In un momento critico per i mercati internazionali e il settore petrolifero, l’OPEC+ e il G20 hanno raggiunto uno storico accordo per il taglio della produzione di petrolio. L’intesa è stata raggiunta anche grazie all’intenso scambio diplomatico e ai colloqui tra i leader di Stati Uniti, Arabia Saudita e Russia.
Domenica 12 aprile è stato finalizzato l’accordo in seno all’OPEC+ che porterà a una riduzione della produzione pari a 9,7 milioni di barili di petrolio al giorno per i mesi di maggio e giugno. La decisione è stata presa nel momento più critico per l’industria petrolifera globale, che ha visto scendere i prezzi del greggio fino a 20 $ al barile nelle ultime settimane (rispetto ai 70 registrati lo scorso gennaio).
All’accordo è seguito un vertice straordinario del G20 dell’energia, nel quale le intese raggiunte in seno all’OPEC+ sono state rilanciate. Il livello dei tagli alla produzione sarà ulteriormente rafforzato grazie al contributo di Stati Uniti, Canada, Norvegia e Brasile con ulteriori 3,7 barili al giorno prodotti in meno nel corso del 2020. Una quantità ulteriore di greggio sarà tolta dal mercato per essere dirottati per rifornire le riserve strategiche dei Paesi del G20 fino ad arrivare – considerando i tagli della produzione – a un calo dell’offerta di circa 19,5 milioni di barili al giorno. Si tratta della più grande riduzione volontaria dell’output nella storia, pari a un quinto della produzione complessiva attuale.
L’accordo ricompone in parte lo strappo avvenuto tra Russia e Arabia Saudita in seguito allo scorso 6 marzo, quando i due Paesi avevano iniziato una guerra dei prezzi del greggio al ribasso con l’obiettivo di imporre la ciascuno la propria linea all’interno dell’OPEC+. Sullo sfondo di queste tensioni, la Russia aveva sfruttato l’occasione per attaccare anche le quote di mercato occupate dai produttori di greggio shale statunintensi.
Un’industria questa molto particolare, dagli elevati costi di produzione, ma che aveva permesso agli Stati Uniti di diventare a fine del 2019 i primi produttori di petrolio al mondo. Un risultato ottenuto anche grazie a politiche aggressive e slegate dalle decisioni adottato in seno all’OPEC+, che puntano a concertare l’output di petrolio per mantenere un livello stabile dei prezzi. Da qui il tentativo della Russia di mettere in difficoltà il comparto estrattivo statunitense, aumentando la produzione e facendo calare il prezzo.
Tuttavia, la diffusione del virus Covid19 e il progressivo blocco delle linee di produzione globali ha causato un crollo della domanda di energia in un momento di eccesso di offerta di petrolio dovuto alle dinamiche descritte in precedenza. I tre attori principali, Russia, Stati Uniti e Arabia Saudita, si sono trovati a che fare con difficoltà interne che li hanno spinti a cercare un accordo.
Uno dei pilastri del nuovo corso della leadership del principe ereditario saudita Mohammad bin Salman è la quotazione in borsa della società petrolifera nazionale Saudi Aramco, un’operazione da 2000 miliardi $ avviata lo scorso dicembre e che richiede la stabilità dei mercati petroliferi
Negli Stati Uniti i risultati dell’industria estrattiva shale ha portato con sé un forte indebitamento delle aziende del settore e molte nelle scorse settimane hanno già avviato procedure per dichiarare il fallimento, incapaci di ripagare i debiti contratti in precedenza con questo livello di prezzi. Il rischio dello scoppio di una bolla finanziaria, seppur limitata e contenuta al comparto estrattivo, ha convinto il Presidente Trump a intervenire direttamente.
Infine la Russia. Nonostante le contromisure prese, il Paese sta faticando a resistere alla diffusione del virus Covid19. Mosca ha puntato a chiudere il fronte della guerra dei prezzi del petrolio il più in fretta possibile arrivando dunque a un’intesa. Restando sulle metafore belliche, il Vice Presidente di Lukoil Leonid Fedun, la più grande società privata russa del settore petrolifero, ha comparato l’accordo che la Russia ha ottenuto in seno all’OPEC+ alla Pace di Brest Litovsk del 1918: un accordo umiliante per la Repubblica Sovietica, ma necessario. Su posizioni diverse Igor Sechin, Amministratore Delegato della compagnia petrolifera statale Rosfnet, che nel 2019 ha prodotto il 41% del greggio russo, che ha criticato invece i negoziati dell’OPEC+ sottolineando il progressivo arretramento dell’Organizzazione nell’ influenzare concretamente il mercato del petrolio internazionale.
Il Ministero dell’energia russo, per mezzo del suo Vice Pavel Sorokin, ha confermato che i bilanci statali e le compagnie private sono abbastanza solidi da resistere a un periodo relativamente breve di bassi prezzi del mercato. La strategia russa, continua Sorokin, ha dovuto adattarsi all’evolversi della situazione. Rispetto alle resistenze mostrate a inizio marzo sull’abbassare la produzione, la Russia ha preferito agire ora e di concerto con gli altri Paesi sfruttando la sua posizione di vantaggio e potendo avere una maggiore influenza sulla decisione finale.
Infine, ridurre la produzione ora permetterà di limitare lo stress a livello tecnico sugli impianti ed evitare danni operativi più gravi. Chiudere la produzione di un pozzo in piena funzione non è un’azione semplice e comporta un certo livello di rischio che gli impianti possano danneggiarsi. Chiudere ora in modo graduale è più semplice che essere costretti a chiudere una maggiore quantità di pozzi in un secondo momento a causa del protrarsi della crisi della domanda.
Al di là delle questioni tecniche, resta un certo scetticismo sulla possibilità che gli accordi presi in seno all’OPEC+ e G20 vengano rispettati. Di fronte alla possibilità di aumentare i propri margini di profitto attraverso una maggiore produzione, analisti del settore commentano l’accordo con: “non appena i prezzi saliranno, sarà come cercare di radunare un gruppo di gatti“.
Sullo sfondo della crisi in corso, e in attesa di valutare l’efficacia degli accordi raggiunti, l’OPEC+ si riconferma un attore importante, ma non fondamentale del panorama energetico mondiale. Specularmente, il G20 non ha saputo garantire un adeguato supporto ai risultati raggiunti. Spicca l‘assenza dei Paesi europei, che non hanno garantito l’acquisto del greggio sul mercato per sostenerne il prezzo. Sono emersi invece i contatti diretti tra i leader di Russia, Arabia Saudita e Stati Uniti – per motivi interni diversi – che hanno garantito il superamento dell’impasse dei negoziati. Un dialogo limitato nel tempo e relativo al settore del petrolio, ma che non esclude ulteriori sviluppi in altri campi, ad esempio un cambio della retorica statunitense verso la politica energetica e le sanzioni imposte alla Russia.