“La storia arrotonda gli scheletri allo zero.
Mille e uno fa sempre mille”
Così scriveva la poetessa polacca Wislawa Szymborska, e guardando gli eventi salienti della storia polacca contemporanea non si può che darle credito: fu questo infatti il destino dei morti nella foresta di Katyn, ove nel 1940 l’NKVD di Stalin massacrò un numero di ufficiali e militari polacchi non inferiore a 20.000. Ventimila e più scheletri che per anni non hanno potuto avere alcun riconoscimento, dal momento che l’Unione Sovietica quando non poté più accusare i nazisti tedeschi negò strenuamente qualsivoglia coinvolgimento nella vicenda.
Con la nuova Russia – e in questo si trova uno dei pochissimi fili conduttori coerenti tra la politica di El’cin e quella di Putin – il massacro non venne solamente riconosciuto, ma anche commemorato. Ogni anno infatti nei pressi di Katyn leader russi e polacchi si dedicano a celebrazioni di rito da troppo tempo ignorate.
L’ironia del caso – se di ironia si può parlare di fronte ad un eccidio – ha voluto che nel 2010, a 70 anni esatti dai fatti di Katyn, l’aereo incaricato di condurre al luogo della commemorazione quasi tutta l’intelligencija polacca (tra cui il presidente Kaczynski) si schiantasse uccidendo tutte le persone a bordo. Per la Polonia ad una tragedia se ne sommava un’altra.
Lo schianto del TU-154 divenne terreno fertilissimo per speculazioni e teorie complottistiche di ogni sorta: furono i russi a progettarlo? L’ordinante fu il primo ministro polacco Donald Tusk che voleva liberarsi a tutti i costi dei suoi oppositori, in primis lo stesso presidente? Come per ogni grande avvenimento, dipanare questa matassa di dubbi è impossibile. Quello che invece si può fare è tentare di tracciare una linea tra quelle che erano le relazioni tra la Polonia e la Russia prima dell’incidente e la loro evoluzione a esattamente dieci anni di distanza da esso.
Tra i vecchi Paesi del blocco comunista europeo, la Polonia non è solo quello più refrattario a ricostruire una relazione con la Russia, ma paradossalmente è anche quello con il potenziale – finora dormiente – più elevato. Approfittando infatti dell’exclave di Kaliningrad, la Russia definisce la Polonia suo “vicino”, bypassando ben due Stati sovrani confinanti (Bielorussia e Ucraina) pur di poter attuare politiche di buon vicinato con Varsavia.
Questo però non significa che tra Russia e Polonia sussista una relazione idilliaca: se nel 1999 El’cin non obiettò sull’entrata della Polonia nella NATO, tale passaggio negli anni divenne sempre più un problema per la Russia preoccupata dall’avanzamento dell’Alleanza Atlantica verso i suoi confini. La Polonia ancora una volta veniva trattata da satellite, orbitante stavolta tra due pianeti, Russia ed Occidente.
Dal 1° maggio 2004, data della sua adesione, Varsavia prende molto seriamente il suo ruolo nell’Unione Europea: strenuo difensore delle politiche antirusse che limitino le relazioni con Mosca il più possibile (ad esempio, la contrarietà ad estendere il PCA), il governo polacco convince l’UE a sostenere la rivoluzione arancione in Ucraina (smacco difficile da dimenticare per la Russia). Varsavia si erge così a paladina di quella libertà guadagnata dal 1989, decisa a smettere i panni di Paese satellite per qualsivoglia parte.
Con l’ascesa di Tusk nel 2007 le tensioni con la Russia sembrano allentarsi: la sua politica di “scongelamento” verso Mosca vorrebbe appianare una competizione esistente da secoli. Ma proprio sulla scia di questa contesa Tusk incontra l’opposizione della stragrande maggioranza della classe dirigente polacca, la stessa perita nel 2010. I nobili ideali di Tusk ovviamente vedevano la necessità per la Polonia di rasserenare i rapporti con il Paese che allora – come oggi – forniva quasi il 100% del suo fabbisogno di gas e petrolio. La Polonia tentò di muoversi in maniera indipendente dall’Unione Europea per assicurarsi costi vantaggiosi e diminuire l’impatto delle rappresaglie per le quali è tristemente solita Gazprom.
Nel 2010, alla firma di un nuovo contratto capestro con il gigante russo dei combustibili fossili, si somma la reticenza della Russia a consegnare alla Polonia le scatole nere dell’incidente aereo. La crescita del sospetto verso Mosca è inevitabile. A livello puramente diplomatico i rapporti rimangono tesi ma cordiali, fino a quando nel 2014 con gli avvenimenti di piazza Maidan la Polonia si riconferma sostenitrice della libertà dei popoli dell’ex Unione Sovietica. La scaltra mossa dell’UE di mettere a capo del Consiglio Europeo Tusk vuole definitivamente allontanare un Paese così strategico dalle potenziali mire russe.
Ora a Katyn vengono celebrati due anniversari vicini nella tragicità, ma la realtà delle relazioni russo-polacche toglie quell’alone romanzesco che il caso ha imposto sull’ultima vicenda. Infatti, con dieci anni di senno di poi, questo incidente tragico ma – fino a prova contraria – casuale, può solo indurre ad una serie di riflessioni ed invitare a ripercorrere a ritroso il filo degli eventi.
Nella pratica il dramma ha impattato in maniera relativa su un Paese il cui percorso politico sembrerebbe essere ormai ben definito. L’opinione pubblica polacca – ad oggi estremamente sospettosa delle intenzioni russe – ha un enorme valore che non poteva e non può essere scavalcato dalle intenzioni di alcun governo, soprattutto dopo un disastro dal carico simbolico così importante.
Per questo allo schianto del TU-154 si può attribuire ben poca influenza riguardo un eventuale cambio di rotta nella politica bilaterale russo-polacca. Come menzionato, lo stesso Tusk è tornato ufficialmente sui suoi passi per quanto riguarda l’apertura verso la Russia, e quella che dieci anni fa sembrava una svolta storica ora non è vista come altro che una temporanea deviazione dalla via maestra; una via che vede una Polonia a cui il ruolo da satellite sta stretto, e da valido giocatore quale è, richiede una considerazione diversa da parte di Russia e UE.