Una scrivania spoglia, un albero di Natale ed un’inquadratura stretta: così vent’anni fa in soli quattro minuti Putin si imponeva nella vita politica della Russia comparendo per la prima volta sugli schermi televisivi, a seguito del discorso di dimissioni di El’cin. Una persona sconosciuta ai più, male cui parole ferme, decise e rassicuranti rattoppavano la barcollante emotività del predecessore nel suo ultimo discorso per il nuovo anno. Rivolgendosi concisamente al popolo russo, prometteva un Paese nuovo, solido e non più in balìa di sé stesso. Dopo vent’anni, quanto è cambiato da questo primo discorso rivolto a una Russia confusa ed estremamente fragile?
«Voglio sottolineare che nemmeno per un minuto ci sarà un vuoto di potere nel Paese, non c’è stato e non ci sarà» [1]
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Col senno del poi, di tutto il discorso questa è forse l’affermazione alla quale rimarrà più fedele durante la sua carriera. Tra tutti i possibili aspetti da analizzare, è doveroso sottolineare come la perenne presenza di Putin ai vertici dello Stato non abbia condizionato in maniera particolarmente negativa l’economia. Certo, questa affermazione non è immune da critiche, ma resta comunque accademicamente accettato che una continuità governativa influisca positivamente sulla stabilità economica di un Paese. Un dettaglio importante però è che nel 2000 Putin e il suo governo cavalcarono una parabola economica ascendente di una Russia appena uscita dal collasso del 1998: i prezzi del petrolio mondiale finalmente aumentavano di nuovo, e tale fu la spinta positiva dell’economia che secondo molti studiosi furono solo i petroldollari a salvare il Paese.
La presidenza di Putin si avviò quindi sotto i migliori auspici. Negli anni successivi, forti politiche economiche(soprattutto energetiche) portarono la Russia a diventare il Paese più virtuoso e stabile della CSI, facendolo crescere a ritmi del 3-4% annuo. Ma la crisi mondiale del 2008 iniziò a segnare una nuova, inesorabile discesa per l’economia russa. Che ha raggiunto il suo momento peggiore nel 2014, con il collasso dei prezzi del petrolio. Più che una parabola, l’economia nel ventennio di Putin potrebbe essere definita come un cerchio: dal 1999 al 2008 il PIL russo è aumentato del 94%, e quello procapite è raddoppiato. Questo ha portato l’economia a crescere dai 210 miliardi di dollari del 1999 al picco di 1,8 trilioni di dollari nel 2008. La crisi ha riportato il suo valore a 1,2 trilioni di dollari, e lo share del PIL globale fa capire che ora la Russia è praticamente tornata a dove El’cin l’aveva lasciata nel 1999.
L’economia russa ha visto l’imposizione di riforme tra cui quella dell’ex ministro Gref (interrotta nel 2008) e il piano per la crescita e lo sviluppo della Russia entro il 2020 (2012). Tali riforme però non hanno portato a cambiamenti significativi e radicali dal momento che il Paese in 20 anni sembrerebbe essere rimasto totalmente dipendente dalle risorse naturali: si è visto come la Russia sia pesantemente suscettibile alle variazioni di prezzo del petrolio e al declino di quest’ultimo non è mai stata contrapposta una riforma economica adeguata ad attutire il colpo. Nonostante il duro impatto subìto nel 2014, grazie proprio all’export di gas e petrolio le entrate sono tuttora elevatissime e consentono il perpetrarsi di una fragile stabilità.
«Libertà di parola, di pensiero, di stampa, il diritto di proprietà, questi elementi fondanti della società civile saranno protetti dallo stato con fermezza»
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Forse questo il punto più controverso della politica putiniana, che sin da subito si è adoperata per controllare e limitare tutti i sopracitati “elementi fondanti” della società civile russa. In questi vent’anni la libertà di stampa ha registrato in Russia una costante contrizione, dovuta a leggi sempre più limitative. Tra cui la recentissima decisione di Putin di voler classificare giornalisti e blogger indipendenti come “agenti stranieri” e quindi essere legalmente sottoposti a un controllo molto più duro e specifico. Una macchina di censura che ha seguitato imperterrita a creare un muro di silenzio sempre più spesso attorno al Cremlino, ma finita più volte sotto i riflettori per avvenimenti tutt’altro che invisibili. Risvegliando parte della società civile russa (e non).
Dall’omicidio di Anna Politkovskaja nel 2006 (di cui ancora non sono chiari mandanti) ai numerosi arresti arbitrari, ultimo dei quali quello di Ivan Golunov nel 2019.
E in questo senso, ciò che è cambiato in vent’anni di politica interna russa è tutto qui: la morte della giornalista che si era dedicata alla guerra cecena suscitò indignazione e forti pressioni internazionali, ma in Russia la questione fu conclusa in maniera artificiosa ritenendo soddisfacente un processo in cui furono semplicemente trovati dei capri espiatori. Tredici anni dopo, l’arresto da parte della polizia del giornalista di Meduza ha incontrato una mobilitazione sociale tale da far tornare sui propri passi il Cremlino, liberare il giornalista e licenziare i poliziotti che lo avevano arrestato. Internet, i social media, le influenze esterne: molte sono le ragioni di questo cambiamento. Fatto sta che una buona fetta della società russa ha dimostrato di essere pronta ad affrontarlo e che certi atteggiamenti da parte del Cremlino ora più che mai sono diventati anacronistici.
Inoltre sono sempre più frequenti, nelle grandi città della Federazione, manifestazioni pacifiche in luoghi pubblici per temi di respiro internazionale e domestico, tra cui i recentissimi movimenti per l’ambiente. Quindici anni fa molte di esse sarebbero state interrotte dalla polizia, fino alla dispersione dei manifestanti (nel migliore dei casi). Le ragioni per cui oggi viene sempre più tollerata l’aggregazione civile dimostrativa sono oggetto di studio e di curiosità: Putin teme le prossime elezioni? Putin si è redento e ha capito l’importanza di far esprimere il suo popolo? Forse la risposta sta nell’inevitabile incombere di una nuova generazione: una generazione nata e vissuta connessa col resto del mondo, i cui racconti sul socialismo e l’isolato mondo sovietico hanno perso la patina fiabesca che avevano per quella precedente. Il mito finalmente chiede di essere sostituito. Ogni buon statista è conscio di quanto una popolazione che non comprende le sue parole sia più temibile di una che le disprezza; l’assenza di un linguaggio comune è ciò che inevitabilmente toglie dalla scena un politico e Putin agisce – suo malgrado – di conseguenza.
«Sarà possibile valutare come ha agito questa persona solo tra un po’ di tempo»
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Queste parole eleganti si riferivano a El’cin, ma due decenni dopo lo stesso potrebbe essere detto di Putin. L’unica differenza è che se le politiche di El’cin vennero inquadrate ed inserite quasi subito nel grande libro della storia russa, relegate – forse ingiustamente – ad un mero periodo di transizione, quello di Putin è il vero inizio e la nascita della nuova Russia, un Paese che è andato cambiando e modificandosi sempre sotto il suo sguardo. Ragion per cui per poter classificare ed inserire le azioni del presidente nella controversa storia di questo grande Paese sarà necessario molto più tempo di quello servito per il suo predecessore. Vent’anni sono lunghi e il vento del cambiamento soffia per tutti:il futuro di Vladimir Vladimirovič ad oggi rimane un’incognita.