Uscito letteralmente dal mondo della commedia e della televisione, colui che è stato definito dai media internazionali il nuovo volto della politica ucraina, Volodimir Zelenskij, sta giocando una partita cruciale per il futuro del proprio Paese. Se nella serie tv Sluga Narodu Zelenskij si dilettava nel giocare il ruolo di presidente, fin dall’inizio del proprio mandato presidenziale il nuovo uomo di Kiev si è trovato a fronteggiare grandi responsabilità, tra le quali la rinegoziazione dell’accordo sul transito del gas russo.
Il negoziato non è cosa di poco conto, soprattutto se teniamo in considerazione la storia delle relazioni energetiche tra i due Paesi. Le tensioni in ambito energetico tra Ucraina e Federazione Russa potrebbero, infatti, essere definite una costante ormai a partire dagli anni ’90 dello scorso secolo. Fin dalla propria indipendenza, l’Ucraina è riuscita a ritagliarsi un ruolo più o meno monopolistico come corridoio di transito del gas russo verso l’Europa con risvolti interni notevoli: da una parte gli accordi favorevoli per l’acquisto di gas russo ad un prezzo ribassato, dall’altra le entrate derivanti dalle tariffe di transito.
Storicamente le interruzioni di forniture di gas russo all’Ucraina sono state relativamente rare. Nonostante ciò, l’affidabilità russa in questo senso è stata particolarmente messa in discussione a partire dai primi anni del ventunesimo secolo, quando le relazioni energetiche tra i due Paesi sono finite sotto i riflettori per una serie di vicende. Nei primi anni 2000 si stava delineando una netta differenza tra i crescenti prezzi del gas sul mercato europeo e quelli economici destinati ai Paesi della Comunità degli Stati indipendenti come l’Ucraina. La prima vera crisi del gas tra i due Paesi del 2006 fu in parte, infatti, determinata da una questione di prezzi, ma anche altri fattori furono determinanti. La seguente crisi del 2009 rappresentò poi la prova del nove, soprattutto data la sua maggiore durata e le implicazioni che ebbe anche in altri Paesi.
Lo scorso dicembre, con la scadenza del vecchio contratto, Russia e Ucraina hanno raggiunto un’intesa all’interno del cosiddetto formato Normandia, grazie anche alle negoziazioni dirette che si sono tenute a livello presidenziale tra Zelenskij e Putin. Il nuovo accordo quinquennale, a dispetto delle aspettative internazionali, prevede il transito di 65 miliardi di metri cubi di gas per il 2020 e 40 miliardi di metri cubi annui per i successivi 4 anni. Sebbene ciò rappresenti una garanzia fino al 2024, il volume in questione è naturalmente di gran lunga inferiore a quello al quale gli ucraini erano abituati (una media di 90 miliardi di metri cubi all’anno tra il 2018 e il 2019).
Il negoziato si è basato essenzialmente su compromessi: se da una parte Gazprom ha messo da parte le ostilità relative all’arbitrato di Stoccolma sulla normativa antimonopolio ed ha acconsentito al pagamento di 2,9 miliardi di dollari, dall’altra l’Ucraina ha dovuto archiviare per il momento l’idea di un contratto più a lungo termine e caratterizzato da un maggiore volume di transito.
Il nuovo contratto arriva in un momento particolare per la concomitanza con le sanzioni da parte degli Stati Uniti sul nuovo gasdotto in costruzione, Nord Stream 2, il quale è stato recentemente coinvolto in una controversia legata ad una possibile esenzione dalle normative europee. Il Nord Stream 2 rientra a pieno nella strategia russa di aggirare il vecchio nodo del transito da Paesi terzi, proprio perché mira ad ampliare un’infrastruttura che collega direttamente la Russia con la Germania. Il completamento del gasdotto si inserisce tra l’altro all’interno di un gioco che vede molte più pedine, tra le quali, appunto, Washington. Entrambe le narrative statunitense e russa nei confronti del Nord Stream 2 si aggrappano al concetto di sicurezza energetica, visto da angolazioni totalmente diverse. La strategia del Cremlino vede inoltre schierato anche il gasdotto TurkStream, che avrebbe infatti ridotto il transito via Ucraina di ben 15 miliardi di metri cubi di gas naturale.
Nonostante il gas rappresenti la seconda fonte di energia primaria del Paese, l’Ucraina, a sua volta, già da tempo ha enormemente ridotto il proprio consumo di gas naturale. Dal 2016 Kiev non importa più direttamente gas russo per consumo interno, ma preferisce acquistarlo con il metodo dei flussi inversi dall’Europa soprattutto attraverso la confinante Slovacchia.
Ma quali sono le prospettive per una produzione interna? La dipendenza ucraina dalle importazioni di gas russo potrebbe essere definita, in parte, il prodotto dell’inefficienza e del sottosviluppo della produzione interna. Ciò ha creato un’idea stereotipata dell’Ucraina come paese estremamente bisognoso di gas estero. Sebbene non ai livelli di altri paesi, l’Ucraina possiede effettivamente riserve di gas naturale sul proprio territorio, tanto da essere stata la prima repubblica sovietica a produrlo e da risultare oggi il terzo Paese per riserve di gas in Europa dopo Russia e Norvegia. Ciò si traduce in una possibilità concreta di aumentare una volta per tutte la produzione interna, essendo i flussi inversi una strategia temporanea per raggiungere presto o tardi l’indipendenza energetica. Proprio un mese fa è stato firmato un contratto tra Naftogaz ed Expert Petroleum per massimizzare la resa dell’estrazione di gas dal sottosuolo ucraino.
Nonostante la volontà ucraina di perseguire un’indipendenza energetica e, allo stesso tempo, di rimanere attaccata al transito del gas russo, l’accordo sul gas rappresenta anche un concreto passo avanti tra Ucraina e Russia e delinea un tipo di relazione più matura e costruttiva tra le due parti. Quello al quale siamo di fronte è il principale accordo in ambito energetico siglato tra i due Paesi a seguito della rivoluzione ucraina del 2014 e del successivo conflitto nella parte più orientale del Paese, tanto che le testate giornalistiche hanno iniziato a parlare di un nuovo disgelo.
Una distensione tra i due Paesi potrebbe generare un punto di svolta anche in altri affari, molto più lontani dalla questione del gas, come il fronte di guerra in Ucraina orientale. La speranza risiede nel fatto che una maggiore cooperazione nel settore economico possa portare ad un’atmosfera più rilassata e più favorevole al dialogo. Proprio lo scorso aprile si è tenuto, infatti, il primo scambio di prigionieri del 2020, ma nelle regioni di Donetsk e Lugansk il fuoco continua incessantemente ed è andato peggiorando nelle ultime settimane. In ogni caso, fin dal proprio esordio Zelenskij si è mostrato fortemente deciso a chiudere il sipario anche per questo teatro di scontro e sembra ancora voler perseguire il proprio obiettivo risolutamente.