La diversa concezione della storia si rispecchia anche in molte delle dichiarazioni ufficiali dei politici e dei diplomatici russi nell’ultimo quindicennio, una volta archiviato il periodo El’cin (considerata dai più come esperienza di totale “servilismo pro-Occidente”) e riscoperto il potenziale ruolo di una Russia forte in un mondo multipolare.
Già nella famosa Conferenza sulla politica di sicurezza di Monaco del 2007, summa dell’evoluzione della politica estera russa delle prime due presidenze Putin, il presidente russo ha citato la caduta del muro, evidenziandone l’importanza e il ruolo costruttivo portato avanti dagli stessi russi.
Le pietre e i blocchi di cemento del muro di Berlino sono da tempo ricercati come souvenir. Ma non dobbiamo dimenticare che il suo declino è stato reso possibile anche grazie ad una scelta storica, inclusa quella del nostro popolo – il popolo russo: la scelta a favore della democrazia e della libertà, dell’apertura e della sincera collaborazione con tutti i membri della grande famiglia europea.
Vladimir Putin, Conferenza sulla politica di sicurezza di Monaco 2007
Il riconoscimento positivo dell’evento, tuttavia, serve a controbilanciare l’aspra denuncia dell’allargamento Nato ad Est, il cui risultato porta alla costruzione di nuovi muri, reali o “virtuali”, che tuttavia continuano a dividere il continente europeo.
Sulla stessa linea si muove il ministro degli Esteri, Sergej Lavrov, che durante una lectio magistralis nel 2009 ha definito la fine della Guerra fredda e la caduta del muro come cambiamenti epocali, “come verdetti della storia, ideologicamente imparziale” equiparandoli all’attuale nascita di un nuovo ordine multipolare nelle relazioni internazionali, definitivo superamento del monopolio occidentale ed eurocentrico del ventennio precedente. Nello stesso anno, nell’ottica della “grande casa europea da Lisbona a Vladivostok“, sempre Lavrov ha ribadito la portata storica del 1989, lamentando però l’incapacità degli attori politici di coglierne al massimo le potenzialità.
La caduta del muro di Berlino ha avviato il processo di emancipazione delle relazioni internazionali dai precedenti schemi di confronto ideologico. E devo ammettere che ciò non ha ancora trovato una risposta adeguata a livello politico. La cooperazione politica paneuropea non ha ancora acquisito una qualità tale da poter rispondere a nuove sfide e minacce.
Sergej Lavrov, 9 novembre 2009
L’evoluzione degli eventi post-1989 offrono ancora un’opportunità per denunciare la “grande occasione persa” nei primi anni Novanta di costruire un’Europa unita, sotto l’egida dell’OSCE, considerata vera alternativa sia al Patto di Varsavia ormai disciolto, sia all’ingombrante Nato, la cui sopravvivenza alla Guerra fredda rimane ingiustificabile per il Cremlino.
La retorica entusiasta della caduta del muro di Berlino offre a Mosca il fianco per ulteriori critiche, riguardanti ancora il paradosso tra la celebrazione di quella libertà ritrovata e l’attualità di nuove fratture e barriere. Nel 2015 la questione è stata così posta dal Ministro degli Esteri russo:
Ora [2015, n.d.a.] l’argomento preferito dell’UE è criticare l’Ungheria e il suo primo ministro. “Solo il pigro non prende a calci Orban”: tutti si vergognano di lui per il filo spinato al confine, ricordando il 1989, la caduta del muro di Berlino e sostenendo che i muri in Europa sono una pessima soluzione.
Allo stesso tempo, coloro che criticano hanno già costruito quattro barriere di filo spinato intorno all’ingresso del tunnel di Calais. E questo è normale. E un paio di anni fa, i Greci nel mezzo della crisi economica hanno costruito un muro al confine con la Turchia – nonostante le casse vuote, hanno trovato 200 milioni € per questo progetto.
Sergej Lavrov, 11 settembre 2015
Come si può evincere, la caduta del muro di Berlino è vista dall’élite politica russa come è un evento estremamente complesso, che supera la fragile retorica occidentale ed anzi ne evidenzia ambiguità e fallacia. Accettato il corso degli eventi, la leadership di Mosca non assimila appieno la concezione univocamente positiva delle conseguenze del 1989. Quanto accaduto è innegabile e ha posto condizioni sostanzialmente favorevoli alla costruzione di un nuovo mondo di pace e cooperazione, ma le modalità con cui questo è stato tentato allora e i risultati che si possono riscontrare a decenni di distanza sono largamente insoddisfacenti, rendendo impossibile risparmiare critiche ed obiezioni ad una visione eurocentrica eccessivamente semplicistica e carica di buone intenzioni.
Dando uno sguardo all’opinione pubblica russa, il Levada-Centr ha recentemente [8 novembre 2019, n.d.a.] pubblicato un’indagine sulla percezione della caduta del muro di Berlino da parte dei cittadini russi. Il risultato riflette l’entusiasmo molto moderato ostentato anche dalle istituzioni russe. Solamente il 43% degli intervistati ritiene questo evento storico come “sostanzialmente positivo“, mentre il restante 53% o “non è interessato” [35%] o ha un giudizio “essenzialmente negativo” [18%].
Guardando la composizione del campione, è interessante vedere come la maggioranza dei giovani 18-24 anni [54%] ricade nella categoria dei “non interessati”, indice dello scarso attecchimento della retorica e della percezione occidentale nella generazione post-sovietica. Non desta sorprese invece il fatto che siano le coorti over 40/over 55 quelle in cui la percezione positiva [46-47%] e negativa [20-23%] presentano percentuali piuttosto uniformi.
La tendenza dell’opinione pubblica, come visto, è leggermente sbilanciata all’accoglienza positiva delle conseguenze del 1989, pur mantenendo una forte moderazione e neutralità. Le generazioni adulte ed anziane sono quelle che maggiormente si sbilanciano su questo argomento, sia perché testimoni dell’epoca sovietica, sia perché colpiti direttamente dalla fortissima crisi economica e sociale degli anni Novanta, con la quale la transizione al capitalismo e alla democrazia liberale vengono tuttora largamente identificate. Per i giovani, la caduta del muro di Berlino rimane un evento storico, studiato nei libri di scuola, ma che non ha stravolto le loro esistenze così come per i loro nonni e genitori. È dunque comprensibile un sostanziale distacco dal giudizio su questo cambiamento epocale.