C’è un Paese in Europa in cui la vita sembra scorrere come sempre, ben lontano dalle misure di lockdown che in queste settimane stanno paralizzando la maggior parte degli Stati nel mondo. Stiamo parlando della Bielorussia, definita dai media “covid-negazionista“. Sin dall’inizio dell’emergenza, infatti, la posizione del governo e in particolare del presidente Aleksandr Lukashenko è stata caratterizzata da un atteggiamento morbido, tendente a sminuire la pericolosità del virus e a negare la presenza di quest’ultimo sul territorio nazionale.
In totale coerenza con questa tesi, non sono state adottate misure restrittive di nessun tipo: ristoranti, bar, negozi sono rimasti aperti; scuole e fabbriche hanno continuato le loro attività; non è stato interrotto nessun collegamento aereo e, come se non bastasse, il campionato di calcio nazionale, il cui inizio era previsto per aprile, è partito normalmente. Allo stesso tempo il Ministro della Salute ha rassicurato più volte la popolazione, sostenendo che sono stati effettuati molti tamponi e sono state monitorate le persone risultate positive con estrema attenzione.
Ma qual è la reale situazione del Paese?
Molte sono le perplessità sull’affidabilità dei dati diffusi. Dubbi, che sono stati sollevati sia da diversi media indipendenti bielorussi, che dai “vicini di casa” di Lukashenko. Il primo ministro lituano, Saulius Skvernelis, all’inizio di aprile ha espresso molta preoccupazione sulla gestione, o meglio la non-gestione, dell’emergenza da parte di Minsk: “la situazione – ha affermato – potrebbe essere peggiore di quella suggerita dai dati ufficiali“. Secondo Skvernelis, il Paese potrebbe trasformarsi in un cluster incontrollato di diffusione della malattia, motivo per cui ha deciso di impedire l’ingresso ai cittadini provenienti dalla Bielorussia. Posizione a cui Lukashenko ha risposto ironicamente, dichiarando che il primo ministro lituano avrebbe fatto meglio a preoccuparsi del suo Paese.
Del resto se dovessimo definire la principale arma utilizzata dal Presidente bielorusso, nella lotta al Covid-19, è proprio quella dell’ironia e del sarcasmo: “vodka, sauna e tanto lavoro” sono le raccomandazioni che Lukashenko ha dato alla popolazione per sconfiggere il coronavirus.
Tuttavia, osservare l’atteggiamento da outsider di Minsk fermandosi esclusivamente all’eccentricità, tra l’altro nota, di Lukashenko potrebbe essere deviante.
La realtà bielorussa è molto più complessa e, se da un lato Lukashenko tenta di sminuire le paure definendo il coronavirus una “psicosi di massa”, dall’altro si cela il tentativo di riuscire a sedare le preoccupazioni in un contesto socio-economico sempre più incerto.
A preoccupare il Presidente, è la questione energetica con Mosca, avviata nel 1997 dalla nascita dell’Unione Russia-Bielorussia. Negli anni, tra i due Paesi, si sono alternati tentativi di negoziato a vere e proprie controversie, fino a giungere alle tensioni contemporanee sul petrolio. Uno degli ostacoli centrali resta la diffidenza di Minsk verso il progetto di una confederazione tra i due Stati che vede negli obiettivi di Putin, non quello di favorire una maggiore integrazione tra i due Paesi, bensì l’intenzione di incorporare la Bielorussia per diventare leader di un potenziale “super-Stato” russo. Mosca, dal canto suo, non vede di buon occhio la politica estera di Lukashenko che, mentre dovrebbe rafforzare il sodalizio con la Russia, continua a strizzare l’occhio ad Ovest e ad intrattenere relazioni con Stati Uniti ed Unione Europea.
Le relazioni tra i due Paesi, tra l’altro, avevano raggiunto un momento di particolare tensione proprio alla vigilia della pandemia quando, il 1˚ gennaio, le compagnie petrolifere russe avevano tagliato il trasferimento di greggio in Bielorussia, in seguito alla diatriba sui prezzi. La sospensione era stata interrotta dopo cinque giorni, grazie al raggiungimento di un compromesso con l’operatore russo Transneft. Il gestore del gasdotto dell’Amicizia (Družba), infatti, aveva confermato l’invio di 133.000 tonnellate di petrolio per garantire il funzionamento delle raffinerie bielorusse, in attesa di un accordo sulle tariffe di transito. Accordo, che tutt’oggi non è stato raggiunto, lasciando emergere ancora una volta la complessità delle relazioni tra i due Paesi e la debolezza del potere di negoziazione bielorusso, dato che Minsk dipende dall’approvvigionamento energetico russo per oltre l’80%.
È chiaro che l’emergenza coronavirus al momento si presenta come un ostacolo nel dialogo tra i due Paesi, soprattutto dopo la decisione russa di chiudere i confini con la Bielorussia, in attuazione delle misure di contenimento. Putin, inoltre, si trova ad affrontare il problema del calo del prezzo del petrolio, che all’inizio dell’emergenza aveva subito una riduzione del 30%. Lukashenko, dal canto suo, deve decidere se cedere alle moine di Washington, che ha proposto una fornitura di petrolio a prezzi competitivi e, allo stesso tempo, mantenere un’alta percezione di stabilità all’interno del Paese.
Quest’ultimo aspetto, forse, ci permette di ascrivere il comportamento negazionista del Presidente bielorusso. Al di là delle preoccupazioni economiche, infatti, potrebbe esserci il tentativo del leader bielorusso di portare avanti con convinzione le sue dichiarazioni iniziali sulla non pericolosità dell’infezione, con l’obiettivo di non indebolire l’immagine di super-statista che lo accompagna da 25 anni.
Tuttavia iniziano ad emergere le debolezze di questa strategia. L’OMS ha più volte richiamato la Bielorussia, invitandola ad attuare misure di distanziamento sociale per evitare la diffusione del contagio, che potrebbe raggiungere il picco entro maggio. Inoltre gli stessi cittadini denunciano le informazioni fuorvianti sul virus dei media nazionali e chiedono l’introduzione di misure restrittive. L’intraprendenza dei bielorussi è andata oltre il mondo di internet e in alcune aree del Paese hanno avviato un vero e proprio lockdown dal basso. Molti cittadini hanno deciso di attuare in modo autonomo la quarantena, alcuni ristoranti e bar stanno chiudendo di loro iniziativa e le strade iniziano a svuotarsi. Un segnale forte è arrivato negli ultimi giorni dalle tribune del campionato che ha visto tifosi di cartone sugli spalti vuoti. Un segnale che la situazione potrebbe sfuggire di mano anche al tracotante Lukashenko.