Il 16 maggio scorso il primo ministro dell’Armenia Nikol Pashinyan ha mostrato alla stampa le prove secondo cui decine di migliaia di azeri avrebbero collaborato con i nazisti e combattuto al fianco delle forze dell’Asse durante la Seconda Guerra Mondiale. L’accusa del primo ministro segue quella della presidenza azera, secondo cui il nonno di Pashinyan avrebbe a sua volta attivamente collaborato con i nazisti. La controversia si comprende all’interno dell’ostilità politica tra i due paesi, impegnati in un conflitto di prossimità sulle sorti della regione autonoma del Nagorno Karabakh, entità de jure appartenente all’Azerbaijan ma abitato in maggioranza e amministrato da armeni. La querelle diplomatica segue decenni di viscerale animosità tra Baku e Yerevan, che ha lasciato in eredità, oltre al continuo stillicidio di vittime lungo un confine soggetto a continue violazioni di un debole cessate il fuoco, un’ostilità e un pregiudizio mutualmente percepito e opportunamente fomentato da ambo le parti. Se la storia, al di là dei prematuri epitaffi tributatigli alla fine delle Guerra fredda, continua ad avere un ruolo nelle narrative statali, nei processi di state building e nelle rivendicazioni in contesti geopolitici, è proprio il Caucaso uno dei teatri principali in cui la strumentalizzazione del passato continua a rappresentare un’utile arma nelle mani delle leadership contrapposte.
L’accusa di Pashinyan si aggiunge a quel filone di personalità, eventi e anniversari che puntualmente finiscono nel vortice della delegittimazione conseguente ai tentativi di screditare l’avversario. L’obiettivo è quello di galvanizzare l’opinione pubblica, scaricando sulle questioni di politica estera le difficoltà sociopolitiche ed economiche acutizzate dall’emergenza coronavirus, ma anche di accreditarsi nei confronti della Russia, partner ambivalente dei due avversari caucasici e rispettivamente garante della sicurezza armena da una possibile escalation militare e importante partner commerciale di Baku. Consci dell’importanza del retaggio simbolicamente catartico della vittoria nella Grande Guerra Patriottica, la rappresentazione dell’altro come traditore e collaborazionista si rivolge non solo alle élite politiche del Cremlino, ma anche all’opinione pubblica russa. Se da un lato il governo Aliyev puntualmente si lancia in aspre critiche verso la glorificazione armena di Garegin Nzhdeh, un eroe di guerra che collaborò con la Germania nazista durante la Seconda guerra mondiale, dall’altro Yerevan risponde mettendo in evidenza la presunta intesa con i nazisti di Mammad Amin Rasulzade, padre fondatore della Repubblica Democratica dell’Azerbaigian.
Questa aspra retorica è spiegabile dal livello di forte animosità che lega le due nazioni, ma rischia di scavare ancora più profondamente un solco di avversità e odio tra le due popolazioni, strumentalizzando la storia ad uso e consumo di velleità politiche. Oltre a ciò, la puntuale necessità di denunciare la collaborazione con i nazisti nuoce gravemente al ricordo del contributo attivo offerto dalle centinaia di migliaia di armeni e azeri che hanno scelto di combattere al fianco dell’Armata Rossa nella Grande Guerra Patriottica. Senza ombra di dubbio v’è stata una discreta percentuale di caucasici che ha scelto di militare nei ranghi nazisti, ma questo contributo rappresenta un fenomeno marginale rispetto all’enorme numero di armeni e azeri che hanno invece combattuto per l’Unione Sovietica. Tra i 300-500.000 armeni prestarono servizio nell’Armata Rossa, dei quali quasi la metà finì per perire sui campi di battaglia. Durante l’intero periodo dell’Unione Sovietica, gli armeni contribuirono con centoquindici generali, quattro marescialli e un alto ammiraglio alle forze armate comuniste. Rispettivamente 800.000 azeri combatterono nei ranghi dell’esercito sovietico lasciando un tributo di oltre mezzo milione di morti. Il maggiore generale azero Hazi Aslanov si distinse nella Battaglia di Mosca e in quella di Stalingrado. A scapito della mutuale retorica, quale è stato e come si è dipanato il contributo di armeni e azeri al fianco delle forze armate naziste durante la Seconda guerra mondiale?
Aserbaidschanische Legion, la legione azera
La legione azera fu fondata nel dicembre 1941 come legione musulmana del Caucaso, poi scissa l’anno seguente in due legioni separate, la legione nord-caucasica e la legione azera. La stragrande maggioranza delle reclute proveniva dalle file dei prigionieri di guerra sovietici catturati nelle convulse fasi iniziali dell’Operazione Barbarossa, l’invasione nazista dell’Unione Sovietica. Nella trionfale e quasi incontestata avanzata nazista contro le divisioni sovietiche, sfibrate dalle recenti purghe staliniane e colte di sorpresa, decine di migliaia di prigionieri dell’Armata Rossa si arresero alle forze armate naziste per finire internati in affollati e insalubri campi di prigionia. Affianco alla maggioranza degli slavi, rappresentanti del coacervo di popoli musulmani e non del Caucaso sovietico militavano allora nell’Armata Rossa. All’interno dell’ambizioso piano strategico nazista, il reclutamento e la formazione di entità politiche collaborazioniste e divisioni autoctone formate dal reclutamento dei popoli precedentemente sottomessi dai sovietici appariva funzionale non solo per rimpolpare le fila della Wehrmacht indebolita dalla stagnazione dell’avanzata, ma incontrava la compiacenza delle organizzazioni politiche nazionali emerse dalla clandestinità per legare le sorti di una possibile emancipazione dal giogo sovietico, da conquistare combattendo al fianco dei nazisti. Non solo prigionieri di guerra, quindi, ma una cospicua percentuale degli oltre 40.000 cittadini azeri che hanno scelto di combattere per il Terzo Reich nutriva velleità indipendentiste in odio verso il giogo bolscevico.
Nel dicembre del 1941 un memorandum ordinò all’OKW (comando supremo delle forze armate tedesche) di creare due unità musulmane: la Legione del Turkestan, composta da volontari musulmani dell’Asia centrale (turcomanni, uzbeki, kazaki, kirghisi e tagiki) e la Legione Kaukasisch-Mohammedanische di volontari musulmani caucasici (azeri, Daghestani, Ingusci). La legione venne inquadrata all’interno della 162a divisione di fanteria della Wehrmacht nel 1943, mentre altri azeri si unirono all’Azeri Waffen SS Volunteer. Dalla Polonia e alla Bielorussia, dove si distinsero per attività antipartigiane nell’allora Europa Orientale occupata dai nazionalsocialisti, fino alla Francia e al fronte tedesco durante gli ultimi convulsi periodi dell’avanzata sovietica verso Berlino, i collaborazionisti azeri combatterono al fianco delle forze armate naziste fino all’ultimo canto del cigno del Reich nella battaglia di Berlino nel 1945. Degna di menzione è la figura di Abdurrahman Fatalibeyli, già maggiore dell’Armata Rossa che posteriormente alla cattura sul Fronte Baltico, disertò per unirsi al 804 ° battaglione di fanteria della Legione azera. Distintosi sul campo per meriti militari e per un incrollabile fedeltà al comando nazista, fu uno degli artefici del naufragato “Comitato nazionale dell’Azerbaijan“, formato a Berlino nel 1941 da esuli azeri con l’obiettivo di patrocinare la creazione di un Azerbaijan indipendente in un Europa Orientale post-bellica e soggiogata dai nazisti.
Armenische Legion, la legione armena
L’esperienza dei collaborazionisti armeni è una pagina di storia ancora oggi soggetta a strumentalizzazioni di vario tipo e merita di essere conosciuta nella sua integrità. Al pari dei vicini azeri e degli altri popoli all’interno del multietnico stato sovietico, anche diverse decine di migliaia di armeni (dai 10.000 ai 30.000) si unirono più o meno convintamente alla trionfale offensiva nazista. Oltre ai già citati prigionieri di guerra, desiderosi esclusivamente di migliorare le difficili condizioni di vita, molti furono gli attivisti politici armeni che dal territorio dell’allora Repubblica sovietica e da quelli della diaspora si arruolarono tra le organizzazioni collaborazioniste. Bisogna riconoscere che un ruolo importante nella controversa scelta politica di questi risiede nelle ferite della nazione e del popolo armeno, vittima prima del brutale genocidio per mano dei turchi e poi dalla cocente delusione seguente all’invalidazione del trattato di Sèvres del 1920, che aveva previsto l’assegnazione di un importante porzione dell’Anatolia (culla della civiltà e della storia del millenario popolo armeno) alla neonata Repubblica armena, nata in seguito all’implosione dell’Impero Zarista. L’occupazione turca dell’Anatolia orientale e l’invasione dell’Armata rossa, che interruppe il breve periodo di indipendenza della Repubblica armena instaurando un governo socialista, instillò nelle forze politiche (tra cui senza dubbio si distinse la Federazione rivoluzionaria armena) la volontà di cercare spregiudicate alleanze per raggiungere l’agognato obiettivo.
Nel 1942, in seguito a negoziati tra la Federazione armena e Berlino, i primi iniziarono a concepire la formazione di una milizia collaborazionista. La Legione nel periodo di massima efficienza impiegava 18.000 uomini, mentre l’812° battaglione armeno inquadrato direttamente nella Wehrmacht disponeva di 1.000 uomini sotto il comando di Drastamat Kanayan, patriota e generale armeno membro della Federazione e già Ministro della Difesa dell’effimera Repubblica armena. La maggior parte dei soldati dell’812 ° legione del battaglione proveniva dai ranghi dei prigionieri di guerra dell’Armata Rossa. Le truppe di questa Legione furono addestrate e guidate dalle SS e dalla sua divisione di sicurezza SD, e si unirono ai ranghi nazisti nell’invasione della Crimea e nell’infruttuosa offensiva verso lo strategico Caucaso Settentrionale. Oltre al consueto ruolo in combattimento, i battaglioni armeni hanno svolto funzioni di sicurezza e attività antipartigiana nei territori occupati. L’812° battaglione, ad esempio, contribuì all’occupazione e alla pacificazione della Crimea, mentre il 4 ° battaglione del 918 ° reggimento granatieri partecipò alla presa di Tolone, nel sud della Francia. Non trascurabile il contributo offerto dalla diaspora armena in Europa, che in Francia e in Germania si arruolò nei battaglioni armeni di stanza sul fronte occidentale principalmente guidati da motivazioni ideologiche. Con la sconfitta del nazismo, gli armeni ancora inquadrati nelle divisioni tedesche, finirono per essere catturati o si arresero spontaneamente agli alleati finendo nelle fila di quelle decine di migliaia di sovietici di ogni etnia rimpatriati in Unione Sovietica e poi deportati da Stalin nei gulag siberiani.
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