La storia delle relazioni tra Federazione Russa e Turchia è relativamente recente, fatta non solo della forte intesa che vediamo, in generale, negli ultimi anni, ma anche di distanze, picchi di tensione, gelo totale tra Mosca e Ankara. Un rapporto a corrente alternata che, come ci indica la metafora, vede il principale slancio nello sviluppo nei rispettivi interessi nel settore energetico.
La divisione del mondo in blocchi contrapposti azzerò praticamente ogni cooperazione. Con la Turchia, kemalista e anticomunista, avamposto della NATO nel Vicino Oriente e direttamente confinante con le tre RSS caucasiche, gli scambi si limitarono a pochi prestiti. La tensione con la Repubblica Popolare di Bulgaria, nata dalla “bulgarizzazione” forzata della minoranza turca, favorì inoltre il taglio netto con il mondo del socialismo reale. Sarà solamente nella seconda metà degli anni Ottanta che Ankara e Mosca torneranno in contatto, sotto il segno delle riforme e delle aperture di Gorbacëv. Tra il 1987 e il 1989 iniziarono i primi voli verso l’URSS, l’apertura di una linea di credito per Mosca e, soprattutto, il primo accordo intergovernativo per l’acquisto del gas sovietico, della durata di 25 anni. Dopo i mediocri anni Novanta, le relazioni russo-turche conobbero un nuovo, fortissimo sviluppo con l’ingresso nel nuovo millennio, grazie all’intesa tra le due nuove figure politiche destinate a reggere le sorti dei due Paesi per il successivo ventennio, Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan.
Nel periodo 2001-2011, le esportazioni russe in Turchia sono passate da 3,4 a 24 miliardi $ (+700%) e una vasta gamma di progetti congiunti coinvolge società russe e turche in numerosi campi. Nel 2010, la Russia è diventata il secondo partner commerciale estero più importante per la Turchia, con un occhio di riguardo al mercato delle materie prime, che ha raggiunto un valore di 31 miliardi $ nel 2014. Proprio il settore energetico continua a giocare un ruolo fondamentale, sia per la dimensione del mercato turco, sia per la strategica posizione di Ankara tra Oriente e Occidente, funzionale agli interessi russi nel Mediterraneo e in Medio Oriente. La sezione “Energia” rappresenta circa il 70% delle esportazioni russe in Turchia, andando a coprire oltre il 60% delle esigenze anatoliche.
Vediamo dunque quali sono stati i principali traguardi della collaborazione russo-turca in campo energetico, e quali disegni si prospettano per il futuro.
La politica dei gasdotti
Il Bluestream
Che il gas sarebbe stato il perno degli interessi di Russia e Turchia era ben chiaro sin dall’accordo turco-sovietico del 1987. Quello che, tuttavia, risultava meno chiaro era l’effettivo interesse di Ankara e il potenziale coinvolgimenti di altri fornitori, come l’adesione al progetto Nabucco sembrava presagire. Infatti, fino al 2004 le forniture russe per Ankara erano obbligate a transitare via Balcani (TransBalkan Pipeline) o via Mar Nero, e i vari progetti bilaterali erano fermi sulla carta.
Tra questi, figurava il BlueStream. Oggi, il gasdotto collega direttamente Russia e Turchia, posato sul fondo del Mar Nero dalla costa russa (stazione di compressione Beregovaya) fino a quella turca (terminal di Durusu), per poi proseguire da Samsun ad Ankara, per una lunghezza totale di 1213 km.
La sua rapida costruzione, iniziata nel 2001, si inserisce nel quadro dell’accordo russo-turco del 1997, secondo il quale la Russia dovrebbe fornire 364,5 miliardi m3 di gas alla Turchia nel periodo 2000-2025. Il tratto off-shore era stato già completato nel maggio 2002 e le forniture di gas sono iniziate nel febbraio 2003. I costi di costruzione sono ammontati a 3,2 miliardi $, sotto la guida della società russo-italiana Blue Stream Pipeline Company B.V., joint-venture di Gazprom e Eni. Il contratto di fornitura con la parte turca è stato redatto secondo il principio di “take or pay” (nel caso in cui i volumi di approvvigionamento previsti non venissero raggiunti, la Turchia dovrebbe pagare per intero le quote previste). La capacità iniziale di 16 miliardi m3 di gas/anno è stata aumentata a 19 miliardi m3/anno nel 2014, a seguito della modernizzazione degli impianti di compressione e ricevimento.
Il TurkStream
Ad avvinghiare ancora di più la Turchia (e non solo) al mercato energetico russo è il nuovo gasdotto TurkStream. Lungo 1.100 km, è costituito da due linee con una capacità totale di 31,5 miliardi di m³ di gas/anno. La prima linea è destinata alle forniture di gas ai consumatori turchi, mentre la seconda ai paesi dell’Europa meridionale e sud-orientale. Tra il 2017 e il 2019 è stata realizzata la sezione off-shore, segnando il record mondiale di velocità per la posa delle condutture, avanzando di 6,27 km al giorno. Nel 2019 è stata anche completata la costruzione del terminale di ricevimento in terra turca, a Kıyıköy. Costo totale dell’opera: 8 miliardi $.
L’inaugurazione ufficiale è avvenuta l’8 gennaio 2020, presieduta da Recep Tayyip Erdogan e Vladimir Putin, con la partecipazione anche del presidente serbo Aleksandr Vucic e del premier bulgaro Bojko Borisov. La rotta, infatti, si rivela strategica per il trasporto del gas russo che, attraversando il Mar Nero fino alla Turchia europea, può collegarsi alla rete dei Balcani e dell’Europa centrale, bypassando così Romania e Ucraina, certamente più ostili a Mosca e attraversate dal gasdotto TransBalkan. Infatti, già nel settembre 2019 è cominciata la costruzione del gasdotto BalkanStream (Bulgaria-Serbia-Ungheria), ad opera della società italo-saudita Arkad Engineering. Negli ultimi mesi, un’estensione ha consentito l’allaccio del sistema di trasmissione del gas bulgaro al TurkStream, mentre Gastrans, una joint-venture tra la società statale serba Serbiagas e Gazprom, ha completato la posa delle condotte dal confine tra Serbia e Bulgaria fino al confine con l’Ungheria. Sono stati inoltre effettuati i lavori per garantire l’approvvigionamento di gas attraverso l’esistente TransBalkan in direzione inversa, per cui Bulgaria e Romania sono pronte a ricevere gas via Turchia anziché dalla rotta ucraina.
Un successo strategico per la Russia, che consolida nettamente il suo predominio energetico nel bacino del Mar Nero e nei Balcani; una prova di resilienza da parte della Turchia, che barcamenandosi tra passate ispirazioni europeiste ed il protagonismo attuale è riuscita a rimanere al centro della contesa superando il fallimento di progetti come Nabucco e SouthStream. Sempre più distante dall’UE, Ankara ha preso come riferimento Mosca e la stretta collaborazione con questa che si sa, in campo energetico, non tarda a trasformarsi in un’arma a doppio taglio.
L’aspirazione del nucleare
Akkuyu
Pur essendo il gas al centro della cooperazione energetica tra Russia e Turchia, nell’ultimo decennio i due Paesi hanno siglato accordi anche in altri settori, tra cui quello del nucleare. Con l’accordo del 9 maggio 2010, Mosca ed Ankara hanno concordato la costruzione della prima centrale nucleare turca, a scopo civile. L’impianto di Akkuyu, nella provincia di Mersin, è stato progettato per avere 4 reattori VVER1200, capaci di generare 4800 MW totali. Nel 2013, la società di costruzioni nucleari russa Atomstrojexport e la società di costruzioni turca Ozdogu hanno firmato il contratto di preparazione del sito, lavori che non si sono fermati nemmeno durante la forte tensione tra Russia e Turchia, causata dall’abbattimento turco dell’aereo russo Su-24M il 24 novembre 2015, nei pressi del confine turco-siriano.
Il finanziamento essenziale è fornito da Mosca, con il 93% dei fondi garantito da Rosatom, così come l’intero progetto è a firma russa: il progettista generale dell’impianto è Atomenergoproekt; l’appaltatore, come visto, è Atomstrojexport; la supervisione scientifica del spetta all’Istituto Kurčatov di Mosca. La cerimonia di inaugurazione della costruzione del primo reattore è avvenuta il 3 aprile 2018, alla presenza di Erdogan e Putin, e la sua consegna è prevista per il 2023; le altre tre unità dovrebbero essere pronte per il 2025. Nonostante l’importanza, reale e di facciata, del progetto, non sono pochi i suoi detrattori, così come le criticità sollevate da ambo le parti.
In Russia, ad esempio, sono in molti a vedere l’eccessiva dispendiosità del progetto (circa 22 miliardi $), soprattutto in un periodo in cui Mosca deve fare i conti con performance economiche non proprio esaltanti. Secondo Institut problemy energetiki, l’investimento russo deve far fronte:
- all’assenza di obblighi finanziari per la Turchia, con conseguente alta probabilità che tutte le spese, di cui oltre la metà è gestita da appaltatori turchi, saranno pagate dal bilancio russo;
- i dubbi sull’effettiva domanda di elettricità dalle centrali nucleari, poiché la stazione si trova vicino alla zona di villeggiatura di Antalya, dove non ci sono grandi imprese industriali;
- la formazione gratuita e qualitativamente discutibile fornita agli operatori turchi per la gestione di centrali nucleari;
- il prezzo dell’elettricità è stato fissato per 25 anni, escludendo l’inflazione del dollaro, l’aumento dei prezzi mondiali dell’elettricità e le variazioni del tasso di cambio;
- l’assenza di un divieto di nazionalizzazione delle centrali nucleari, in casi di forza maggiore;
- la società del progetto ha ricevuto un prestito senza interessi per la costruzione, fatto che non ha precedenti nella pratica di contratti di investimento internazionali a lungo termine.
Da Ankara, le principali critiche riguardano il prezzo fissato per l’acquisto di energia elettrica per i primi 15 anni a 0,12$/kWh, due volte più alto del prezzo concordato tra Russia ed Egitto per il progetto della centrale nucleare di El Dabaa. A questa cifra, la Turkish Electricity Trade and Contract Corporation (TETAS) ha già garantito l’acquisto del 70% di energia generata dalle prime due unità e del 30% dalla terza e quarta. Preoccupazione desta anche la rilevante sismicità della penisola anatolica.
Nonostante la costruzione proceda tra dubbi e rallentamenti, la Turchia ha recentemente annullato un accordo con un consorzio a guida giapponese per costruire una seconda centrale nucleare a Sinop, nel nord della Turchia, lungo la costa del Mar Nero. Il ministro turco dell’Energia, Fatih Donmez, ha affermato che i risultati degli studi di fattibilità condotti dal giapponese Mitsubishi Heavy Industries (MHI) non hanno soddisfatto le aspettative del ministero in merito alla data di completamento e ai prezzi, ma non ha escluso che “la costruzione della centrale nucleare di Sinop avvenga con un altro partner“. Che la Russia sia dietro l’angolo?
Come si vede, oltre ai successi riportati, che hanno sicuramente consolidato i rapporti tra Russia e Turchia, si celano anche numerose incognite, principalmente legate alla tenuta e alla sostenibilità delle politiche dei due governi, decisi ad affermare la propria presenza nelle rispettive aree di influenza. La fattibilità politica dei progetti futuri dipenderà molto dalla reciproca affidabilità in termini economici e finanziari, nonché militari, con Mosca ha già insinuato i suoi armamenti nella NATO, vendendo gli S-400 ad Ankara. Erdogan, tuttavia, tentando di ritagliarsi un crescente ruolo da protagonista nello scenario internazionale, non sembra avere i mezzi per far seguito alla sua propaganda su Siria, Libia, Cipro e Mediterraneo orientale, e tra le recenti svalutazioni della lira turca, qualche sconfitta elettorale e promesse non mantenute, la resilienza del passato sembra sempre più a rischio.