La recente (e tuttora in corso) assertività religiosa e diplomatica dell’ortodossia russa; il risultato della convergenza (symphonia) tra il Cremlino e il patriarcato nell’incrementare le strategie di soft power del Cremlino in Europa e altrove, ha visto una rinnovata presenza della religione ortodossa nelle strategie di governance, negli spazi urbani e nell’opinione pubblica della Federazione oscurando spesso la realtà che vede nella Russia una nazione profondamente multiculturale che all’interno dei suoi confini ospita più di centinaio di gruppi etnici e religiosi. Certamente il cristianesimo di matrice ortodossa gode di una maggiore esposizione (sovraesposizione!) ma non bisogna dimenticare che la Russia ospita una nutrita comunità di fedeli musulmani. Oltre 20 milioni di persone, più del 10% dei cittadini russi, dando vita a una comunità variegata [1] per nazionalità, etnia, identità settaria e affiliazione religiosa. Ponendo uno sguardo su una cartina geografica della nazione si nota agevolmente quali zone rappresentano i nuclei della popolazioni autoctone musulmane: il Caucaso e il distretto federale del Volga, Cecenia, Inguscezia, Dagestan (la prima regione ad abbracciare il culto islamico nel settimo secolo), Circassia e Cabardino – Balcaria le repubbliche autonome a maggioranza musulmane arroccate tra i monti di un Caucaso russo dove non di rado cova il risentimento [2] e il separatismo religioso nei confronti delle autorità centrali moscovite. Tatarstan e la Baschiria, nazioni titolari degli omonimi gruppi etnici soggiogati dall’espansionismo zarista tra il 1500 e il 1700, compongono parzialmente il ritratto di una realtà incerta e in fase di rinnovamento.
La religione musulmana, i popoli euroasiatici che l’hanno abbracciata e le entità statali e parastatali che hanno formato, sono stati per secoli allo stesso tempo nemesi e partner per i principati russi prima e per lo zarismo poi. Dalle guerre incessanti con i khanati tatari, allo spietato soggiogamento di questi da parte di Ivan il Terribile, passando per il riconoscimento e integrazione della zarina Caterina la Grande (1762-1796) fino alla cinquantennale campagna caucasica che nell’Ottocento sottometterà (invero non del tutto) questa regione all’impero russo. L’evoluzione dell’Islam in Russia è proseguita persino nei decenni di persecuzione antireligiosa, ateismo di stato e brutale ingegneria sociale portato avanti dai sovietici. Questi, impegnati in una battaglia[3] diretta contro il radicamento religioso della religione nella società russa perseguitarono fedeli, imprigionarono imam, demolirono moschee (tra cui splendidi esempi dell’architettura mongolo tatara) deportando intere popolazioni accusate di connivenza con i nazisti nel corso del secondo conflitto mondiale. La dissoluzione dell’Unione Sovietica, la creazione dello stato nazione russo, l’ascesa di nuove realtà di potere rappresentò un periodo di transizione e poi rinnovamento che continua fino ad oggi e facendo della religione musulmana la realtà confessionale più in crescita demografica nel variegato panorama della federazione.
[1] Islam in Russia – Alexei V. Malashenko and Aziza Nuritova
[2] Violence and Conflict in the Russian North Caucasus – Domitilla Sagramoso
[3] Soviet and Muslim. The Institutionalization of Islam in Central Asia, 1943-1991 – Eren Tasar
Oggi i musulmani, oltre che all’interno delle già menzionate repubbliche e distretti, sono numerosi e in crescita nelle grandi città metropolitane russe. Mosca e San Pietroburgo con 1 milione (ma solo 4 affollatissime moschee) e più di 300.000 musulmani ciascuno, il distretto di Orenburg, l’oblast di Astrachan’, la recentemente annessa Crimea che ospita la minoranza tatara assieme a un numero crescente[4] di musulmani nelle città artiche (Murmansk, Novij-Urengoj, Salekhard, Norilsk, Magadan) protagoniste del boom petrolifero in atto nel forziere energetico siberiano. Quest’impetuosa crescita demografica è spinta non solo dai più alti tassi di fertilità delle popolazioni musulmane (tendenzialmente più alti dei compatrioti russi etnici) ma anche da flussi migratori costanti che portano milioni di cittadini delle repubbliche centroasiatiche a emigrare seguendo dinamiche allo stesso tempo stagionali e stanziali. Affianco alle nazionalità autoctone, diversi milioni di uzbeki, kirghisi, tagiki vivono nelle metropoli e nei tessuti urbani russi occupando spesso gli ultimi gradini della scala sociale, relegati a lavori manuali o umili, condannandoli a un esistenza insulare e ghettizzante. Se l’immigrazione rappresenta una risorsa per una nazione piagata da una crisi demografica apparentemente senza vie di uscita, da un emigrazione giovanile in ascesa e da alti tassi di mortalità, non mancano le tensioni tra i nuovi arrivati e gli autoctoni, nonostante l’impegno costante del Cremlino nel riconoscere l’importanza della religione musulmana nello sviluppo presente e futuro della nazione. Le differenze settarie nell’umma islamica mondiale contraddistinguono (seppur in maniera minore) la demografia della realtà musulmana di Russia. Il 90% di questi può essere classificato [5] come sunnita, il 10% come sciita (principalmente esponenti alla comunità di espatriati azeri), ma la stragrande maggioranza non si riconosce all’interno di queste rigide sottocategorie.
Il panorama caucasico rappresenta la culla del sufismo, la corrente mistica (tendenzialmente pacifica) dell’Islam, un corrente di pensiero sfidata dal wahhabismo abbracciato dalle assai resilienti fazioni jihadiste separatiste, che continuano a sfidare il potere centrale del Cremlino. Le velleità indipendentiste cecene emerse prepotentemente in seguito al crollo del moloch sovietico, il malcontento per il differenziale di sviluppo tra le regioni a maggioranza russofone e non, l’acrimonia contro i governanti, satrapi corrotti finanziati dalle necessità securitarie del Cremlino, oltre all’ideale panislamico di instaurazione di un emirato caucasico hanno contribuito a creare un retroterra [6] di radicalismo e terrorismo. L’attentato su un autobus a Volgograd nel 2013, il massacro nella scuola di Beslan e la crisi del teatro Dubrovka nel 2002 sono solo alcuni dei più mediatici eventi terroristici di matrice caucasica che hanno colpito il territorio della Federazione dall’inizio della lotta islamista pancaucasica, che tutt’ora tiene impegnato un alto numero di militari dispiegati nell’area. Seguendo un filo conduttore che da Mosca prosegue fino in Medio Oriente, l‘intervento russo in Siria si spiega anche con la necessità del Cremlino di impedire l’instaurazione di uno stato a forte trazione jihadista, nonché eliminare le diverse migliaia di foreign fighter “russi” (dai 5.000 ai 7.000) protagonisti dell’insurrezione contro il governo di Bashar Al Assad. Un impegno russo muscolare che se da una lato ha ricevuto critiche da alcune frange dell’Islam russo, che hanno accusato il presidente di allearsi con il fronte sciita, ha rilanciato l’impegno delle autorità centrale di Mosca di perseguire la stabilità dentro e fuori i suoi confini. La sfida terroristica continua, però, strisciante e numerosi sono i campanelli di allarme lanciati dagli 007 del Cremlino derivanti dall’aumento demografico, organizzativo e transnazionale di cellule islamiste potenzialmente in grado di colpire lungo tutto il territorio.
[4]Polar Islam: Muslim Communities in Russia’s Arctic Cities – Marlene Laruelle
[5] Introduction: the image of Islam in Russia – Greg Simons
[6] Chechnya’s terrorist network: the evolution of terrorism in Russia’s North Caucasus – Roman Osharov
Non solo terrorismo, in quanto la crescita demografica poderosa dell’Islam ha sollevato parecchi dubbi sulle futuro assetto democratico della Federazione, sulla necessità di inquadrare i bisogni religiosi e culturali di questa minoranza, sull‘insufficiente dialogo interreligioso, oltre che innescare una disputa di potere tra le diverse organizzazioni che intendono presentarsi come i rappresentanti di questa variegata comunità. Disparate le sigle, espressione della diversità etnica e geografica tra cui, per ordine di importanza, spiccano il Consiglio dei Muftis di Russia, l’Amministrazione spirituale centrale dei musulmani della Russia e l’Amministrazione spirituale dei musulmani della Federazione Russa. Tre istituzioni impegnate in una lotta serrata nell’accreditarsi come il principale referente islamico verso il Cremlino, nello sponsorizzare l’avventurismo diplomatico di Mosca in Medio Oriente e per il controllo istituzionale delle Moschee. Oltre 8000 i luoghi di culto musulmani presenti all’interno del territorio della Federazione, tra cui spicca per magnificenza Qol-Şärif di Kazan (Tatarstan), la splendida moschea Blu di San Pietroburgo (recentemente restaurata) ma soprattutto la Moschea-cattedrale di Mosca, con una capacità di diecimila fedeli. Inaugurata nel 2015 nel corso di una cerimonia in cui al presidente russo Vladimir Putin si sono affiancati il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e Mahmūd Abbās (Abu Mazen) presidente dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, dell’Autorità nazionale palestinese e dello Stato di Palestina insieme ai leader musulmani locali. Un’opera dalla forte impronta simbolica, che dovrebbe in parte rispondere alle esigenze religiose della comunità moscovita musulmana, che ha spesso lamentato trascuratezza e la necessità di costruire nuovi luoghi di culto. Una decisione che se da un lato rappresenta un importante pedina simbolica nella mani della strategia di cooptazione dell’amministrazione Putin, dall’altro evita la proliferazione di moschee clandestine, improvvisate e spesso illegali, sentina di radicalismo o criminalità.
Consapevole della crescente importanza dell’Islam nel futuro della Russia, il presidente Putin ha recentemente dato vita a una politica di forte patrocinio degli interessi islamici, sottolineando a più riprese l’importanza che questa religione ha svolto e continua a svolgere nel modellare la storia e la cultura della nazione. Spiegabile in tal senso il tentativo, coronato dal successo, di ottenere lo status di osservatore presso l’Organizzazione della Conferenza islamica (OIC). Putin ha in più occasioni dichiarato che la Russia è un paese musulmano, che ha motivo di trovarsi come Stato osservatore nell’OIC e che l’Islam tradizionale è una parte essenziale della vita spirituale del paese. Tutti questi tentativi sono spiegabili con la volontà di creare l’immagine di un Islam a caratteri russi, un ideale religioso niente affatto estraneo alla cultura e alla storia russa, proiettando un utile messaggio propagandistico lungo le linee di faglia euroasiatiche. Esempi della “Islam diplomacy” del Cremlino possono essere inquadrati nei notevoli impegni bilaterali e multilaterali della diplomazia russa nel cercare una risoluzione ai conflitti che insanguinano il Medio Oriente. Dall’Iraq, alla già menzionata Siria fino all’Afghanistan e Yemen, la Russia si proclama campione della sovranità e del diritto internazionale con la volontà di controbilanciare l’influenza americana declinante nella regione. Un impegno complice della volontà di Cremlino di diversificare partner diplomatici e commerciali, stringere accordi commerciali vitali per un’economia in costante rinnovamento e concedersi libertà di manovra nello scacchiere geopolitico. Emblematico l’utilizzo di intermediari musulmani nell’organizzare una conferenza di pace per l’Afghanistan coinvolgendo talebani, milizie dei signori della guerra e il governo centrale. Una conferenza, che seppur non ha contribuito a offrire una soluzione per lo straziante conflitto, ha ulteriormente manifestato la disinvoltura di Mosca.