Mosca e Ankara cooperano e rivaleggiano anche nelle repubbliche centroasiatiche, dove però inizia ad affacciarsi anche un terzo incomodo, la Cina.
Negli ultimi dieci anni le relazioni tra Russia e Turchia hanno rappresentato un caso intrigante dal punto di vista geopolitico e non, tra cooperazione e tensioni – queste ultime culminate in casi eclatanti come l’abbattimento da parte turca di un bombardiere russo SU-24 nel 2015. Ma osservare tali rapporti solo nei contesti geopolitici più controversi e popolari potrebbe impedire di cogliere le sfumature – o forse addirittura la vera natura – di un simile incontro/scontro. In tal senso, l’Asia Centrale rappresenta l’arena più interessante dove le due potenze vedono un’altra volta i loro interessi intersecarsi e contrapporsi. Proprio qui infatti le retoriche di Russia e Turchia devono dimostrarsi sufficientemente solide da riuscire a conquistare gli “-Stan” post-sovietici.
Nel XIII secolo le orde mongole si espandevano a macchia d’olio tra le vaste distese del continente eurasiatico, conquistando e stabilendosi negli attuali territori dell’Asia centrale, e giungendo fino alle rive del Mediterraneo turco. Circa ottocento anni dopo la Turchia, affidandosi quasi ad un ideale filo di Arianna, ripercorre la rotta a ritroso, tentando di consolidare i rapporti culturali, politici ed economici con quelli che ormai sono Stati sovrani. Ma riallacciare i rapporti sulle note di una comune origine non si sta rivelando una scelta fruttuosa, dal momento che la Russia può vantare un passato ben più vivido nella memoria di questi Paesi. Mosca parte quindi con un’influenza geopolitica decisamente più rilevante della Turchia.
È necessario tenere a mente che comunque, stando alle dichiarazioni ufficiali dei rispettivi governi, in questo complicato gioco di equilibri Russia e Turchia non sono in opposizione l’una all’altra. Per questo motivo la sfida assume toni più distesi, e per riuscire a carpire il livello di vantaggio di Russia o Turchia nella regione è necessario osservare le rispettive relazioni bilaterali con i singoli Stati dell’Asia Centrale, le cui strategie sono estremamente fluide e non sembrano favorire mai completamente né l’una né l’altra potenza.
La regione centroasiatica è caratterizzata da fragili equilibri che assicurano le relazioni tra le singole potenze locali e interlocutori esterni, e più volte nella storia è stato dimostrato come solo chi non manifesta apertamente la volontà di voler minare questo equilibrio riesce in qualche modo ad inserirsi stabilmente in questo confuso concerto di Stati. Russia e Turchia sembrano esserne consapevoli e giocano la loro partita compensando le carenze dell’altra quando possibile.
Ed è in quest’ottica della “compensazione” che si possono interpretare i rapporti nelle varie sfere di cooperazione che Russia e Turchia intrattengono con i Paesi dell’Asia centrale.
Come anticipato, la Russia parte avvantaggiata in moltissimi settori, tra cui quello economico e quello energetico. È noto come Mosca sia riuscita a mantenere un rapporto con il Kazakistan quasi simbiotico (anche grazie alla massiccia percentuale russa nella popolazione del Paese); relazione che nessuna delle due controparti ha finora ufficialmente deciso di ridurre. I rapporti con il Turkmenistan, dopo essere stati congelati per tre anni (il Paese infatti si era rifiutato di vendere gas alla Russia, lasciando così la Cina come unico compratore), si sono sbloccati; mentre l’Uzbekistan del presidente Mirziyoyev non poteva escludere la Russia nella sua rinnovata politica d’apertura ai commerci esteri (come dimostrato dai numerosi accordi per costruire una centrale nucleare in Uzbekistan a spese russe).
Ma se la Russia occupa una posizione di maggiore rilevanza nei settori che da sempre attraggono l’attenzione della zona – economia ed energia – rimane il fatto che la Turchia più silenziosamente attecchisca a livello sociale e culturale. Ed è soprattutto nel grande escluso di sempre, il Kirghizistan, che la presenza turca cresce rigogliosa: scuole, moschee, progetti culturali e linguistici, la costruzione dell’università di Narin: il tutto interamente finanziato dalla Turchia ad uso del popolo kirghiso. Parrebbe che laddove la Russia conduca delle relazioni di carattere puramente diplomatico, piuttosto che di un vantaggio concreto, la Turchia abbia trovato la porta d’accesso alla regione centroasiatica. Ad oggi però, il Paese di Erdoğan non riesce a spingersi più in là dell’uscio, dal momento che i rapporti con i restanti Stati turcofoni non vanno espandendosi ad un ritmo rilevante. Ma alla domanda se sia effettivamente sensato per la Turchia seguitare ad investire nell’area, la risposta è sì, decisamente: la Turchia infatti è il quarto esportatore per l’Uzbekistan, e tra i primi dieci per il Kazakistan. Inoltre, i prodotti di fattura turca in questi Paesi sono generalmente ritenuti molto pregiati e in particolare abiti e cosmetici fanno concorrenza a quelli cinesi. Se a ciò si aggiunge la volontà dei Paesi della regione di trovare nuovi investimenti che vadano ben oltre il loro partner storico – la Russia – la Turchia ha tutte le chances per diventare una solida presenza commerciale in tutti i Paesi centroasiatici. Rimane aperta ovviamente la questione turkmena, che come menzionato non ha lasciato illesa nemmeno la Russia; essendo però un Paese molto peculiare per quanto riguarda le relazioni esterne, si può credere che il Turkmenistan possa non rappresentare l’ago della bilancia nella partita tra questi due Paesi.
Sebbene l’analisi dei rapporti bilaterali tra le grandi potenze e gli stati dell’Asia centrale sia un terreno che si presta più facilmente a varie speculazioni, sul piano multilaterale la questione è altrettanto interessante: in questo frangente infatti Russia e Turchia sono in parità, non riuscendo entrambe a creare un sistema che permetta agli Stati della regione di interagire in concerto e di svilupparsi in maniera fruttuosa. La Russia ha all’attivo molte più organizzazioni in confronto al solo concilio turco – SCO, CIS, CSTO per menzionarne alcune – ma quantità non significa in questo caso qualità: la leggerezza degli Stati centroasiatici dentro questi gruppi, infatti, sta dimostrando come essi stiano diventando sempre più vuoti e, per certi versi, inutili.
Possiamo dedurre quindi che sebbene la Russia sia un partner ben radicato nel territorio e che la Turchia debba guadagnarsi una fiducia che la sola affiliazione storica sembra non garantirle, la situazione rimane in stallo e nessuna delle due potenze sembra essere riuscita nell’intento – presupponendo che questo sia l’assicurarsi la fetta più grossa di progetti e mercati.
E quindi… tra i due litiganti il terzo gode? La Cina alle stucchevoli retoriche di legami passati ha preferito allettare le potenze centroasiatiche con del freddo pragmatismo economico, con buona pace di Turchia e Russia, le quali si sono accodate alla scia rivoluzionaria della Belt and Road Initiative. Va inoltre considerato il fattore regionale: Paesi con necessità e storie di sviluppo differenti portate a convivere in uno spazio così ristretto devono trovare un denominatore comune che li spinga ad interagire in un frangente di volontario dialogo reciproco, così da superare diatribe regionali che paralizzano uno sviluppo potenzialmente enorme dell’area. Ed è proprio trovando uno stimolo concreto alla collaborazione comune capace di ammortizzare i problemi regionali che Russia o Turchia potrebbero guadagnarsi un ruolo dominante in Asia Centrale. Ma questa per ora rimane solo un’ipotesi remota.