Non solo Napoleone e Hitler. Anche altri Cavalieri dell’Apocalisse hanno flagellato Grande Madre Russia. Organicamente piccoli, ma altrettanto grandi per letalità. Peste, colera, vaiolo, spagnola, fino alla più recente antrace.
Peste (1654-1655)
La Morte nera (in russo: chumà), che imperversava in Europa da ormai tre secoli, giunse ineluttabilmente a Mosca nel 1654. Secondo un copione verificatosi anche con il Covid-19, al crescere dei contagi e delle vittime alcuni abitanti (la corte dello zar, i boiardi e i cittadini ricchi) fuggirono dalla zona infestata propagando la malattia.
Dai resoconti del Patriarca di Antiochia Macario III (1664-1672), ospite dello zar Alessio in occasione della riforma liturgica del Patriarca Nikon (cosa che generò lo scisma Raskol o dei Vecchi Credenti), si parlò in un primo momento di una città sguarnita e precipitata nel panico, sotto scacco di predoni e banditi, nonché cani e maiali divoratori di cadaveri.
Alla fine le autorità presero misure drastiche: le aree infette furono messe in quarantena e sigillate dai soldati; le case delle vittime incendiate; gli oggetti e i vestiti fumigati bruciando assenzio e ginepro. Nell’autunno del 1654, l’epidemia fu fermata nella capitale e solo qualche focolaio nei dintorni si presentò l’anno successivo, mentre i territori settentrionali (Novgorod e Pskov) non vennero colpiti. Impossibile calcolare il numero esatto delle vittime. Secondo i ricercatori da 25 mila in su. Oltre l’85% della popolazione di Mosca morì.
Peste (1771)
Riportato in patria dai militari impegnati nella guerra russo-turca del 1768-1774 (quella che privò gli ottomani della Crimea in favore dell’influenza di Mosca), il secolare bubbone incontrò il negazionismo ufficiale della zarina Caterina, volto a non allarmare la popolazione date le notizie preoccupanti provenienti da Ucraina e Polonia. La creazione di stazioni di quarantena sul confine meridionale non bastò, e così la capitale si trovò a fronteggiare nuovamente “il flagello dei flagelli”.
Inizialmente sottovalutata, l’epidemia divampò nel marzo 1771 esaurendosi a inizio 1772. Ventimila morti durante il picco di settembre. Circa tre quarti della popolazione fuggirono dalla città. La quarantena e la chiusura delle attività commerciali esasperarono i moscoviti che il 15 settembre si rivoltarono.
Le misure draconiane già sperimentate un secolo prima, come appiccare il fuoco alle case contaminate, venivano eluse dai poveri, terrorizzati dalla distruzione delle abitazioni, tramite l’occultamento dei cadaveri. Questo probabilmente fu uno dei motivi per cui, in seguito, Caterina dispose l’eliminazione di tutti i cimiteri dai centri urbani, spostandoli verso le periferie e oltre le mura, anche alla luce delle nuove conoscenze mediche e igieniche.
Colera (1830-1831)
La malattia più mortale del XIX secolo apparve per la prima volta nelle regioni meridionali dell’Impero russo negli anni Venti dell’Ottocento, ma solo dieci anni dopo mostrò la sua terribile forza. Nel 1830 l’epidemia, che strappò la vita a circa duecentomila russi, venne accolta con ironia a Mosca. I moscoviti credevano infatti che il clima settentrionale, le fumigazioni e “lo spirito audace, vivace e allegro” li avrebbe protetti dalle avversità. “Serve cautela ma non timore; sicurezza e non paura”, recitavano le riviste dell’epoca.
In autunno, l’orrore: vittime in crescita, chiusura di università e luoghi pubblici, intrattenimenti collettivi vietati e quarantena ovunque. Nell’aprile del 1831 si manifestarono i primi focolai a San Pietroburgo, allora capitale dell’Impero, e in estate l’epidemia si diffuse al massimo. A ciò si aggiunse l’ondata rivoluzionaria dei moti del 1830-1831, a cui l’Impero contribuì con la “Rivolta di Novembre” da parte di dissidenti polacchi del semi-autonomo Regno del Congresso (la porzione russa in cui fu smembrato il Ducato di Varsavia dopo il Congresso di Vienna), poi stroncata dal generale Ivan Paskevich nel Settembre 1831.
Spagnola (1918-1919)
L’influenza spagnola uccise forse fino a 100 milioni di persone, circa il 5% della popolazione mondiale. Quella che fu una delle peggiori calamità della storia non risparmiò nemmeno la Russia sovietica, che in quegli anni era già dilaniata dalla guerra civile. La malattia attraversò dapprima l’Ucraina, colpendo in particolare Kiev, poi la Bielorussia, e infine Mosca e Pietrogrado, dove un abitante su due si ammalò.
Le dimensioni raggiunte furono catastrofiche: 2,7 milioni di deceduti in un anno e mezzo, pari al 3% della popolazione totale del Paese. A Odessa spirò anche la star del cinema muto Vera Kholodnaja. Il contagio non risparmiò neanche il nuovo potere. Nel marzo del 1919 uno dei leader della Russia sovietica, il “Diavolo nero dei bolscevichi” Jakov Sverdlov, morì di spagnola. La malattia fu così devastante in un’Europa già colpita dalla Grande Guerra che mise in secondo piano le contemporanee infezioni di tifo e colera.
Epidemie scampate (o quasi)
Ultima menzione meritano tre episodi più recenti in cui è stato evitato il peggio.
Peste (1939)
Il morbo secolare fu portato a Mosca nel 1939 dal microbiologo ed epidemiologo Abram Berlin (1903-1939) che a Saràtov, 850 chilometri a sudest, stava effettuando, in rigorosissima quarantena, esperimenti animali utilizzando il bacillo della peste. Tuttavia le precauzioni furono vane e, giunto nella capitale per lavoro, lo scienziato recò con sé il patogeno, soggiornando all’Hotel National. Dopo essersi recato in un ristorante e presso un barbiere, si sentì male e fu ricoverato con una diagnosi errata di polmonite crupale.
Fu il medico di turno presso la clinica del 1° Istituto medico di Mosca, Simon Gorelik (1885-1939), a identificare la peste polmonare nel paziente. Intuita la gravità di un male che si riteneva scomparso e di cui non vi era profilassi, l’eroico Gorelik segnalò immediatamente il pericolo ai superiori e si isolò con Berlin.
Gli ufficiali dell’Nkvd rintracciarono e misero in quarantena chiunque avesse avuto contatti con Abram Berlin in città. La clinica venne isolata, e l’hotel National sanificato. La disinfezione avvenne di notte, per evitare fughe di notizie e panico. L’epidemia, così, venne fermata sul nascere. Alla fine, le vittime furono solo tre: Gorelik, Berlin e il barbiere.
Vaiolo (1959)
Il vaiolo (in russo: chjórnajaóspa) arrivò nella capitale dell’Urss a fine dicembre 1959, insieme all’artista Aleksej Kokorekin (1906-1959), che rientrava dall’India, ove contrasse la pericolosa malattia presenziando alla cerimonia di cremazione di un bramino.
Accusando febbre alta, tosse forte e dolori in tutto il corpo, Kokorekin si ricoverò. Erroneamente gli fu diagnosticata un’influenza, sebbene il paziente fosse coperto da un’eruzione cutanea insolita per questa malattia (si pensò a una reazione allergica ai farmaci). La verità divenne nota solo due settimane dopo la morte dell’artista, quando diverse persone entrate in contatto con lui avevano iniziato a manifestare sintomi simili.
I servizi medici di Mosca, i dipartimenti di polizia e il Kgb entrarono in azione. Furono presi e messi in quarantena i suoi familiari e chiunque fosse entrato in contatto con lui o anche solo parlato. L’ospedale del ricovero fu messo completamente in quarantena e migliaia di medici, infermieri e pazienti chiusi a chiave.
Tuttavia la misura principale fu la vaccinazione antivaiolo universale di tutti i residenti di Mosca e della Regione, un’operazione senza analoghi nella storia. Lavorando tutto il giorno, migliaia di medici vaccinarono più di 9 milioni di persone in una settimana. In totale il vaiolo colpì solo 45 persone, tre delle quali morirono. Diciannove giorni dopo la sua scoperta e l’inizio del lavoro coordinato dei servizi di sicurezza, la malattia era stata sconfitta.
Colera (1970)
Penetrato dall’Iran, il vibrione del colera (in russo: kholéra) colpì nel 1970 l’intera costa sovietica del Mar Nero, al culmine della stagione balneare, con le località turistiche piene di vacanzieri. La malattia si diffuse in tutto il Paese, tra cui a Mosca e all’allora Leningrado (l’attuale San Pietroburgo). L’allargamento del contagio venne facilitato dalla miopia delle autorità locali, che nei primi giorni annunciarono con gli altoparlanti sulle spiagge la presenza del colera e la necessità di una celere evacuazione.
Il governo centrale, invece, agì in modo rapido e deciso. Anche esercito e marina militare vennero coinvolti nella lotta contro la diffusione della malattia. Decine di navi e treni furono trasformate in laboratori medici mobili. Grandi focolai, come Odessa (in Ucraina), Batumi (in Georgia) e Kerch, furono messi in quarantena e le partenze consentite solo dopo accurati esami batteriologici.
Tra le migliaia di turisti rinchiusi in quei centri urbani scoppiò il panico. Molti cercarono di aggirare o addirittura sfondare i cordoni militari. La situazione si calmò solo quando il Consiglio dei ministri dell’Urss decretò l’estensione di viaggi d’affari e periodi di ferie con la conservazione dei salari a tutti i quarantenati.
Nel novembre 1970 l’epidemia fu finalmente sradicata. Le autorità trassero le giuste lezioni: sulla costa del Mar Nero, nei bacini dei fiumi e sugli Urali iniziò la costruzione massiccia di impianti di trattamento delle acque.
Antrace (1979)
Lo scoppio dell’antrace (in russo: sibìrskajajàzva) nella zona degli Urali nell’aprile 1979 rimane l’epidemia più misteriosa nella storia dell’Unione Sovietica. Secondo varie fonti, ha causato la morte di 60-100 persone. Ogni giorno, 5-10 persone in uno stato di forte choc infettivo e tossico venivano ricoverate nei reparti infettivi della città di Sverdlovsk (oggi Ekaterinburg).
Individuata l’antrace come causa delle morti, venne subito organizzato un ospedale dedicato e iniziarono vaccinazioni su larga scala dei residenti, così come la disinfezione della città, anche con elicotteri. A giugno l’endemia venne fermata.
Secondo la versione ufficiale sovietica, la causa fu dovuta alla carne di bestiame infetto. Una versione “apocrifa” vociferava di un rilascio accidentale di spore di antrace dal laboratorio biologico militare del campo militare № 19, sito in uno dei quartieri della città. Non mancò l’opzione del sabotaggio da parte di intelligence occidentali, per screditare le imminenti Olimpiadi di Mosca 1980.
Al momento, le informazioni sulla tragedia rimangono secretate e potranno essere declassificate solo 75 anni dopo l’incidente, nel 2054. Attendiamo fiduciosi l’edizione speciale de “La Pravda”…
Marco Leone
Bibliografia
Edmondson L. Waldron P., “Economy and Society in Russia and the Soviet Union, 1860–1930”, Palgrave Macmillan, London, 1992
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R. E. McGrew, “The first russian cholera epidemic: themes and opportunities”, Bulletin of the History of Medicine Vol. 36, No. 3 (MAY-JUNE, 1962), pp. 220-244
Alexander John T., “Bubonic Plague in Early Modern Russia”, Oxford University Press, 2002