Parte II – La Russia protagonista globale
La breve parentesi da Primo ministro (2008-2012) si caratterizza per alcuni eventi di notevole impatto, sia per i progressi raggiunti sullo scenario internazionale della Russia, sia per gli sviluppi futuri: la crisi economico-finanziaria globale, i cui effetti fanno scricchiolare notevolmente il modello russo di sviluppo impostato nel decennio precedente; il peggioramento dei rapporti con il vicinato post-sovietico (guerra in Georgia, crisi del gas con l’Ucraina); lo scoppio delle cosiddette Primavere arabe e i conseguenti mutamenti degli equilibri geopolitici in Medio Oriente e Nord Africa, che apriranno a Mosca possibilità forse inattese.
2012-oggi: tra protagonismo, espansione e difesa degli interessi strategici
- Multipolarismo – Una realtà sempre più complessa richiede un approccio ancor più elaborato ed attento. Questo Putin lo sa bene e perciò in quest’ultimo decennio Mosca ha perseguito una politica multivettoriale, rifiutando una strategia dogmatica e monolitica. Lo ha fatto attraverso il coinvolgimento di tutte le potenze emergenti avverse al sistema unipolare: nel conflitto siriano, ad esempio, possiamo trovare numerosi colloqui e relazioni con attori regionali e non, con Damasco in primis, ma anche con la Cina, l’Iran, gli altri BRICS, senza escludere gli USA, la Turchia, l’Arabia Saudita ed Israele. Seguendo la via tracciata a Monaco nel 2007, la visione di Putin unisce il realismo storico della diplomazia russa con i rapidi mutamenti dello scenario attuale. Il vecchio adagio di Gorčakov “non ci sono nemici costanti, ma ci sono interessi nazionali costanti” trova evidente applicazione nella proiezione internazionale del Cremlino, che mira a difendere i propri spazi privilegiati dalle minacce esterne, mentre delinea le future prospettive di ampliamento politico. La delimitazione delle rispettive “sfere d’influenza” e il bilanciamento reciproco tra potenze nel mondo multipolare restano i cardini di questa concezione, con la sovranità statale ed il diritto internazionale che si confermano i parametri supremi e neutrali di qualsiasi contesa.
- Interventismo – L’intervento militare diretto è sempre stato un extrema ratio nelle crisi in cui Mosca è stata coinvolta. Massicce esercitazioni o manovre ai propri confini hanno sempre avuto un ruolo deterrente, generalmente sufficiente nel ridimensionare le provocazioni esterne, ma anche a spingere i vicini baltici nelle braccia della NATO. A partire dal 1992, le forze armate russe sono state essenzialmente impiegate alle proprie frontiere (Cecenia – 1994-96 e 1999-2009) o nel proprio vicinato occidentale (guerra in Georgia – 2008), laddove il Cremlino ha sempre preteso di esercitare la sua influenza nella propria “sfera d’interesse privilegiata e legittima“. L’uso della forza rimane centellinato, ma nell’ultimo decennio una somma di instabilità e minacce esterne (espansione della NATO ad Est, rivoluzioni “colorate” e “primavere arabe”, lentissima ripresa dalla crisi economica…) hanno reso la Russia ancora più determinata a difendere i propri interessi strategici. Questo è avvenuto in Crimea nel 2014, occupata ed in seguito annessa via referendum, e nel Donbass russofono dopo le manifestazioni di Euromaidan, che hanno coinvolto l’Ucraina, vicino strategico per il transito del gas russo verso l’Europa. Ancora più decisivo nel 2015 l’ingresso determinante nel conflitto in Siria. Qui la presenza russa sul campo si è rivelata fondamentale per la sopravvivenza del regime alleato di Bashar al-Assad e per la lotta al terrorismo jihadista dell’ISIS, ma anche a livello diplomatico per aver consegnato a Mosca un ruolo intermediario centrale per i destini del Medio Oriente. Il realismo e il multilateralismo del Cremlino lo hanno così reso un interlocutore di primaria importanza nella regione. Infine, il massiccio export di armi ed expertise, nonché il recente ricorso a compagnie militari private, segnalano un tipo d’intervento indiretto, ma comunque efficace nel diffondere l’influenza russa oltre i propri confini, in Africa in primis.
- Diplomazie – Il crescente coinvolgimento internazionale comporta la gestione di molte sfide su numerosi fronti, non solo quello politico. Anche in questo caso, Vladimir Putin persegue la politica della cooperazione multilaterale ed inclusiva, a patto che non metta a repentaglio gli interessi nazionali russi. Vediamo dunque come, nell’ultimo decennio, Mosca abbia avuto una notevole espansione in molti settori, da quelli storicamente di sua competenza, come quello energetico (ad es. i gasdotti attivati con la Turchia o il progettato North Stream-2), alle nuove frontiere del XXI secolo, come l’Artico. Di sicuro la collaborazione più ampia e massiccia è quella instaurata con la Cina, come visto con la maxi-esercitazione Vostok-18 e, soprattutto, nel formato della nuova Via della Seta tra Pechino e Mosca. L’Asia centrale, così come l’Estremo Oriente russo, il Caspio ed il Caucaso, diventano terra di progetti, infrastrutture e investimenti ingenti, in cui Mosca riveste un ruolo generalmente attivo e decisivo. Oltre alle forme di collaborazione più tradizionali, il Cremlino dispiega anche una notevole soft power, che sia essa di carattere religioso-culturale o sportivo, con le Olimpiadi invernali di Soči e i Mondiali di calcio 2018 come punta di diamante della vetrina internazionale russa, trionfi d’immagine per il Paese e per il presidente.
Per quanto accorta e calcolata, la politica estera russa in questi 20 anni di Putin non ha mai rinunciato ad affermare e difendere le priorità e gli obiettivi di Mosca. Forte della crescita dei primi Duemila e del mutamento del sistema delle relazioni internazionali nel nuovo millennio, il Cremlino ha saputo rapidamente ritagliarsi un ruolo di primaria importanza nello scenario globale. Restano, tuttavia, numerosi interrogativi.
Innanzitutto, dovrà essere valutata la tenuta e la sostenibilità di questi progressi. Quanto la Russia sarà in grado di conciliare un impegno internazionale crescente e, per questo, anche più dispendioso, considerando le necessità di modernizzazione di un sistema economico domestico ancora scricchiolante, troppo incentrato sulle materie prime e su strutture talvolta ancorate al vecchio sistema sovietico. I traguardi raggiunti da Putin sono indubbi, ma sono sostenibili per il “modello Russia“? Sapranno i suoi successori cogliere le responsabilità e le sfide di questo ritrovato ruolo da protagonista?
In secondo luogo, non meno importante, consideriamo le ambiguità di alcuni rapporti, su tutti quello con la Cina, data la situazione delicata descritta poco sopra per Mosca e, al contrario, il forte espansionismo di Pechino, dotata di mezzi e strumenti. Riuscirà il Cremlino a proseguire una cooperazione win-win, o si troverà a sua volta costretta a cedere gradualmente al Dragone, rischiando di venire fagocitata dall’avanzata cinese? Alcuni di questi segnali possono essere già colti nell’Estremo Oriente russo e nella regione del Bajkal, così come in Asia centrale e nel Caucaso, dove la Cina sta rivestendo un ruolo sempre più predominante, una volta spettante a Mosca, e non disdegna il sostegno a progetti che non collimano pienamente con i disegni russi.
Una metafora che può efficacemente descrivere la linea evolutiva della politica estera putiniana è stata data già nel 2006 da Dmitri Trenin:
Finora [2006] la Russia ha considerato sé stessa come fosse Plutone nel “sistema solare” occidentale, tanto lontana dal centro quanto ancora una sua componente fondamentale. Adesso ha lasciato completamente la sua orbita: le autorità russe hanno rinunciato a diventare parte dell’Occidente e hanno iniziato a creare un proprio sistema “Mosca-centrico”.
Dmitri Trenin