Ci sono catene di diffidenza che tengono in vita alcune relazioni, anche quando queste, almeno nella loro forma originaria, sono giunte al capolinea. È il caso del divorzio tra i Paesi Baltici e Mosca avvenuto, sulla carta, nel 1991, anno in cui il grande impero sovietico è crollato. Una rottura che i Baltici avevano dimostrato di desiderare più di ogni altra cosa, già due anni prima, con i moti della “Via baltica” che avevano impressionato l’opinione pubblica di tutto il mondo. Era il 23 Agosto 1989 quando i cittadini di Estonia, Lettonia, Lituana si presero per mano creando una lunghissima catena umana che partendo dal castello Toompea, a Tallin, raggiungeva la torre di Gediminas, nel cuore di Vilnius, passando per Riga. La scelta della data non fu casuale. Il 23 Agosto 1939, infatti, segnava la firma del patto di non aggressione fra il Reich e l’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche, conosciuto con il nome di Molotov-Ribbentrop, e con cui si definiva la spartizione dell’Europa dell’Est e che riconosceva la paternità sovietica su Estonia, Lettonia e Lituania. La manifestazione fu possibile grazie alla sinergia delle principali forze anti-sovietiche dei tre Paesi: il Rahvarinne in Estonia, il Tautas in Lettonia, e il movimento Sajūdis in Lituania, che si opposero all’occupazione sovietica riuscendo a compiere un’impresa che è passata alla storia.
A distanza di 30 anni questo sentimento di rivalsa verso Mosca è ancora vivo, ponendosi alla base di una relazione articolata, complicata ulteriormente dalla doppia identità dei Baltici: russa ed europea.
Per quanto, infatti, questi Paesi cerchino di affrancarsi il più possibile da Mosca, non possono ignorare il loro bagaglio “genetico” che li tiene legati alla Russia, storicamente e culturalmente. I Baltici sono stati a lungo sotto l’ala del dominio russo, prima come province dell’impero russo e successivamente come repubbliche sovietiche. Questo legame è evidente anche nella mappatura linguistica caratterizzata dalla presenza di minoranze di lingua russa: l’8% in Lituania; il 29,6% in Estonia; il 33,8% in Lettonia.
Allo stesso tempo anche la loro vicinanza storica all’Europa è innegabile. Affacciandosi sul Mar Baltico, sono forti i legami con i Paesi del Nord Europa e con la Germania. Legame, in particolare con quest’ultima, confermato dalla forte presenza dei protestanti in Estonia e in Lettonia, rispettivamente il 12,02% e il 36,2%.
Questa doppia natura si riflette anche nelle relazioni politico-economiche. Membri della NATO dal 2003 e dell’Unione Europea dal 2004, i Paesi Baltici continuano a intrattenere importanti rapporti economici con la Russia, che resta il loro principale partner e la cui presenza è molto forte soprattutto nelle città portuali di Riga e Tallinn. Tuttavia questo rapporto è segnato da una forte diffidenza.
La Russia, infatti, continua a vedere i Baltici come parte della sua sfera di influenza. È innegabile che, dal punto di vista strategico, giochino un ruolo particolare per Mosca, in quanto rappresentano un importante sbocco sul mar Baltico.
Le tre Repubbliche a loro volta vivono con ansia i rapporti con il Cremlino e interpretano qualunque azione come parte di un progetto espansionistico. Del resto, gli obiettivi di vecchia data della politica estera russa sono sempre stati quelli di creare una cintura di buon vicinato forgiando alleanze solide. In questo contesto risulta evidente il ruolo strategico dell’Organizzazione del trattato sulla sicurezza collettiva (CSTO), la cui adesione è stata rinnovata nel 2002 da 6 dei 9 membri (Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Russia, Tagikistan). Il CSTO, se da un lato si presenta come un’opportunità per i suoi membri che, beneficiando di protezione, sussidi e altri incentivi nell’acquisto di armi russe, possono tutelare gli interessi e la sicurezza nazionali, dall’altro si presenta come un importante strumento strategico russo. Sebbene, infatti, il trattato riconosca la stessa posizione agli Stati membri, in realtà si pone come un’istituzione russo-centrica, che permette al Cremlino di proiettare il suo potere a livello regionale. In particolare, l’Organizzazione ha dato a Mosca il potere di bloccare le operazioni della NATO nella regione e di creare delle zone “cuscinetto” in grado di difendere la Russia dai potenziali nemici, soprattutto quelli che mostrano un atteggiamento filo-occidentale e sentimenti anti-russi come la Georgia, l’Ucraina e gli Stati Baltici.
Questo dominio russo a livello regionale viene osservato con crescente paranoia dai Baltici, soprattutto dopo l’annessione della Crimea del 2014 e la costruzione del ponte di Kerč‘. In seguito alla crisi con l’Ucraina, i Baltici hanno espresso più volte le loro preoccupazioni ai loro partner occidentali. La NATO ha adottato diverse misure a sostegno della difesa dei confini baltici: Inglesi, tedeschi e francesi sono stati coinvolti nelle operazioni dell’area baltica come la missione Lynx. Tra il 2014 e il 2018, inoltre, Lettonia, Lituania ed Estonia hanno aumentato la spesa militare, raggiungendo il 2% del PIL.
In realtà, il confronto con la Crimea non è del tutto attinente. La possibilità di un attacco militare contro i Baltici resta abbastanza remoto, soprattutto per due ragioni.La prima è da ricercare nelle radici della Crimea, particolarmente intrecciate con il tessuto storico-politico russo, sfruttate come principale argomentazione dal Cremlino. La seconda è chiaramente legata all’appartenenza dei Baltici alla NATO. Un attacco diretto verso questi ultimi, infatti, si tradurrebbe in un conflitto aperto con i Paesi alleati, comportando per la Russia uno sforzo economico-militare eccessivo e poco conveniente.
Tuttavia Estonia, Lettonia e Lituania continuano a temere per la loro sicurezza, soprattutto di fronte a due armi indirette, ma altrettanto pericolose: il soft power russo e la guerra ibrida.
Per quanto riguarda il primo punto, è innegabile l’esaltazione della cultura e della tradizione russa portata avanti dallo stesso Vladimir Putin. L’insistenza russa sul tema della protezione delle minoranze russe si potrebbe inserire in questo contesto. Gli Stati Baltici, infatti, temono che la Russia possa sfruttare le minoranze come un vero e proprio strumento politico, finendo per destabilizzare la convivenza tra le diverse realtà etnico-linguistiche. In effetti, l’equilibrio apparente potrebbe rompersi da un momento all’altro, sia per la presenza dei nazionalisti che palesano forti sentimenti anti-russi, che per il malcontento diffuso tra le minoranze, soprattutto dopo l’adesione dei baltici all’UE. A questo si aggiunge la difficile condizione economico-sociale di queste comunità, che a causa delle differenze linguistiche, finiscono spesso per svolgere lavori poco qualificati, come è stato evidenziato da un report pubblicato nel 2015[i].
Il sostegno di Mosca verso i russi dei Baltici, dunque, rafforza i sospetti dei tre Paesi verso l’esistenza di una strategia russa che mira a interferire nella loro politica interna attraverso l’ausilio di mezzi informatici, campagne mediatiche filo-russe e fake news. Nel 2017, i ministri degli Esteri dei tre Paesi, in visita a Washington, hanno esortato i loro alleati a non sottovalutare la minaccia russa, evidenziando come fake news e attacchi informatici abbiano influenzato la crisi ucraina. Inoltre, l’Estonia aveva evidenziato come già nel 2007 abbia subito un’ondata di attacchi informatici, in seguito alla decisione del governo di trasferire il monumento dedicato all’Armata Rossa, provocando una pericolosa crisi diplomatica con Mosca e la rabbia della minoranza russa, che ha rischiato di innescare un’escalation di violenza.
Se da un lato le paure e i sospetti dei Baltici potrebbero essere comprensibili, finiscono per dissolversi in un contesto politico-economico e diplomatico troppo articolato. Se da un lato la politica estera russa è fortemente orientata a espandere il suo potere di controllo, resta improbabile la scelta di sfidare apertamente la NATO. La conseguenza logica potrebbe essere quella del mantenimento dello status quo ancora per molto. I Baltici potrebbero cercare di rafforzare la loro connessione con le reti europee nel tentativo di allontanarsi sempre di più dall’influenza russa. La Russia, dal canto suo, potrebbe continuare ad utilizzare mezzi di coercizione non militari riuscendo in questo modo a confermare il suo dominio nella regione e a indebolire, evitando lo scontro frontale, i tentativi di affrancamento.