Mentre il resto del mondo si mobilitava di fronte ai numeri sempre più allarmanti della diffusione del COVID-19, lo scorso 22 marzo si sono tenute le elezioni presidenziali in Abcasia, la regione secessionista riconosciuta indipendente da Mosca nel 2008, con la vittoria di Aslan Bžania, il candidato principale dell’opposizione. Il voto conclude un periodo di profonda tensione e crisi politica, animata da proteste di piazza e scandali, che hanno portato alle dimissioni del presidente in carica Raul Chadžimba lo scorso gennaio e alla convocazione di nuove elezioni. Per far fronte all’emergenza coronavirus, a metà marzo la Russia aveva imposto restrizioni al movimento di cittadini provenienti da Abcasia e Ossezia del Sud, le quali, a loro volta, hanno chiuso i punti di transito verso la Georgia non appena si è registrato il primo caso di coronavirus. I principali eventi pubblici sono stati cancellati e le scuole sono state chiuse. Le misure preventive in Abcasia, tuttavia, non hanno previsto la cancellazione degli eventi collegati alla campagna elettorale, durante i quali si sono tenute assemblee anche parecchio affollate.
Il coronavirus, tuttavia, è solo l’ennesimo degli avvenimenti che hanno contribuito a complicare la situazione politica già in subbuglio da più di un anno. Il vincitore Aslan Bžania, poche settimane prima del voto, è stato ricoverato per la seconda volta nel giro di un anno per un improvviso malessere, non connesso al coronavirus. Nel marzo 2019, simili condizioni di salute avevano costretto il candidato a ritirarsi dalla corsa elettorale. Le circostanze incerte del malore, i cui sintomi si sono manifestati anche nelle guardie del corpo, portarono Bžania e i suoi sostenitori a sospettare un avvelenamento. Chadžimba, allora presidente in carica, fu accusato di essere coinvolto nel presunto disegno criminale, ma respinse le accuse come tentativo di destabilizzare il paese prima delle elezioni. Il leader in carica uscì comunque vincitore, anche se per un pugno di voti, durante il secondo round di elezioni tenutesi nel settembre scorso. Tale vittoria fu prontamente contestata da Alkhas Kvitsinia, principale candidato dell’opposizione e secondo per preferenze dopo Chadžimba, e dai suoi sostenitori, i quali si opposero ai risultati e fecero ricorso alla Corte Suprema dell’Abcasia. La Corte convalidò i risultati delle elezioni, ma scontri di piazza e proteste si sono susseguiti fino a gennaio, quando il presidente Raul Chadžimba ha rassegnato le dimissioni e sono state indette nuove elezioni. Nonostante il secondo ricovero, Bžania non si è ritirato dalla corsa e ha vinto le elezioni di marzo con il 56,50% delle preferenze.
Le elezioni sono state dichiarate dalla presidente georgiana Salome Zurabishvili illegittime e costituenti una violazione della sovranità georgiana. Altre potenze europee si sono pronunciate a sostegno di tale posizione e hanno sollecitato la Russia al ritiro del proprio esercito e alla revocazione del riconoscimento dell’indipendenza abcasa.
Nonostante la turbolenta esperienza politica di Chadžimba e del suo partito, ampiamente criticati per corruzione, inefficienza governativa e uso improprio dei generosi prestiti di Mosca, al presidente non è mai mancato l’appoggio russo. È al suo governo che si deve la stipulazione di un accordo storico tra Russia e Abcasia, firmato nel 2014, che sancì l’inizio di un irreversibile percorso di integrazione sul piano finanziario, della difesa e della prevenzione sociale. Tale accordo, per quanto indispensabile per la sopravvivenza della repubblica de facto, specie per il prezioso aiuto economico, è stato giudicato dall’opposizione come lesivo della sovranità della repubblica stessa.
A differenza dell’Ossezia del Sud, infatti, che persegue attivamente l’integrazione con la Russia, gli Abcasi credono profondamente nella loro indipendenza e non necessariamente vedono di buon grado la vicinanza con Mosca. Anche l’opinione pubblica oscilla tra il supporto per la cooperazione e il bisogno di mantenere più autonomia possibile da Mosca. Uno dei temi caldi degli accordi, a cui gli Abcasi si sono sempre opposti, riguarda lo status dei cittadini russi in Abcasia, i quali ancora oggi non godono del diritto di proprietà di immobili.
Un altro tema estremamente sensibile e al centro delle tensioni politiche interne riguarda i rapporti con Tbilisi e la questione dei cittadini di etnia georgiana, i quali vivono prevalentemente nella regione di Gali, a ridosso del confine. L‘interazione tra regione separatista e Georgia, sebbene delimitata da checkpoints sorvegliati da pattuglie separatiste ed ora chiusi per il coronavirus, avviene in modo costante e permette a molte persone di usufruire di beni e servizi disponibili dall’altra parte della frontiera, di commerciare e di visitare parenti. Lo status dei cittadini georgiani residenti in Abkhazia, tuttavia, è oggetto di accese dispute politiche, il che complica la situazione di povertà e instabilità della regione. Uno dei cavalli di battaglia che portò Chadžimba al potere nel 2014 fu proprio la proposta, poi materializzatasi in legge, di escludere dal diritto di voto i georgiani di Gali, sfruttando il risentimento di una parte di elettorato avverso a politiche di inclusione nei loro confronti. È a tali cittadini che sono dirette le numerose proposte di cooperazione avanzate negli ultimi anni dal Ministero dell’uguaglianza civica e della riconciliazione georgiano, puntualmente rifiutate dalle autorità abcase.
Una novità portata dal nuovo presidente riguarda proprio la posizione nei confronti delle autorità di Tbilisi: nonostante intenda continuare a coltivare buoni rapporti e cooperazione con Mosca, Bžania si è mostrato propenso al dialogo. Secondo Thomas De Waal, esperto di Caucaso per Carnegie Endowment for International Peace, la gravità dell’attuale situazione politico-economica dello stato de facto potrebbe portare ad una distensione dei rapporti con la Georgia. Come ribadito da Bžania in varie interviste, ci sono alcune questioni che devono essere risolte in comune accordo nell’interesse degli abitanti dell’Abcasia, inclusa la questione dei georgiani di Gali. Tuttora, la politica in Abcasia è fortemente esclusiva e privilegia i cittadini di etnia abcasa, i quali non costituiscono che la metà della popolazione totale della repubblica de facto, accanto a georgiani, armeni e russi.
Di certo, la buona affluenza alle urne nonostante il coronavirus ha dimostrato che i cittadini abcasi hanno bisogno di cambiamento e, come già sottolineato in un nostro precedente articolo, l’isolamento dell’Abcasia dalla comunità internazionale e la mancanza di dialogo con Tbilisi non solo è dannosa per essa stessa e per i suoi cittadini, ma contribuisce anche ad aumentare le tensioni tra Georgia e Russia, dissidi che continuano a dividere anche la società georgiana e a scatenare reazioni sociali e politiche, come testimoniato dalle violente proteste dell’estate scorsa a Tbilisi.
Rossana Bernardi