Pubblicato su Osservatorio Artico il 4 giugno 2020
Non è solamente (purtroppo) il clima a cambiare nell’Artico. Con il surriscaldamento globale e lo scioglimento dei ghiacci, nuove rotte sembrano aprirsi ai commerci, così come immense risorse, dapprima scarsamente sfruttabili, aumentano l’interesse attorno alla calotta polare, che si prospetta come nuovo campo cruciale per le sfide geopolitiche del secolo.
In un contesto di mutamento generale, cambia dunque l’approccio al Polo Nord, alle opportunità che potrà offrire e alle ricchezze che se ne potranno ricavare. A questo proposito, il 5 marzo scorso è stato approvato il documento strategico “Sui fondamenti della politica nazionale della Federazione Russa nell’Artico fino al 2035“, Decreto №164 firmato dal presidente Vladimir Putin (Об основах государственной политики Российской Федерации в Арктике на период до 2035 года). Il testo contiene i principi base che le istituzioni russe dovranno considerare nel perseguire obiettivi ed interessi strategici a nord del Circolo Polare, sconfinata riserva di ricchezze su cui la Russia ha l’affaccio più vasto. Si stima che il 40% delle riserve combustibili fossili del mondo sia nell’area dell’Artico. Per la Russia, una miniera d’oro: non solo lo sfruttamento economico esclusivo entro le proprie 200 miglia nautiche, come previsto dal diritto del mare, ma anche il controllo dell’80% delle riserve fossili artiche, inglobando un’area di 1,2 milioni di km2 in più.
In merito agli interessi nazionali russi, esistono molte somiglianze tra questo documento e il suo predecessore (approvato nel 2008 e contenente le linee guida fino al 2020). Restano cruciali la preservazione dell’Artico come scenario pacifico e di collaborazione, la tutela dell’ambiente, degli ecosistemi e delle tradizioni delle regioni artiche russe, lo sviluppo della Northern Sea Route (NSR) come corridoio logistico internazionale. La centralità dell’Artico si corona con la definizione del suo sviluppo, in quanto “base delle risorse strategiche“, e del suo sfruttamento razionale, volto a “incrementare la crescita economica della Russia” (Art.5). Ciò non sorprende, dato che il 10% del PIL e il 20% delle esportazioni della Federazione sono attualmente prodotti nell’Artico.
Al vertice dell’elenco figura l’introduzione del “mantenimento della sovranità e dell’integrità territoriale della Federazione“. Per la proiezione internazionale di Mosca, questi cardini restano immutabili da oltre venti anni. Qualsiasi sia l’ambito o lo scenario, la Russia continuerà indubbiamente a garantire la sua sovranità sui territori e sulle acque dell’Artico. Già nel 2019 si è discussa l’intenzione di inasprire la regolamentazione delle navi militari straniere che attraversano il NSR. L’aumento delle esercitazioni militari e della presenza di pattuglie aeree di sorveglianza, spesso sfoderate come vere e proprie “dimostrazioni di forza”, confermano i decisi progetti sovrani del Cremlino. La dimensione militare della sicurezza nell’Artico viene ribadita con gli obiettivi di sviluppare ulteriormente le forze della guardia costiera e di frontiera esistenti, nonché di creare un corpo apposito in seno alle Forze Armate che “garantisca la sicurezza in varie condizioni politico-militari” (Art. 6, lett. e; Art. 19). è evidente come questa deterrenza miri principalmente a scoraggiare l’aggressione contro la Russia nell’Artico.
Molte sono, infatti, le sfide che la Russia dovrà sostenere nella regione artica e che sono state riportate nel documento strategico. Alle preoccupazioni straniere sull’escalation militare russa nell’Artico, Mosca risponde criticando la presenza militare altrui e il potenziale di conflitto in aumento nell’Artico, causato essenzialmente dalle crescenti attività della NATO, nonché degli Stati Uniti, nell’Artico e nell’Atlantico settentrionale. Tra le minacce alla sicurezza, vengono inoltre riportati i tentativi di “alcuni paesi di rivedere deliberatamente le disposizioni dei trattati internazionali che regolano le attività economiche e di altro tipo nell’Artico e di istituire sistemi di regolamentazione nazionali, senza tener conto dei formati regionali e internazionali di cooperazione“, alle volontà di “ostruzione alle attività economiche” e al “discredito” gettato sulla Russia nell’Artico (Art. 8 lett. a, v, d).
Tra questi soggetti figura certamente la Norvegia, esplicitamente citata in merito al disaccordo tra Mosca e Oslo sull’interpretazione del Trattato di Spitzbergen del 1920. In particolare, il Cremlino si oppone all’istituzione di una zona di protezione della pesca da parte norvegese e “all’espansione artificiale delle zone di protezione della natura, al fine limitare l’attività economica nell’arcipelago“. Nel febbraio 2020, in occasione del centenario del trattato, il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha così criticato le intenzioni norvegesi, tramite una lettera inviata all’omologo ministero.
Definendo l’Artico come “regione di pace“, la Russia vuole tuttavia sottolineare la centralità della cooperazione internazionale (Art.16) su una serie di questioni, tra cui la delimitazione della piattaforma artica, le attività di ricerca e salvataggio, la prevenzione e la gestione delle conseguenze di eventuali catastrofi. Come elencato, Mosca mira a rafforzare le relazioni a livello bilaterale e in diversi formati di cooperazione multilaterale, ma distingue in modo specifico il Quintetto artico (арктическое пятёрка, i cinque Paesi costieri del Mar Glaciale Artico), il Barents Euro-Artic Council e il Consiglio artico. Quest’ultimo viene indicato come “istituzione regionale chiave, che coordina la cooperazione internazionale nell’Artico” (Art. 16, lett. b). Considerando la prossima presidenza di turno russa per il Consiglio artico del 2021, non è insolito che il rafforzamento dell’organizzazione sia una priorità.
Tuttavia, facendo fede a un ventennale di politica estera multivettoriale, Mosca vuole promuovere un “partenariato economico reciprocamente vantaggioso” inclusivo degli Stati non artici (Art. 16, lett. e). Non mancherà dunque la ricerca di investimenti esterni nell’economia artica e lo sviluppo della cooperazione con Paesi extra-regionali, ma molto interessati, come la Cina. Certamente gli interessi di Pechino nella regione differiscono ampiamente da quelli della Russia e sono piuttosto recenti. La narrativa ufficiale cinese presenta i suoi interessi nell’Artico come principalmente legati a questioni ambientali, ricerca scientifica, navigazione, rilevamento e sviluppo delle risorse naturali. L’attività geopolitica cinese in quest’area risale alla metà degli anni 2000 ed è accelerata successivamente sotto Xi Jinping, al cui progetto di One Belt, One Road si assocerebbe l’iniziativa di una Via della Seta sul ghiaccio. In generale, le differenze tra le due si esplicano sia per portata, che per natura. Come sostiene Dmitri Trenin, “la Russia è, in una parola, una potenza da status quo, mentre la Cina sta cercando di capitalizzare ogni sua apertura“.
Complessivamente, i nuovi elementi contenuti nel Documento strategico artico 2035 non sono portatori di cambiamenti drastici nella politica estera russa rispetto alle strategie precedenti. La Russia persevera alla ricerca di cooperazioni pragmatiche su questioni di reciproco interesse nell’Artico allo scopo di far avanzare la sua leadership regionale e la propria agenda economica. Tuttavia, l’inserimento di chiari passaggi indicanti sfide e posizioni critiche sembra rafforzare l’inflessibile retorica sulle minacce alla sicurezza nella regione artica, accompagnate dal parallelo e previsto rafforzamento delle sue capacità militari. Una strategia che si muove cautamente tra status quo, cooperazione multilaterale e deterrenza.