Il Nordafrica è il ventre molle del Mediterraneo. Instabile e privo di una leadership, anche esterna, che lo guidi, è oggetto di mire nemmeno troppo velate che puntano a controllarlo, o almeno a influenzarlo in modo decisivo. In palio, due ricchi premi: la spartizione del bottino energetico, principale risorsa terrestre e marittima delle sponde nordafricane, e il controllo del quadrante sud del Mediterraneo, trampolino di lancio verso l’Europa meridionale.
Di questo ventre, la Libia è notoriamente il fianco più scoperto. Entrarvi oggi è facile – soprattutto se si promette un appoggio determinante ai due maggiori contendenti del Paese, il “cirenaico” Haftar e il “tripolino” Serraj. Meno facile, come vedremo, elaborare una strategia per ristabilirvi l’ordine. O anche solo restarvi influenti.
Russia e Turchia, potenze che si percepiscono marginalizzate e che dunque agiscono da revisioniste, hanno trovato in Libia ampissimi spazi per un gioco che si fa sempre più largo e incerto.
Per Mosca, la Libia è il secondo bersaglio della sua nuova avventura mediterranea, dopo la Siria. Un traguardo di ampia portata simbolica: proprio sulla questione libica, nel 2011, aveva cominciato a incrinarsi il rapporto tra l’ex presidente Medvedev e i leader occidentali, rei di aver estromesso Gheddafi attraverso una “no-fly zone” estesa poi oltre misura. Da lì in poi, la politica russa in Medio Oriente cominciò a cambiare, con gli effetti che si sono ben visti in Siria. Ma al di là dei simboli, a contare per Mosca sono i fatti. Ovvero il potenziale energetico libico (parlando solo di petrolio, si stima che abbia il 38% del totale delle riserve africane) e la possibilità dell’apertura di una seconda base navale nel Mediterraneo, nella Cirenaica oggi controllata da Haftar. Con una sua partecipazione attiva alla disputa libica, la Russia può inserirsi nei delicati equilibri energetici che in ultima istanza governano la sua stessa economia da esportazione. E può naturalmente dimostrare che il suo interessamento al Mediterraneo non è un incidente della storia.
La Libia ha un importante significato anche per la Turchia. Dopo averla persa poco più di un secolo fa, per mano degli italiani, i turchi hanno sempre osservato con una certa attenzione gli eventi nella sponda sud. L’affiliazione di Serraj (o meglio, di alcune milizie che lo sostengono) alla Fratellanza Musulmana ha rappresentato un forte richiamo per l’islam politico di Erdoğan e del suo AKP. O meglio, l’alibi perfetto per intervenire: anche ad Ankara la geopolitica finisce per prevalere sull’ideologia, e il supporto al leader tripolino dato da tutti per perdente origina da ben altre valutazioni. Gli accordi di fine dicembre per la delimitazione delle Zone Economiche Esclusive, stipulati tra Erdoğan e Serraj tra vive proteste internazionali (in primis della Grecia, che ha espulso l’ambasciatore libico), hanno permesso ad Ankara di avvicinarsi a due obiettivi. In primo luogo quello di tagliare le gambe al gasdotto EastMed tra Israele, Cipro, Grecia e Italia, minaccia strategica che i turchi non possono permettersi. In secondo luogo, la possibilità di “riprendere il mare” dopo almeno un secolo di esclusione imposta. Non solo Creta e Cipro, ma persino la piccola isola greca di Kastellorizo (l’ex italiana Castelrosso), situata a meno di tre chilometri (!) dalle sponde turche sul Mediterraneo, impedisce ad Ankara di proiettarsi come vorrebbe verso il largo, almeno in termini di demarcazione dei confini marittimi.
Con una sua partecipazione attiva alla disputa libica, la Russia può inserirsi nei delicati equilibri energetici che in ultima istanza governano la sua stessa economia da esportazione. E può naturalmente dimostrare che il suo interessamento al Mediterraneo non è un incidente della storia.
La Libia dunque per Mosca e Ankara è un’insperata sponda di penetrazione, ben più a ovest di quanto in tempi normali avrebbero potuto desiderare. Un’opportunità colta però tardivamente, almeno dai turchi, che rischiano di perdere il proprio “uomo”, Serraj, proprio nel momento di maggior esposizione. Più accorti i russi, presenti ormai da anni in Libia con un discreto contingente delle milizie mercenarie Wagner (in supporto di Haftar), e al tempo stesso vestiti da diplomatici per non perdere gli essenziali contatti con la fazione tripolina di Serraj. Anch’essi, tuttavia, rischiano grosso. Haftar non si è legato mani e piedi a Mosca, ma gioca ancora su più tavoli, da Parigi ad Abu Dhabi. Distinguendosi in ciò nettamente dall’altro protetto dei russi, il presidente siriano Assad.
Più volte citata come una nuova Siria, la Libia in realtà fa storia a sé. Anche nel tentativo di riproporre lo schema russo-turco. La conferenza di Mosca, affrettata prova di dialogo che voleva sancire il successo dell’iniziativa diplomatica russa, si è rivelata un flop non solo per il “gran rifiuto” di Haftar di firmare l’accordo, ma anche per l’incessante opera di logoramento dei turchi. Alle loro spalle, poi, altre diplomazie erano già al lavoro per rimpiazzare – almeno a livello d’immagine – il breve predominio di Mosca e Ankara sulla scena. Niente a che vedere con la “comoda” spartizione del Vicino Oriente.
Russia e Turchia sono state abili a riempire in poche settimane, tra dicembre e gennaio, i vuoti lasciati incautamente dagli altri (Italia e Francia in primis): Mosca, soprattutto, è ormai specialista nella disciplina. Tuttavia, il non aver investito a tempo e in misura debita sugli attori libici (né russi né turchi hanno voluto – o potuto – inserire l’ex colonia italiana tra le priorità della propria politica estera) sta già presentando il conto.
La conferenza di Berlino non ha raggiunto grandi risultati, ma ha riaperto un teatro dove non è facile stabilire chi sono i burattini e chi i burattinai. Almeno in quella Cirenaica su cui quasi tutti sembrano puntare e che invece, fino ad ora, ha ridimensionato le aspettative sulla propria forza. Per russi e turchi, la sfida sarà quella di non perdere troppo terreno dopo essersi esposte massicciamente e tardivamente. Pena la perdita di quel prestigio acquisito su tutti gli altri tavoli diplomatici.