I Nenets (anche Nenci o neneti) sono una popolazione samoieda di ceppo ugro finnico. Allevatori di renne nomadi, vivono nelle regioni artiche della Siberia russa, in un enorme areale di oltre 1 milione di chilometri quadrati che va dal circondario autonomo di Jamalo-Nenec a quello dei Nenec. Non molto numerosi (non superano i 50.000 abitanti) hanno preservato nei secoli uno stile di vita unico e una lingua autoctona, pur non restando immuni da un processo di russificazione comune a tutte le realtà etniche dalla Federazione Russa. Oggi, infatti, tutti i Nenets sono tendenzialmente bilingui, in quanto il russo ha guadagnato una reputazione come lingua franca nelle relazioni interculturali e nel commercio con le generazioni più giovani che stanno progressivamente abbandonando la lingua degli antenati. A condannare al declino la lingua indigena è anche la profonda diversità di dialetto che esiste tra le diverse versioni parlate dai sottogruppi etnici all’interno della comunità Nenets, che rende difficile la conservazione scritta e un insegnamento unificato. Il loro stile di vita peculiare è oggi particolarmente minacciato dal cambiamento climatico, dall’urbanizzazione e dagli investimenti massicci che la Russia sta attuando nell’Artico alla vorace ricerca di combustibili fossili o di un ferreo controllo sulla rotta marittima del Circolo Polare Artico.
La mancanza di fonti scritte e il tardivo contatto con la “civiltà” coprono sotto un velo di incertezza il processo di etno-genesi della popolazione, anche se appare scontato un legame con gli altri popoli artici di stirpe ugrofinnica. ll territorio centrale della comunità protouralica era presumibilmente situato nella regione degli Urali meridionali, da dove il ramo samoiedo poi si divise [1] per diffondersi verso est. La comunità proto-samoieda sembra essersi concentrata sulla regione tra i corsi medi dei fiumi Ob e Yenisei nella Siberia occidentale, dove subì un’ulteriore diffusione dopo il cosiddetto periodo unno nella storia eurasiatica centrale (a partire dal 200 a.C. circa). Il contatto con l’entità protorussa risale alla metà del Cinquecento, quando i primi esploratori, mercanti o affaristi russi iniziarono a percorrere le immensità siberiane alla ricerca di pellicce, oro o beni commerciabili. Sulle tracce dei mercanti, come di consueto, iniziarono le prime spedizioni armate inizialmente, non esplicitamente volte all’assoggettamento della popolazione, ma alla concretizzazione di posizioni difensive in un contesto pressoché anarchico, ma economicamente lucroso. Sorsero, di conseguenza, i primi forti nella penisola di Gydan, nel Golfo di Ob e nella penisola di Yamal. Forti che ben presto si dotarono di empori, stazioni commerciali, insediamenti, monasteri trasformandosi talvolta in piccole città (Salekhard, il capoluogo del Circondario autonomo Jamalo-Nenec deve alla presenza in loco di un fortino la sua futura fortuna) lungo rotte consolidate che permisero di stabilire contatti costanti e proficui tra russi e i nomadi. Il consolidamento del controllo zarista sul territorio prosegui per i secoli successivi, cosi come lo stanziamento in loco di coloni slavi dando il via a processi di cristianizzazione dell’Artico non di rado attuato con brutalità.
[1] Wizman, Peoples of the USSR: An Ethnographic Handbook 1984
Nonostante gli sforzi missionari e il pugno di ferro delle autorità di Mosca, l’eredità pagana non scomparve e anche oggi una buona parte dei Nenets conserva un geloso attaccamento nei confronti dei culti sciamanici siberiani. L’ortodossia ha certamente attecchito, ma persiste un sincretismo idolatrico che si perpetua da generazioni. Le famiglie Nenets, spesso molto vaste, pregano numi, spiriti e feticci titolari, così come tributano grande valore a premonizioni, segnali e visioni. La vastità degli spazi e la presenza sporadica delle autorità permise la preservazione dell’identità indigena, ma l’ascesa dell’ideologia comunista cambiò le carte in tavola. La progressiva spinta ad Est dell’Unione Sovietica portò alla costruzione di strade, ferrovie, insediamenti (tra cui centri di detenzione) e allo sviluppo dei primi giacimenti, danneggiando l’habitat e il pascolo tribale.
Il processo di collettivizzazione coatta, inoltre, non risparmiò lo stile di vita dei Nenets, costringendoli a mettere in comune il capitale zoologico erodendo processi di sussistenza. Le politiche staliniste tentarono di combattere il nomadismo con la creazione di insediamenti stanziali e scuole di lingua russa per le giovani generazioni, così come i piani quinquennali inaugurarono la creazione di mastodontici e inquinanti stabilimenti industriali e minerari, attirando ulteriore manodopera (volontaria o prigioniera) da Occidente. La resistenza locale alle autorità centrali si strutturò secondo dinamiche differenti, a seconda dei gradi di intromissione del governo nella vita dei Nenets. Alla perpetuazione del nomadismo e ulteriore emigrazione verso Nord ed Est seguirono vere e proprie rivolte armate, in una costante resistenziale che in parte dura ancora oggi. La pluridecennale esperienza sovietica non riuscì nell’intento di cancellare le abitudini e l’attaccamento alla tradizione dei Nenets, in quanto con la caduta dell’Unione lentamente i Nenets ripresero in mano le consuetudini di sempre, ma i mali dello sviluppo economico incontrollato avevano già attecchito tra i ghiacci dell’Artico.
La nuova Russia, ora indipendente ed economicamente fragile, aumentò ulteriormente gli stanziamenti economici e strategico militari sul territorio, alterando la demografia a sfavore della sparuta minoranza Nenets (ad oggi nei territori autonomi artici i non russi rappresentano meno del 10% del totale) e privando quest’ultimi dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento dei giacimenti di gas naturale e petrolio. Proprio la bulimia energetica di una Federazione incapace di diversificare la sua economia costituisce la principale sfida per la sopravvivenza delle tradizioni e dell’incolumità culturale del popolo Nenets[2]. Gli enormi conglomerati energetici a partecipazione statale come Gazprom, Lukoil o Rosneft continuano ad occupare terreni, costruire oleodotti, stabilimenti di raffinazione e infrastrutture, marchiando il territorio con l’impronta di un inquinamento incontrollato. Non sono mancati casi di distruzione di siti archeologici, sacrari e cimiteri, così come l’evacuazione di intere comunità da territori di pertinenza ancestrale.
La situazione appare tragica soprattutto nella penisola di Yamal (ad oggi il forziere energetico artico della Russia con oltre un quinto delle riserve di gas naturale della Russia) dove i Nenets continuando a rappresentare una flebile maggioranza della popolazione. Le rotte migratorie degli enormi branchi di renne sono rese piu difficili dalla presenza di apparati industriali, così come dall’avvelenamento dei fiumi, dei laghi o persino della terra, che uccide un numero sempre piu elevato di esemplari oltre che incrementare il rischio di tumori e patologie tra i locali. Il fenomeno delle piogge acide sta crescendo in intensità, come l’accumulo di metalli pesanti negli arbusti della tundra, colpendo dalla base la catena alimentare e l’approvvigionamento dei locali. Particolarmente dannoso risulta il processo di combustione del gas in eccesso, che libera nell’aria dosi massicce di anidride carbonica che si ripercuote nella salubrità dei pascoli e dell’aria.
[2] Tuula Tuisku, Nenets Reindeer Herding and Industrial Exploitation in Northwest Russia, Society for Applied Anthropology (2002)
I rischi e le problematiche ambientali vengono tollerati dalla Russia, in nome di una crescita economica ancora fortemente dipendente dall’estrazione di idrocarburi e con la promessa di miglioramento della qualità di vita e progressivo arricchimento dei locali. Una promessa che stenta ad avversarsi per via del drenaggio costante delle ricchezze, che dalle regioni periferiche filtra verso Mosca in un meccanismo di forte centralizzazione comune in tutta la Federazione. La prospettiva di aumento dell’occupazione non ha coinvolto la comunità Nenets e la creazione di insediamenti sedentari ha ulteriormente danneggiato il loro stile di vita, incrementando lo sradicamento della comunità e il gap generazionale. Di fronte all’inquinamento, alla rarefazione dei pascoli e alla moria sempre maggiore di renne, i Nenets (specialmente i più giovani) sono costretti a lasciare le comunità per emigrare nei centri urbani di recente fondazione o nelle metropoli della Russia Europea, dove affrontano notevoli difficoltà di integrazione, cadendo nella trappola della dipendenza dall’alcool o dalla droga, ingrossando le fila della criminalità o finendo ai margini di una società di per se non inclusiva. Il tasso di suicidio tra la comunità Nenets è tendenzialmente più alto che tra la popolazione slava, così come il tasso di disoccupazione (solo il 41% dei Nenet ha trovato un’occupazione retribuita, principalmente come manodopera non qualificata), mentre l’aspettativa di vita di Nenets va dai 45 ai 50 anni. Il contributo economico delle compagnie energetiche alla popolazione è insufficiente e si traduce raramente in un miglioramento del tenore di vita. La costruzione di scuole per le giovani generazioni nelle comunità artiche, anzi, sta ulteriormente danneggiando gli sforzi di conservazione delle lingue indigene in quanto le lezioni prevedono la predominanza della lingua russa.
In nome di uno sviluppo incontrollato, la Russia continua ad ignorare le peculiarità e le rimostranze delle minoranze e in questo è facilitata dal silenzio della comunità internazionale. Recentemente, tra le popolazioni siberiane è in crescita un attivismo ambientale e culturale non violento, che si collega all’onda lunga delle proteste che continuano a coinvolgere le giovani generazioni nel territorio della Federazione e nel mondo intero. Una comunità di attivisti rurali, Voice of the Tundra (Golos tundry), che si affida ai nuovi mezzi di comunicazione per organizzare e diffondere il suo messaggio è emersa parallelamente a questo processo. Non solo utilizza il popolare social network russo VKontakte per la mobilitazione sociale e la comunicazione pubblica, ma è guidato da un giovane pastore di renne della tundra piuttosto che da attivisti urbani, giornalisti e studiosi. Questo aumenta le possibilità che i Nenets riescano a canalizzare i propri sforzi per arrivare fino alla Duma. Uno sforzo potenzialmente in grado di direzionare le priorità dell’opinione pubblica interna nel lungo periodo, anche se le condizioni e le difficoltà dei popoli minacciati richiedono interventi immediati ed efficaci. È necessario un cambio di paradigma a livello governativo, con Mosca in grado di attuare un approccio maggiormente inclusivo e sensibile nei confronti dei diritti delle minoranze, se vuole continuare a promuovere l’immagine di un paese multiculturale e tollerante. L’Europa, importante destinataria dei flussi energetici provenienti dall’Artico siberiano, dal canto suo dovrebbe prestare maggiore attenzione alle sorti di coloro che pagano il prezzo più alto del suo approvvigionamento energetico.