Nella tempesta perfetta di Covid-19 e shock petrolifero, la Russia si interroga sul proprio futuro. Tra transizione e continuità, la tentazione (costituzionale) di un Putin-tris diventa molto più di una suggestione…
Recita un proverbio russo che “la legge è come il timone, va dove la giri“. E di giri, l’ordinamento costituzionale russo, si prepara a compiere più di uno nel prossimo referendum primaverile, nel quale i russi saranno chiamati – Covid-19 permettendo – ad approvare le riforme costituzionali delineate da Vladimir Putin all’inizio dell’anno dinanzi all’Assemblea Federale. Queste includono i più svariati ambiti: dal conferimento di maggiori competenze alla Duma di Stato nell’ambito della nomina del Governo federale (sottratte, queste, alla Presidenza), alla costituzionalizzazione del Consiglio di Stato, passando per il ribadimento della supremazia sovrana della Costituzione russa sul diritto internazionale.
Nel solenne discorso presidenziale sullo “stato della Federazione”, che annualmente l’inquilino del Gran Palazzo del Cremlino tiene al gotha della classe dirigente politico-amministrativo-religiosa russa, è stato anche un altro aspetto a colpire l’attenzione degli osservatori. Non solo le relativamente prevedibili dimissioni del Capo del Governo Dmitrij Medvedev, ma anche quanto affermato da Putin relativamente alla disciplina dei mandati presidenziali. Laddove in molti, soprattutto in Europa occidentale ed America settentrionale, erano pronti a scommettere che le riforme costituzionali fossero nient’altro che una più o meno disperata mossa del Cremlino putiniano di mantenere la presa sul potere a mo’ di dittatore latino-americano, il Presidente aveva spiazzato un po’ tutti nel dirsi favorevole a limitare a due mandati (anche non consecutivi) il termine massimo della carica presidenziale. Ciò significava, in sostanza, affermare l’incandidabilità assoluta di sé stesso per un terzo mandato (oltre a rendere impossibile pro futuro staffette come quelle Putin-Medvedev-Putin del 2008-2012). Evidentemente, un segnale forte ed ambivalente in vista della scadenza naturale del mandato presidenziale, fissata nel 2024 – che ha alimentato le voci sul prossimo abitante di quella che fu la residenza moscovita dei monarchi russi fino alla Rivoluzione leninista.
Tutto ciò prima che arrivasse una manna dal cielo – in senso relativamente letterale. Difatti, l’ex cosmonauta (e prima donna a viaggiare nello spazio in solitaria) ed oggi deputata di “Russia Unita”, Valentina Tereškova, ha proposto un emendamento ad personam per “resettare” i mandati presidenziali di Putin. Beninteso, l’emendamento presentato dall’ingegnere non cambia la forma: un Presidente federale non potrà essere eletto per più di due volte, anche non consecutive. Ciò che cambia, però, è la sostanza, poiché viene praticamente sancito che l’emendamento avrà efficacia ex nunc, e quindi non prenderà in considerazione tutto ciò che è pregresso. In soldoni: a Putin sarà concesso, come a chiunque altro, di concorrere alla presidenza per (altri) due mandati – nonostante il testo costituzionale attuale (che pure prevede la più liberale previsione per cui si vietano più di due mandati “consecutivi”) non glielo consenta.
L’emendamento è passato quasi all’unanimità nella Camera bassa russa, e lo stesso Putin ha sbrigato con evasività la questione nel suo discorso alla Duma del 10 marzo, affermando che ciò sia ragionevole “solo nell’ambito di elezioni aperte e competitive” e “se i cittadini appoggeranno tale emendamento“, ma soprattutto “se la Corte Costituzionale arriverà alla conclusione ufficiale che un tale emendamento non contraddica i principi e le disposizioni di base della Costituzione“. Dal canto suo, la Corte pietroburghese ha inappellabilmente dato luce verde all’intero pacchetto riformatore il 16 marzo – dopo la firma presidenziale del disegno di legge costituzionale, avvenuta lo scorso 14 marzo.
Di significativa importanza, nel già menzionato discorso di Putin alla Duma del 10 marzo, è stato anche il passaggio finale. Durante quest’ultimo, il Presidente Putin ha ringraziato i deputati federali ed al contempo si è rivolto al popolo russo: dopo un generico ringraziamento per il loro sostegno negli anni, Putin è parso voler tracciare un bilancio anticipato del suo ventennio presidenziale: “Nonostante tutto, siamo riusciti a fare molto per rafforzare il Paese. Sono sicuro che assieme faremo molto di più, almeno fino al 2024, e poi si vedrà“.
Il futuro politico della Russia è tutto concentrato in quelle quattro parole finali. “E poi si vedrà“, nella sua laconica vaghezza, non lascia trasparire quali saranno le decisioni presidenziali in merito ad una possibile ricandidatura. Inizialmente, lo stesso Putin aveva smentito categoricamente che le riforme costituzionali fossero un mezzo per rimanere seduto sullo scranno più alto, ma già nei giorni scorsi si è registrato una inversione ad “u”. Secondo il portavoce presidenziale Dmitrij Peskov, il Capo di Stato avrebbe acconsentito al cambio di marcia sui mandati presidenziali in ragione di una non meglio precisata “instabilità globale”.
Secondo il centro sondaggistico Levada, il 57% sarebbe pronto a rieleggere Putin in caso di ricandidatura. Forse nessuno più di Vjačeslav Volodin – presidente della Duma – sintetizza il sentiment generale: “Oggi, con tutte le sfide e le minacce globali, non sono né il petrolio né il gas a darci un vantaggio. Come evidente, i prezzi del petrolio e del gas possono calare. È Putin a darci il vantaggio, e dobbiamo proteggerlo“. Casualmente o meno, il cambio di passo è coinciso proprio con un epocale crollo del prezzo del petrolio sui mercati internazionali, cagionato dallo scontro tra russi e sauditi sulla produzione. Un campanello d’allarme assai rumoroso per un Paese – la Russia – cui non può certo far piacere una fase prolungata di petrolio “economico”, scambiato addirittura sotto i 30 dollari a barile (all’inizio dell’anno, il benchmark Brent viaggiava sui 70 dollari, e quello WTI sopra i 60 – contro i 24 attuali). Così come, ça va sans dire, non se lo può permettere nel medio-lungo termine l’Arabia Saudita – che, al contrario della Russia, non può nemmeno compensare con l’export di gas naturale.
Mala tempora currunt. E forse proprio in previsione di “mari tempestosi” prolungati, la classe dirigente russa sente l’esigenza di un “ammiraglio” levigato quale Putin. Verosimilmente lo stesso Putin ha accettato l’emendamento in quanto ciò gli riserva la possibilità – che non è affatto scontato eserciterà – di rimettersi in gioco qualora le condizioni lo richiederanno. Con l’incognita, però, dell’età (il 67enne Putin potrebbe lasciare il Cremlino alla veneranda età di 83 anni) e, soprattutto, di una transizione perennemente rimandata a data da destinarsi.