membro delle Nazioni Unite a stabilire relazioni diplomatiche con Suchumi e Tskhinvali, capitale sud-osseta. Mosca è stata rapidamente seguita da Nicaragua, Venezuela e, in seguito, Nauru (2009). Intervenuta col proprio esercito contro quello mandato da Saakashvili nella capitale dell’Ossezia meridionale, Mosca non poteva più mantenere le sanzioni imposte negli anni Novanta ai due territori separatisti. Ribaltando la propria posizione, ne è diventata così il loro principale alleato (e protettore). La condizione di sostanziale isolamento internazionale è rimasta immutata per un decennio, fino al 29 maggio dello scorso anno, quando il presidente siriano Bashar al-Assad ha stabilito relazioni diplomatiche con i suoi due omologhi caucasici. La mossa di Damasco complica paradossalmente la ricerca di un più ampio riconoscimento da parte di Suchumi e Tskhinvali, facendole apparire ancora di più come “creature” russe.
Per quanto possano sembrare entità studiate nelle stanze dei bottoni di Mosca, Abcasia e Ossezia del Sud hanno cercato la via dell’indipendenza attraverso un sanguinoso conflitto con Tbilisi sin dagli inizi degli anni Novanta, contestualmente alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Temendo che questi territori potessero fungere da rifugio per terroristi e separatisti ceceni, il Cremlino fu particolarmente rigido nella chiusura delle proprie frontiere. Con la sua serrata, la Russia di El’cin bloccò l’unico sbocco che queste popolazioni potevano avere per migrazioni e scambi commerciali, visto l’embargo imposto dalla Georgia, unico altro territorio con esse confinante. Le élite abcase e sud-ossete hanno per anni guardato con grande speranza verso l’Occidente. Almeno per tutto il corso degli anni Novanta, quando l’embargo russo (e di tutti i paesi della CSI) era rigido e una possibilità per la loro stessa sopravvivenza come “Stati” poteva provenire da un riconoscimento europeo o americano secondo lo schema “democratizzazione in cambio di riconoscimento“.
Negli anni Novanta, nonostante l’assoluto isolamento internazionale, l’Ossezia del Sud – che non conta più di 55,000 abitanti e che non dispone di sbocchi sul mare – era riuscita a sopravvivere grazie alla solidarietà informale degli osseti settentrionali, che approvvigionavano i propri “fratelli”, dai quali erano stati separati dalla caduta dell’Unione Sovietica. Dotata, invece, di accesso al mar Nero, l‘Abcasia è sempre riuscita a tenere aperto un legame con la propria numerosa diaspora in Turchia, che conta circa 500,000 abcasi a fronte degli scarsi 250,000 residenti nello Stato non riconosciuto.
Con l’ascesa di Putin, ancor prima che scoppiasse il conflitto con la Georgia, Mosca aveva già alleggerito il giogo delle sanzioni, spesso chiudendo un occhio (e a volte entrambi) sulla loro mancata implementazione alla frontiera. Dopo il conflitto, Mosca ha iniziato ad appoggiare ufficialmente le due repubbliche, avviando una cooperazione internazionale fatta di regolari colloqui e visite di Stato, sia a livello presidenziale sia governativo.
Riconoscere l’indipendenza di Abcasia e Ossezia del Sud ha avuto profonde ripercussioni geopolitiche. Da quel momento, il Cremlino si è infatti affermato come un attore imprescindibile con cui Tbilisi dovrà necessariamente confrontarsi, se vorrà restaurare l’integrità territoriale che rivendica. Intervenendo vittoriosamente nel breve conflitto georgiano e instaurando relazioni diplomatiche con i nuovi territori “sotto protezione”, Medvedev e Putin hanno mandato in frantumi i piani dell’allora presidente Saakashvili, che voleva traghettare all’interno dell’Alleanza atlantica una Georgia unita manu militari. Facendo arretrare le truppe georgiane, i russi hanno dimostrato sul campo che ogni ulteriore avanzata della Nato verso est è percepito come un atto ostile. Poste a tutela dei confini terrestri, aerei e marittimi di Abcasia e Ossezia del Sud, le forze armate russe rappresentano un forte deterrente per qualsiasi ulteriore tentativo di risolvere la questione con la forza.
Il semplice fatto che le autorità abcase e sud-ossete debbano fare ricorso all’esercito russo per difendere i propri confini fornisce una rappresentazione plastica del loro stato di dipendenza da Mosca. Tale subalternità è confermata anche a livello economico e finanziario. Oltre a costituire il mercato principale per le esportazioni delle due piccole repubbliche non riconosciute, la Russia è anche un importante finanziatore diretto dei rispettivi bilanci statali. Relativamente all’Abcasia, gli aiuti russi corrispondono a circa il 50% delle entrate annuali. Ancora maggiore è la dipendenza di Tskhinvali, che per il 2018 ha contato su 6,5 miliardi di rubli in arrivo da Mosca, somma che avrebbe coperto quasi totalmente i 7,6 miliardi di spese previste nel bilancio (si tratta di cifre equivalenti a circa 90 milioni di €, su un totale pari a poco più di 100). Secondo dati del 2019, per la sola Abcasia in 9 anni sono stati investiti 30 miliardi di rubli (circa 450 milioni di euro).
Il controllo di Mosca sui territori separatisti si esercita anche attraverso una massiccia “passaportizzazione” della popolazione locale, iniziata prima del conflitto e mai rinnegata. Ad oggi non sono stati ancora accertati con precisione i dati relativi alla quota di abitanti abcasi e sud-osseti dotati di doppio passaporto. Secondo alcuni studi, già a metà degli anni Duemila i cittadini russi sarebbero stati rispettivamente l’80% e il 98% della popolazione locale. Questo fenomeno non coinvolge solo villaggi isolati, ma anche gli stessi vertici delle istituzioni. Il 18 marzo 2018, i presidenti di Abcasia e Ossezia del Sud si sono recati con entusiasmo alle urne per eleggere il presidente della Federazione Russa, gesto inconsueto per leader di Paesi che si ritengono sovrani.
La dipendenza da Mosca è tutto sommato accettata di buon grado dall’Ossezia del Sud, che non fa mistero del suo desiderio di unione con i “fratelli” settentrionali. L’Abcasia, invece, ha sempre mostrato un maggiore attaccamento alla propria indipendenza.
Tuttavia, come dimostrano le ipotesi relative al futuro dell’aeroporto di Suchumi, il processo di attrazione nella sfera d’influenza russa delle due repubbliche caucasiche assume caratteri difficilmente reversibili, perlomeno nel medio termine. Anzi, tale tendenza non potrà che portare a un peggioramento dei rapporti russo-georgiani, già incrinatisi in seguito al conflitto del 2008 e costantemente esposti a nuove tensioni (si veda il caso del parlamentare russo Gavrilov).
Undici anni dopo la guerra, le prospettive di ricongiungimento delle due repubbliche caucasiche con la Georgia sembrano remote, mentre si consolidano i rapporti economici e politici con la Russia, fino a sfociare in una dipendenza di fatto. Malgrado le ultime tensioni, la situazione è cristallizzata, garantita dall’arsenale russo, e difficilmente potrebbe concretizzarsi una nuova guerra del 2008 o uno scenario simile a quello della Crimea o del Donbass.
Moreno Stambazzi e Miriam Peluffo