Divisi sulle ricette economiche e sociali da portare alla Casa Bianca, gli oppositori di Trump ritrovano un’insolita unità in politica estera. Specie quando si parla di Mosca.
Con questo articolo diamo il via a una serie di approfondimenti svolti in collaborazione con il progetto Elezioni Usa 2020. Intento comune, quello di capire se e come le prossime elezioni statunitensi di novembre cambieranno i rapporti tra Mosca e Washington.
Nonostante il lento e apparente declino della loro influenza, in un contesto globale di multipolarismo sempre più accentuato, gli Stati Uniti mantengono la guida del nostro pianeta. Ed è inutile negare che buona parte di ciò che vi avviene passi, per un verso o per un altro, dall’inquilino del 1600 Pennsylvania Avenue.
Ragion per cui, sebbene per gli elettori americani la politica estera non sia di primario interesse nella propria scelta di voto per le presidenziali del 2020, è utile avere un’idea di cosa implicherà per il mondo un presidente piuttosto che un altro.
E occupandoci di politica estera degli Stati Uniti non si può prescindere dal parlare di Russia. In questa sede andremo ad esaminare cosa pensano i principali candidati democratici dei grandi temi internazionali che coinvolgono Mosca e Washington. A Trump, presidente in carica e avversario dei Dem, dedicheremo un capitolo a sé.
Quattro temi per quattro candidati: questa è la formula che abbiamo scelto per riportare, in sintesi, le posizioni Dem nei confronti dell’eterno rivale eurasiatico. Infatti, oltre a selezionare i candidati alla presidenza con maggiori chance di investitura (Buttigieg, Sanders, Warren e Biden), abbiamo vagliato alcune questioni ricorrenti nel dibattito politico statunitense. Escludendo il grande tema del Russiagate e delle influenze russe (che affronteremo separatamente) e tenendo naturalmente conto del fatto che la politica estera non rientra tra le priorità di questa campagna elettorale.
- 1. LA POLITICA INTERNA DELLA RUSSIA
Su Putin e il sistema politico russo è unanime e senz’appello il giudizio negativo: un regime autoritario, ostile verso le norme e i principi democratici.
PETE BUTTIGIEG ha avuto parole poco gentili per il Paese guidato da Vladimir Putin, considerato un modello di Stato “che flette i muscoli”, “egoista, dirompente e conflittuale” sullo scenario internazionale, con problemi interni di nazionalismo, xenofobia, omofobia e repressione della stampa. Dal punto di vista economico, l’ex sindaco di South Bend considera la Russia la dimostrazione di come il capitalismo, se non abbinato alla democrazia, porti inevitabilmente all’oligarchia.
BERNIE SANDERS vede nella Russia un nemico della stampa libera, un Paese intollerante verso le minoranze etniche e religiose, che cerca di favorire gli interessi finanziari di Putin e della sua cerchia di oligarchi. Pure per ELIZABETH WARREN la libertà di parola, in Russia, è minacciata, anche a causa di intrecci tra il governo e le corporazioni statali opportunamente controllate da oligarchi amici.
Non la pensa diversamente JOE BIDEN, che ritiene le elezioni russe al giorno d’oggi poco più che spettacoli coreografici, né liberi né equi. L’ex vicepresidente ha dichiarato che il sistema economico russo si basa su potenti mecenati che possono proteggere un imprenditore o un’azienda dalle incursioni di grandi concorrenti, o di funzionari delle imposte troppo zelanti. Secondo Biden si sarebbe così instaurato, all’interno del Paese,un sistema piramidale, con uno scambio di tangenti e bustarelle in cambio di protezione; a livello internazionale invece prevarrebbe un meccanismo di manipolazione dei mercati e utilizzo di accordi energetici per esercitare influenza su leader politici e imprenditoriali europei.
- 2. LA CRIMEA
Per tutti i candidati Dem, la Russia dovrà essere considerata come un nemico se continuerà a mantenere la sua posizione nei confronti dell’Ucraina e della Crimea. Un atteggiamento ritenuto un attacco ai principi e alle regole concordate dell’ordine europeo.
Per BIDEN il mantenimento delle sanzioni imposte da Stati Uniti e UE in risposta all’aggressione dell’Ucraina è stato importante non solo per spingere Mosca a risolvere il conflitto a breve termine, ma anche per segnalare al Cremlino che i costi di tale comportamento finiranno per superare i benefici percepiti.
Per BUTTIGIEG l’unica risposta possibile all’aggressione russa è quella di mantenere le sanzioni economiche e finanziarie imposte al Paese, finché esso continuerà ad attaccare il territorio e i cittadini ucraini e ad occupare illegalmente il territorio ucraino in Crimea. Inoltre il giovane candidato ha dichiarato che, in caso di vittoria, favorirà la realizzazione di un quadro di sicurezza regionale che promuova la stabilità per l’Europa orientale ed incentivi la Russia ad aderire alle norme internazionali.
Degno di nota infine il fatto che BIDEN, SANDERS e WARREN concordino sulla necessità di restituzione della Crimea all’Ucraina come condizione per la riammissione della Russia al G7. BUTTIGIEG invece, di fronte a tale domanda (posta direttamente dal New York Times), ha preferito non rispondere.
Su Putin e il sistema politico russo è unanime e senz’appello il giudizio negativo: un regime autoritario, ostile verso le norme e i principi democratici.
Cupcake Ipsum, 2015
- 3. ARMI NUCLEARI (ED IRAN)
Anche in questo caso i candidati hanno trovato una certa concordia: nello specifico nel valutare negativamente la decisione di Trump di uscire dall’accordo con l’Iran (tutti promettono di aderire nuovamente all’accordo in caso di propria elezione) e nel credere che bisogna mantenere le intese tattiche con Mosca.
PETE BUTTIGIEG ha mostrato, durante la campagna, di essere preoccupato sia dell’arsenale nucleare iraniano che di una possibile minaccia nucleare russa, e di ritenere la vicinanza di Trump con Mosca niente affatto rassicurante da questo punto di vista. Considererà comunque l’accordo con Teheran un punto di partenza e non di arrivo, nei rapporti con il Paese mediorientale.
BERNIE SANDERS si è dimostrato categorico in tale ambito, sottolineando la necessità di essere vigorosi nell’imporre limiti a tutti i Paesi dotati di armi nucleari, e ritenendo quindi fondamentale sia l’accordo con l’Iran che il New START con la Russia. Sia il Senatore del Vermont che ELIZABETH WARREN ritengono inoltre preoccupante la decisione di Trump di espandere le condizioni in cui gli Stati Uniti potrebbero utilizzare le loro armi atomiche, anche in risposta ad una più ampia gamma di attacchi non nucleari.
Per JOE BIDEN gli Stati Uniti non potranno rimanere una voce credibile se abbandonano gli accordi negoziati. Secondo l’ex vicepresidente, infatti, la politica di Trump avrebbe reso più probabile la proliferazione atomica, una nuova corsa agli armamenti nucleari e persino il loro uso. Biden promette, se eletto, di rinnovare l’impegno per il controllo degli armamenti e perseguire un’estensione del trattato New START, un’ancora di stabilità strategica tra Stati Uniti e Russia. A tal proposito Biden sottolinea che è proprio per la non fiducia verso gli avversari che sono indispensabili, per la sicurezza degli Stati Uniti, i trattati che tendono a limitare la capacità umana di distruzione.
- 4. I RAPPORTI CON LA NATO
L’importanza sostanziale e strategica della NATO è un punto comune a tutti i candidati, soprattutto in considerazione della percepita minaccia russa.
Nell’opinione di BIDEN, in particolare, la NATO è la più efficace alleanza politico-militare della storia moderna, ed è proprio per questa sua rilevanza storica e politica che il Cremlino la teme e ne vorrebbe la dissoluzione.
Altro caposaldo dei Democratici è la garanzia di aiuto statunitense verso i Paesi aderenti alla NATO in caso di attacco, a prescindere dall’adempimento da parte di questi ultimi ai contributi economici dovuti per la difesa comune. Concordano tutti, infatti, nell’affermare che la NATO non è un “racket di protezione” o un sistema “pay-to-play”, ma un’alleanza basata su impegno comune e valori condivisi. Le opinioni divergono invece quando si parla della soglia del 2% del PIL richiesta per le spese militari di ciascun Paese aderente all’organizzazione.
SANDERS, nel merito, è il più netto: non ritiene che il contributo economico debba essere aumentato oltre la soglia attuale in nessuna circostanza.
Per BIDEN è importante che tutti i Paesi si uniformino ai target entro il 2024, mentre per la WARREN tale soglia deve essere calibrata sulla base delle necessità (può quindi nel tempo essere ridotta o aumentata). La senatrice del Massachusetts, nel valutare i rapporti con i Paesi del continente europeo, ha anche aggiunto che riconosce comunque un grande valore agli altri vari e significativi modi in cui gli Stati europei contribuiscono alla sicurezza globale: dispiegare truppe in missioni condivise, ricevere rifugiati e fornire assistenza allo sviluppo ad alcuni dei più alti tassi pro capite al mondo.
Non ha fornito dichiarazioni in merito invece BUTTIGIEG, più silenzioso degli altri candidati, fino ad ora, sui temi di politica internazionale.
Giulia Narisano, collaboratrice di Elezioni Usa 2020