I problemi demografici della Russia si amplificano nelle sue regioni più orientali, anche per la crescente influenza cinese. I piani di Putin per contrastare la tendenza.
A cavallo tra Europa e Asia, con un’estensione territoriale equivalente a quella di un continente, pari a più di 16 milioni di km², e una popolazione di 147 milioni di abitanti, la Federazione Russa si trova a fronteggiare un’endogena e costante preoccupazione: la riduzione della propria densità demografica.
Il Paese infatti, pur essendo indiscutibilmente ricco di risorse energetiche e minerarie, scarseggia di risorse umane. Ma l’impatto che la questione demografica può avere nella Russia occidentale e in quella orientale è diverso perché diverse sono le rispettive caratteristiche geografiche ed economiche. La parte occidentale, che corrisponde al 23% del territorio, è infatti quella dove risiedono i grandi centri urbani, economici e politici ed è densamente popolata. Le regioni che invece si sviluppano al di là dei monti Urali ed arrivano fino a Vladivostok sul Pacifico, caratterizzate da una rigidità climatica sfavorevole agli insediamenti umani, ma ricche di ferro, rame, diamanti e soprattutto di grandi giacimenti di gas e petrolio, sono molto meno popolate ma rappresentano il 77% del territorio. Questo rende la regione fortemente appetibile da parte di un vicino ‘affamato’ di terre per i propri interessi economici: la Cina.
Il timore principale del Cremlino oggi riguarda, infatti, la perdita della forza lavoro del Paese: l’età media dei lavoratori si eleva sempre più e le problematiche economiche continuano a far abbassare il tasso di natalità. Ciò che aiuterebbe a marginalizzare, seppur a fatica, l’invecchiamento e lo spopolamento del Paese sarebbero politiche atte a tramutare l’immigrazione da problema a risorsa per il Paese, al fine di invertire la preoccupante tendenza della popolazione a ridursi. E questo è, di fronte alle altre potenze, un grande segno di debolezza.
Sebbene ancora oggi vi sia chi preferisce non parlare di vera e propria ‘crisi demografica’, i timori legati ad un crollo della popolazione hanno connotato la Federazione Russa fin dalla sua nascita. La dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991 e la successiva nascita di 14 Stati sovrani, del tutto indipendenti dal governo di Mosca, hanno causato un importante calo demografico: l’Unione Sovietica contava circa 290 milioni di abitanti, di cui la Federazione ne ha persi ben oltre 100 milioni.
Nei primi anni Novanta, in realtà, il livello demografico si è mantenuto sostanzialmente invariato grazie all’immigrazione di piccole comunità russe ed immigrati lavoratori provenienti dagli ex Stati sovietici. Ma quando tale immigrazione ha cominciato a calare, si è passati dai 148 milioni di abitanti nel 1993 ai circa 142 milioni nel 2007, per poi risalire leggermente e arrivare infine ai quasi 146 milioni attuali.
Come è emerso dalle conclusioni del Gaidar Forum tenutosi lo scorso gennaio, la Russia avrà pochi anni per attivare politiche demografiche ed evitare di vedere la propria popolazione ridursi nuovamente e scendere a 141 milioni nel 2025, e 137 milioni nel 2050.
Nonostante questi dati, Mosca attualmente trema al solo sentire la parola ‘immigrazione’, soprattutto se questa ha tratti somatici orientali, occhi a mandorla e parla mandarino. Preferisce, piuttosto, promuovere politiche mirate ad incentivare la produttività dei lavoratori o, addirittura, favorire nuovamente l’accesso al mondo del lavoro per le persone anziane. D’altronde il 30% dei russi considera l’immigrazione e l’ingresso di lavoratori non russi, ancor più se cinesi, una minaccia alla sicurezza del Paese, molto più del terrorismo o delle catastrofi ambientali.
All’obiettivo di evitare il crollo demografico, si aggiunge la necessità di garantirsi che la Cina rimanga il cliente più solido sul mercato energetico.
Cupcake Ipsum, 2015
Tuttavia quello dell’immigrazione è un fenomeno sistemico che coinvolge diverse regioni del mondo e vede lo spostamento di migranti da aree altamente popolate ad altre meno, o dove il tasso di natalità si è decisamente abbassato negli ultimi decenni: è il caso dell’immigrazione dall’Africa settentrionale verso l’Europa e, appunto, dalla Cina verso le regioni estremo orientali della Russia. Il Distretto Federale dell’Estremo Oriente, infatti, secondo le ultime stime, è quello maggiormente interessato da una riduzione del livello demografico. Che vedrebbe da un lato la popolazione ridursi del 40% entro il 2050, e dall’altro Mosca “perdere” questa parte di territorio ad opera dei cinesi. Come fronteggia, allora, il Cremlino questa doppia minaccia?
Per il grande progetto di Putin di riconsegnare alla Russia il suo meritato posto di superpotenza, le ricche e lontane regioni dell’Estremo Oriente hanno sempre rappresentato un elemento imprescindibile, un po’ sulla scia dei suoi secolari predecessori: nell’Ottocento, al tempo degli zar, fu infatti promossa una intensa emigrazione verso quelle regioni storicamente spopolate, destinata sia per le attività estrattive che per la costruzione della ferrovia Transiberiana. In epoca staliniana, inoltre, si rivelarono aree ottimali per i gulag e il confino dei dissidenti politici.
Con Putin al Cremlino, il ripopolamento delle regioni estremo orientali è ritornato in cima all’agenda politica, anche se negli anni la sua presidenza è stata assorbita da priorità contingenti: la lotta al terrorismo, la guerra con la Georgia, la crisi economica globale del 2008 e le relazioni con l’UE e gli Stati ex sovietici.
È stato a seguito dello scoppio della crisi ucraina nel 2014, dell’annessione della Crimea nel marzo dello stesso anno e delle conseguenti sanzioni occidentali contro la Russia, che il baricentro della politica estera del Cremlino si è spostato dai vicini ma ormai strategicamente lontani partner occidentali, alla scoperta di nuovi alleati sul versante orientale. Ma come sarebbe potuto avvenire questo, senza un’inversione di marcia verso Est anche all’interno dei confini russi?
Il piano finalizzato ad attrarre gli investimenti esteri (soprattutto le potenze orientali come Cina, Giappone, Corea del Sud e India) avviato in quest’area nel 2015, e l’iniziativa dell’ettaro di terra gratuito ad ognuno dei cittadini residenti nelle regioni orientali, lanciata nel 2016, rappresentano le misure più significative. È proprio questa doppia natura della Cina, da una parte fondamentale partner economico ma dall’altra principale minaccia all’identità russa nella regione, a spingere Mosca a promuovere politiche come quella dell’ettaro. Il timore è che i cinesi possano essere i primi a ripopolare l’area, poiché oggi già si parla di circa 5 milioni di abitanti della Repubblica Popolare che potrebbero stabilirsi definitivamente nella Russia orientale. Putin ha garantito ai suoi cittadini un pezzo di terra, con l’obbligo di farlo fruttare e senza fittarlo. Ai cittadini non russi, al contrario, ha offerto la possibilità di fittarlo.
Nel 2012 è stato istituito un apposito Ministero per l’Estremo Oriente dedicato alla definizione di specifiche iniziative nella regione come piani infrastrutturali, nell’ottica di realizzare una rete di servizi che, uniti agli investimenti e al lavoro, aiuterà a ripopolare la regione.
Anche la decisione di scegliere nuovamente Vladivostok come città ospitante del Forum Economico Orientale nel settembre 2020, appuntamento che vedrà l’incontro di imprenditori provenienti da Paesi orientali quali Cina, Giappone e Corea del Sud, rientra nel piano di investimenti esteri che genererebbe lavoro e spingerebbe dunque la popolazione verso Est. Ma rappresenta anche una lama a doppio taglio: maggiori investimenti cinesi potrebbero corrispondere ad un sentimento di legittimazione ad insediarsi nella regione.
E Putin, che a gennaio ha rimarcato, durante l’Assemblea Federale, l’urgenza per il benessere del Paese di far risalire il livello demografico ponendosi come obiettivo un aumento delle nascite dell’1,7% nel 2024, attraverso una crescita degli incentivi alle famiglie, dovrà probabilmente accettare la presenza cinese nell’area estremo orientale.
Soprattutto perché, all’obiettivo di evitare di far abbassare ancor di più il livello demografico, si aggiunge la necessità di garantirsi che la Cina rimanga il cliente più solido sul mercato energetico. Qualche occhio a mandorla in più che gira tra le steppe e la taiga, sembrerebbe quindi un buon compromesso!
Cristiana Ruocco