In bilico tra l’Unione Europea, che ne ha accolto le istanze al raggiungimento dell’indipendenza nel 1989 e la presenza ingombrante del vicino russo, “deus ex machina” dei destini delle tre entità statuali da inizio ‘700. Questo il bivio che accompagna le tre nazioni baltiche, che hanno adottato un ethos nazionale a tratti fittizio ed esasperato al fine di proiettarsi nel mondo come entità indipendenti e, conseguentemente, una russofobia che in talune occasioni rasenta la paranoia.
Se aleggiano l’effettiva e potenziale minaccia convenzionale della Russia e i tentativi del Cremlino di sovvertire il percorso democratico baltico, patrocinando gli interessi delle più o meno vaste minoranze russofone, la viscerale ostilità dei Paesi baltici ha profonde radici nei tentativi di scardinare ogni residuo legame storico con l’ingombrante vicino e ottenere il supporto strumentale di un’Europa incalzata geopoliticamente da una Russia compiutamente assertiva.
La posizione geografica a cavallo di quadranti geopolitici e culturali differenti e confliggenti, la scarsa popolazione (in netta riduzione) e le ridotte dimensioni geografiche, hanno storicamente favorito una congiuntura per cui le tre nazioni baltiche hanno stabilito relazioni frequenti con gli stati confinanti: la Lituania conserva la memoria storica di un legame speciale con la Polonia e l’Europa centrale; la Lettonia è tra le tre quella più vicina alla Russia; l’Estonia, infine, è storicamente più legata alla Finlandia e ai Paesi scandinavi.
Dalla fase tribale alle Crociate del Nord
Insediati fin dall’antichità sul litorale costiero ricco d’ambra del mar Baltico, i popoli di Lituania, Lettonia ed Estonia hanno subìto nel corso dei secoli un destino di invasioni, influenza e dominazione straniera. In epoca preistorica le tribù di ceppo ugro-finnico abitavano una lunga cintura che si estendeva per il nord Europa, dagli Urali attraverso la Scandinavia settentrionale, arrivando a sud fino all’attuale Lituania. All’interno del territorio forestale della regione una miriade di popoli (curoniani, latgalli, samogizi) hanno dato vita a confederazioni tribali e entità prestatuali in risposta alle incursioni dei varieghi dalla Scandinavia e in seguito alle offensive a scopo di conversione provenienti dall’Occidente cristianizzato.
Di fatto, etimologicamente, si può parlare di “terre baltiche” solo dal momento della loro conquista da parte dei “cavalieri crociati“, la cui affermazione congiunta all’arrivo dei mercanti tedeschi provocò la graduale scomparsa degli antichi domini tribali. La crociata del Nord, patrocinata dall’Ordine Livoniano, importò il cristianesimo nella regione istituendo il territorio della “Terra Mariana”, la prima entità statuale tradizionale nella regione. Il vecchio ordine tribale lungo la costa baltica fu sostituito da un numero di piccole entità politiche feudali. L’Estonia settentrionale entrò nell’orbita del regno danese, mentre il domino feudale dei Cavalieri Teutonici, con il nucleo intorno alla città portuale di Riga, si estese fino alla Prussia Orientale e quello dell’Ordine Livoniano comprendeva la maggior parte di quella che oggi è la Lettonia e l’Estonia meridionale.
Il Granducato di Lituania e la conquista russa
Complice una maggiore complessità delle istituzioni politiche e una maggiore permeabilità all’influenza dei regni dell’Europa Centrale, i lituani riuscirono ad affrancarsi precocemente dalla dominazione straniera, dando vita a uno stato: il Granducato di Lituania. Con l’adozione ufficiale del cristianesimo nel 1387, la Lituania scelse di condividere il destino dell’Occidente. La sconfitta dell’Ordine dei Cavalieri Teutonici nel 1410 segnò il definitivo declino dell’egemonia tedesca, ma allo stesso tempo legò fortemente il destino del Granducato alla Polonia, con la quale arrivò successivamente a fondersi.
Con la nascita della duplice monarchia, la Lituania conquistò un ruolo da potenza egemonica nell’Europa Orientale. L’ingresso della Lituania nel percorso narrativo europeo non tardò a trascinare la regione baltica all’interno di una serrata competizione geopolitica tra le potenze emergenti. Fino alla metà del XVII secolo, la confederazione lituano-polacca era riuscita a contenere la minaccia del Granducato di Mosca, ma non fu in grado di resistere all’assalto dello zar russo Ivan IV. In seguito alla sconfitta per mano dei russi, la regione verrà allora divisa in tre ducati: Curlandia, Livonia ed Estlandia. Quest’ultima, la parte settentrionale della moderna Estonia, cadrà presto sotto il dominio svedese che per diversi decenni assoggettò la regione baltica annettendola all’Impero Svedese. La maggior parte della Livonia fu ceduta alla Svezia nel 1629 mentre la parte sud-orientale, il Latgale, rimase parte della Lituania.
La Grande Guerra del Nord costituì uno spartiacque nello sviluppo storico dell’Estonia e della Lettonia. Conseguentemente alla pesante sconfitta di Carlo XII, il dominio svedese sui Baltici finisce per essere ceduto alla Russia di Pietro il Grande, che annesse il territorio all’Impero.
La strada verso l’indipendenza
Con l’esordire del Novecento e l’avvento dei nazionalismi iniziò a farsi strada un movimento di “risveglio culturale” e il germinare del principio di un’identità nazionale peculiare, seppur in un contesto di forte multiculturalità. Al fianco degli autoctoni, demograficamente maggioritari, si perpetuerà il potere di quelle elite urbane mercantili o nobiliari russe o tedesche, mentre si strutturerà la comunità ebraica poi spazzata via dall’Olocausto.
L’occupazione russa, pur manifestandosi tramite l’attuazione di politiche di russificazione, permise la formazione di un’idea nazionale distinta, che troverà compimento nelle convulse fasi finali del primo conflitto mondiale. L’avanzata vittoriosa delle armate del Kaiser tedesco contro l’ esercito dello Zar catapultò la regione baltica all’interno del fronte bellico. Nel corso della Prima Guerra Mondiale, i Paesi baltici finirono per essere occupati dai Tedeschi insieme alle regioni della Russia Occidentale. L’ingombrante tutela dell’occupante consentì la formazione di fragili governi autoctoni all’interno della sfera di influenza teutonica, governi immediatamente messi alla prova dal successivo ritiro tedesco, che agevolerà l’offensiva dell’esercito sovietico uscito vittorioso dalla guerra civile.
L’avanzata e l’occupazione bolscevica fu però di breve durata per una serie di fattori contingenti. Da un lato l’accanita resistenza e controffensiva delle milizie e dei paramilitari organizzati dai governi locali riuscì a reggere l’urto dell’ondata comunista (coadiuvati dall’aiuto materiale e convenzionale dell’Intesa e dalle divisioni tedesche rimaste in loco), dall’altro il mutamento delle condizioni politiche a Mosca rese meno prioritario il fronte Baltico al fine di consolidare la struttura statale dell’Unione Sovietica
1920 – 1940: l’effimera indipendenza e l’occupazione sovietica
Dopo aver raggiunto l’indipendenza, i Paesi baltici hanno dovuto affrontare la necessità di una ristrutturazione politica e socioeconomica. Costituzioni parlamentari radicali e periodi di turbolenza politica hanno contraddistinto il destino delle tre nazioni in questo breve arco temporale di effettiva sovranità.
Tutti e tre i Paesi hanno sviluppato sistemi autoritari, dove elezioni e cambi di gabinetto si susseguivano soventemente. Le turbolenze politiche furono aggravate dalle difficoltà finanziarie e dalla disoccupazione causata dal crack economico su scala globale degli anni Trenta. Conseguentemente all’ascesa di movimenti autoritari di destra, tutti i Paesi baltici hanno posto molta attenzione sulla necessità di preservare l’unità nazionale e rafforzare la postura delle nazionalità autoctone a scapito dell’influenza economica delle minoranze. L’esperimento di statualità conobbe un tragico epilogo nel turbinare degli eventi precedenti all’esplodere del secondo conflitto mondiale. In conformità con un protocollo segreto all’interno del Patto Molotov-Ribbentrop del 1939, destinato a dividere l’Europa in sfere di influenza, l’ esercito sovietico entrò nella Polonia orientale nel settembre 1939 e costrinse Estonia, Lettonia e Lituania a trattati di mutua assistenza che garantivano il diritto di stabilire basi militari in questi paesi. Nel giugno 1940, l’Armata Rossa occupò tutto il territorio dell’Estonia, della Lettonia e della Lituania installando nuovi governi filo-sovietici. In seguito alle elezioni (in cui solo ai candidati comunisti era permesso candidarsi), i parlamenti neoeletti dei tre paesi fecero richiesta formale di adesione all’Unione Sovietica nell’agosto 1940.
La breve parentesi nazista e l’occupazione sovietica
La Seconda Guerra Mondiale è tuttora una delle pagine di storia maggiormente controverse del percorso storico baltico. Cosi come l’ingresso delle truppe tedesche nella Prima Guerra Mondiale costituì un’imprescindibile opportunità per il raggiungimento dell’indipendenza da parte delle autorità baltiche, la travolgente avanzata nazista venne accolta con favore dagli autoctoni. Si sperava che i nazisti avrebbero ristabilito l’indipendenza del Baltico all’interno di un sistema internazionale post-sovietico. Tali speranze politiche svanirono presto quando le autorità occupanti trasformarono gli Stati baltici in una nuova unità territoriale, il Reichskommissariat Ostland, per il quale era previsto un destino di germanizzazione e incorporazione nel Reich.
Il collaborazionismo baltico con l’occupante nazista si è contraddistinto per la formazione di governi fantoccio e milizie più o meno inquadrate nella macchina bellica tedesca, che coadiuvarono le SS nelle operazioni antipartigiane e di sterminio degli ebrei. Con la progressiva ritirata del fronte orientale e la resa tedesca, i sovietici ripresero il controllo della regione e allo stesso tempo riprese vigore l’integrazione delle repubbliche nell’URSS. Nei 50 anni che seguirono, Mosca impose una politica di sovietizzazione delle istituzioni socioculturali e collettivizzazione delle strutture economiche. Un numero considerevole di funzionari non indigeni furono chiamati a consolidare il dominio sovietico e ad integrare l’oppressiva presenza di forze militari d’occupazione.
Le autorità staliniste, tramite un oculata politica migratoria, incentivarono l’immigrazione di decine di migliaia di russi etnici e slavi con l’obiettivo di indebolire la compattezza demografica degli autoctoni. L’urbanizzazione, un tasso di natalità in calo e l’immigrazione straniera ha modificato in modo significativo la composizione etnica della popolazione, con strascichi destinati a perpetuarsi fino ai nostri giorni. Similmente al fenomeno che ha interessato il Caucaso e l’Ucraina, le autorità comuniste punirono il collaborazionismo baltico attuando politiche di deportazione. Tra il 1940 e il 1953, il governo sovietico deportò più di 200.000 individui verso remote località siberiane e centroasiatiche. Circa il 10% della popolazione baltica adulta è stata deportata o mandata nei campi di lavoro. Negli anni ’70, l’area baltica era emersa come focolaio di dissenso antisovietico e manifestazioni antiregime non autorizzate si sono verificate in differenti occasioni.
Indipendenza e l’ingresso nella UE e nella NATO
Il processo di emancipazione centrifugo baltico, avviatosi sin dai primi mesi del 1989, è stato caratterizzato da una serie di manifestazioni che vanno sotto il nome di “Rivoluzione cantata“. L’indebolimento della struttura del potere centrale a Mosca ha permesso l’affermazione di una crescente autonomia nelle repubbliche sovietiche. Il processo è stato particolarmente pronunciato nelle tre repubbliche baltiche, le cui popolazioni indigene non si erano mai riconciliate con la ferita causata dalla perdita dell’ indipendenza. Nel 1988 sono emersi movimenti di massa per la democratizzazione e indipendenza in ciascuna delle repubbliche baltiche. Il 23 agosto 1989, una massiccia manifestazione che ha coinvolto circa 500.000 persone, una catena umana che ha collegato le capitali baltiche, fu organizzata per attirare l’opinione pubblica mondiale sulle condizioni economiche e politiche delle tre repubbliche baltiche sotto occupazione.
Le elezioni all’inizio del 1990 hanno visto la vittoria dei partiti favorevoli all’indipendenza in tutte e tre le legislature. Con l’implodere dello stato sovietico le tre repubbliche hanno finalmente ottenuto l’indipendenza. L’11 marzo 1990, il primo parlamento liberamente eletto nella Lituania ha dichiarato il ristabilimento di uno stato indipendente, l’Estonia ha seguito l’esempio diversi giorni dopo e la Lettonia a maggio. L’immediato periodo post-sovietico, tuttavia, fu caratterizzato da instabilità economica e politica aggravata dal perpetuarsi dei legami economici con il vicino russo. La presenza di corpose minoranze russofone, la necessità di emanciparsi economicamente, infrastutturalmente e politicamente dal precedente dominatore ha spinto le classi dirigenti baltiche ad incentivare il dialogo con l’Europa unita in via di strutturazione. All’inizio del XXI secolo, gli Stati baltici hanno registrato una crescita economica sostenuta e una più stretta integrazione con le nazioni dell’Unione Europea e l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico, due gruppi a cui tutti e tre i paesi hanno aderito nel 2004.