Incastonato tra le rigide vette dell’Asia centrale, il Tagikistan è la più povera delle repubbliche post-sovietiche della regione. Indicatori economici e sociali tracciano un ritratto impietoso di una situazione estremamente complicata, di uno Stato che sin dalla sua nascita ha dovuto fare i conti con estremismi ed instabilità interne ed esterne. La reazione delle istituzioni è sempre stata, e continua ed essere, una sola: la repressione incondizionata.
Il nostro Marco Limburgo, che ha già parlato del contesto tagiko in questi due articoli (Link 1 – Link 2), ha intervistato un attivista tagiko per i diritti umani, parlando della precaria condizione politica e sociale della piccola repubblica centroasiatica.
Muhamadjon Kabirov è tagiko ma non torna nel suo paese natale dal 2015. Vive in Polonia dove nel 2014 ha fondato l’ONG “Eurasian Dialogue” per promuovere la democrazia, i diritti umani, la libertà dei media in Asia Centrale. Sempre in Polonia collabora con la stazione televisiva indipendente “Central Asian TV“, già di base a Mosca e poi trasferita in Europa. Ha anche lavorato con “Freedom Now” sul caso dei prigionieri politici da sottoporre al Comitato delle Nazioni Unite per i diritti umani, ha partecipato a diverse sessioni del Comitato delle Nazioni Unite per i diritti umani. Nella breve chiacchierata che ho potuto avere con l’attivista abbiamo affrontato le caratteristiche repressive dell’attuale governo in carica a Dušanbe, le implicazioni per la libertà di stampa e l’incolumità degli attivisti politici e delle loro famiglie, così come le attuali limitazioni per l’opposizione politica in un paese a partito unico e la preoccupante questione del radicalismo di matrice islamista.
La comunità dei dissidenti tagiki in Polonia e in Europa in generale è molto grande?
Qual è la tua esperienza personale?
Dopo il giro di vite contro il partito di opposizione “Partito della Rinascita Islamica (IRPT)” nel settembre 2015 e il conseguente imprigionamento di centinaia di attivisti, l’esodio di massa dei dissidenti tagiko ha avuto inizio nei paesi europei nel timore di persecuzioni o arrestati nel paese centroasiatico. La Comunità dei dissidenti tagiki in Polonia e in Europa è la più grande tra le comunità dell’Asia centrale in esilio. I dissidenti tagiki in Europa sono molto attivi, organizzando campagne per i diritti umani ed eventi per sensibilizzare la società europea sulla situazione dei diritti in Tagikistan. Per quanto riguarda la mia esperienza personale, negli ultimi cinque anni ho lavorato alla campagna per i diritti umani, sostenendo i rifugiati tagiki in Polonia e promuovendo la libertà di parola e nei media. Dal 2015 partecipo ogni anno alla riunione sull’attuazione della dimensione umana (HDIM) dell’OSCE a Varsavia, riportando le violazioni dei diritti umani, le torture nelle carceri e nei centri di detenzione e la persecuzione di parenti dell’opposizione in Tagikistan.
Ho letto che per il suo impegno politico tuo padre Safar è stato ripetutamente perseguitato in Tagikistan?
Puoi raccontare cos’è successo?
La mia famiglia non è l’unica che le autorità tagike hanno preso di mira in risposta all’impegno di figli e parenti. Tutti i parenti dei dissidenti tagiki hanno subito la pressione e le vessazioni delle forze di sicurezza del regime di Emomali Rahmon. Il mio defunto nonno è morto il 23 ottobre 2016 all’età di 94 anni agli arresti domiciliari. Nel settembre 2017 mio padre Safar è stato messo in custodia per tre giorni, in risposta alla mia partecipazione alla conferenza OSCE sui diritti umani a Varsavia. Dopo aver confiscato i suoi beni, mio padre è stato sottoposto a vessazioni senza poter comunicare con la famiglia. Dopo aver parlato pubblicamente alla conferenza dell’OSCE e dopo i miei discorsi all’OSCE con il loro ausilio sono riuscito a ottenere la sua liberazione, ma non il suo espatrio.
Nel 2015, il governo del Tagikistan ha sciolto e bandito il Partito della Rinascita Islamica con il pretesto di presunti legami tra questo e i terroristi dello “Stato islamico”.
Qual è la situazione attuale del partito e, in generale, dell’opposizione in Tagikistan?
Esiste un’opposizione politica o all’interno della società civile?
Prima di tutto vorrei fare una precisazione. Le accuse contro l’IRPT non erano esplicitamente legate all’ISIS, in quanto le autorità tagike incolpavano il partito di aver partecipato attivamente al cosiddetto “colpo di stato militare” organizzato dal viceministro della difesa generale Abduhalim Nazarzoda. Il consiglio politico del partito, dopo il cosiddetto golpe, ha rilasciato una dichiarazione e condannato l’iniziativa del generale Nazarzoda.
Dopo essere diventato un fuggitivo, il generale Nazarzoda è stato eliminato dalle forze di sicurezza il 15 settembre 2015 e la leadership dell’IRPT è stata arrestata il giorno successivo. Il partito è stato sciolto dal tribunale il 29 settembre, le autorità tagike hanno arrestato la leadership del partito e condannando dirigenti e parlamentari a 15 anni di carcere.
Attualmente l’IRPT è attivo solo nel suo esilio in Europa. Organizza incontri, conferenze online e campagne per i diritti umani per la libertà dei prigionieri politici. Più di 100 dirigenti del partito rimangono in prigione, tra cui 2 vice-segretari Sayidumar Husaini e Makhmadali Hayit, entrambi condannati all’ergastolo. Attualmente non esiste un opposizione reale in Tagikistan, solo un partito socialdemocratico. In tale sistema dittatoriale, il partito politico indipendente o un movimento di qualunque tipo non avrebbe alcuna possibilità di sopravvivere o di ottenere seggi in parlamento. Non ci sono elezioni in Tagikistan, ci sono delle selezioni.
Nel maggio 2019 in una prigione di Vakhdat, ad ovest del paese, diverse decine di detenuti sono morti dopo una rivolta e la successiva reazione delle forze di sicurezza.
Il governo tagiko ha offerto diversi punti di vista. In primo luogo accusò l’IRPT, poi l’ISIS e ancora criminali comuni.
Cos’è successo veramente?
Il sistema carcerario del Tagikistan è uno dei peggiori tra i paesi post-sovietici e al mondo e le organizzazione internazionali non hanno accesso da decenni. Nessun funzionario del Ministero della giustizia è stato condannato per le carenze che hanno causato la morte dei prigionieri. Secondo le nostre informazioni, tre membri dell’IRPT sono stati decapitati oltre a presentare segnali di torture sui loro corpi. Durante i disordini di Vakhdat, altri 26 detenuti sono stati uccisi. Non ci sono state indagini indipendenti dopo le rivolte.
Il presidente Emomali Rahmon, in carica dal 1994, ha recentemente esacerbato il carattere autoritario del suo governo.
Oltre a consolidare il suo potere, si è lanciato in una grave repressione delle pratiche islamiche (tagliare la barba, vietare l’ingresso nelle moschee ai bambini, stop ai nomi arabi, chiudere moschee o madrase, sorveglianza ecc…) con l’obiettivo di portare l’osservanza di Islam sotto l’egida del controllo statale.
È vero che queste pratiche autoritarie stanno tuttavia aggravando ulteriormente l’insoddisfazione e la radicalizzazione?
Il presidente Rahmon e la sua squadra di governo fanno parte della nomenklatura cresciuta sotto il regime sovietico e sono stati istruiti durante il comunismo. Oggi Emomali Rahmon, intenzionato a controllare ogni attività socioculturale in grado di danneggiare il suo potere, non solo controlla l’aspetto religioso privato, ma con il governo controlla ogni aspetto della vita quotidiana dei cittadini.
Ad esempio: al momento della nascita di un bambino il nome che avrà potrà essere scelto da una lista prestabilita (obiettivo quello di evitare nomi eccessivamente legati all’eredità culturale islamica)[1]; quando si vuole festeggiare una ricorrenza è permesso invitare solo un ristretto numero di persone; i minorenni non hanno il diritto di frequentare la moschea o di essere educati alla religione in casa. Oppure quando si desidera scegliere una sposa, è necessario un permesso statale che avvalli la cerimonia e che contiene specifiche sul numero di invitati e alimenti da servire. Rahmon, che ama presentarsi come padre della patria e leader della Nazione, ha cambiato costituzione, detiene un’ampia immunità giudiziaria, oltre alla possibilità di essere presidente per tutta la vita.
[1] Nota dell’autore dell’intervista
Parliamo di prospettive.
Con la maggioranza dell’opposizione al di fuori dei giochi, il relativo silenzio delle organizzazioni internazionali e dell’Occidente, il governo Rahmon sembra destinato a rimanere al potere, mentre si parla addirittura di una continuità dinastica, con la possibile ascesa di Rustam Emomali, attualmente sindaco della capitale.
Quali sono le prospettive per il paese?
Le prospettive del Tagikistan non sono chiare. Esiste la possibilità che, alla morte del dittatore, il paese si precipiti nel caos, come successo in Iraq, Libia e Yemen. La repressione della dittatura Rahmon ha fortemente inibito lo sviluppo e la maturità di una possibile opposizione politica e dell’opinione pubblica e le differenze sociali ed etniche presenti nel paese fanno subodorare la possibilità di dell’insorgere di caos e conflitti.
Esiste il forte rischio che il Tagikistan dopo Rahmon cada in preda a rivalità claniche regionali, perché Rustam non dispone della stessa struttura clientelare e abilità del padre, dovendo convivere con le criticità lasciate in eredità da questo.
La comunità internazionale deve incrementare la sua pressione sul Tagikistan affinché rispetti i suoi impegni e obblighi internazionali come la liberazione di tutti i prigionieri politici, un miglioramento dello status dei diritti umani e la creazione di un credibile stato di diritto. Sfortunatamente, la comunità internazionale continua a ignorare il Tagikistan o persino a finanziare il regime Rahmon e conseguentemente questo sta stringendo la sua morsa autoritaria, incrementando la corruzione, arricchendo la sua persona e la cerchia familiare e clanica.
Non c’è fiume o mare tra il Tagikistan e l’Europa, ma se l’Europa continuerà a sostenere i dittatori, un giorno un’ondata di rifugiati sarà alle porte dell’UE ed è molto economico e facile per i cittadini del Tagikistan raggiungerne i confini.